Cosmetic – Paura di piacere (To lose la track/La Tempesta)

Paura di piacere

Suoni diretti in divenire che inglobano precipitazioni atmosferiche in grado di uscire dalla musica in simultanea da cameretta per consegnare al suolo un disco fatto di melodie, pop degnamente scritto e suonato e tanto, tanto bisogno di condensare l’attimo per raccontarlo. Tornano i Cosmetic con il loro settimo lavoro. Un disco che suona veloce. Un disco che suona bene. Sono canzoni mai dilatate che ricercano nel fragore delle chitarre da sottosuolo di emergere a vita nuova, di lasciare da parte il passato per consegnarci una prova davvero meritevole di attenzioni. Bellezza diretta e immediata quindi. Bellezza che odora della migliore gioventù anni novanta. Aquila, Balena, La luce accesa, Morsi, Colpo di teatro sono tra i brani che più incarnano lo spirito di una band che riesce a lasciare nuovamente un segno, passaggio su passaggio. Lunga vita ai Cosmetic.


Stormo – Finis Terrae (Moment of collapse Records/To lose la track/Shove Records)

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Scardinare un mondo che non ci appartiene, scardinare modi di compiere gesta intensificando rapporti che vanno oltre ogni realtà, tentando di andare oltre i confini imposti di questo nostro vivere. Tornano gli Stormo con un disco imponente che non lascia vie di fuga, ma che piuttosto intensifica i legami con gli abissi culturali che ci portiamo dentro, tentando di uscire da una quotidianità che opprime evidenziando gli amari sapori di ciò che può essere reale. Un hardcore proiettato nell’oscurità, un hardcore di importanza vitale che come tempesta parallela riesce a dare vitalità e potenza a suoni dall’aspetto ipnotico, suoni laceranti l’aria, suoni che non creano barriere, ma che piuttosto rendono omogeneo un concetto, un modo di vedere il nostro universo. Il disordine delle cose diventa necessità di inclusione, un punto di terra non più conquistabile, ma fertile esigenza di una nuova concezione di vita.


 

SUVARI – Prove per un incendio (To lose la track)

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Impulsi elettronici sintetici che si aprono a valvolari intese di amori finiti e falliti, lasciati allo sbando e poi ripresi per ricucire qualcosa che rimane dell’amore o perlomeno per rivedere un buco di speranza in questo nostro mondo compresso. Il disco di Suvari, progetto di Luca De Santis ex LAGS, racchiude al proprio interno il susseguirsi di vicende inesplicabili, ma coerenti con il mondo legato ai ragazzi e alle ragazze che vivono le peripezie della vita e si affacciano ad una nuova, diversa, età adulta con fare statico e in perenne contemplazione aspettando quel qualcosa che mai verrà. Temi importanti, crisi di società e bellezza da ricercare si respirano in questo trattato chiamato Prove per un incendio, a ricoprire di pienezza il vuoto circostante con canzoni che sembrano prese dai migliori MGMT e si incasellano all’ombra metafisica di testi ancorati con un piede nel sogno. Pensiamo alle spaziali Punto omega o Cosmonauta per poi ritornare all’onirico gettato nella realtà con canzoni come Horror vacui e Formiche o la bellissima Per quel che vale a ristabilire una certa omogeneità di fondo che in questa prova d’esordio trova la più importante completezza laddove un gesto di conforto vale più di mille altre parole. 


ZEMAN – Non abbiamo mai vinto un cazzo (To lose la track)

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Soffermarsi nel mezzo, nel sudore e nella fatica, magari nel rimpianto, ma anche in mezzo alla possibilità di vedere sorgere dalle ceneri qualcosa di duraturo, di bello e di reale. Gli Zeman al secondo disco sembrano recepire una per così dire deriva nichilista anche se la loro sostanza sonora e poetica viene rappresentata grandemente ne dalla vittoria ne dalla sconfitta, ma piuttosto dal simultaneo vivere tutto il resto, abbracciando sconfitti e vincitori e valorizzando le lotte della gente comune per riuscire ad emanciparsi da una società che vede solo il bello e l’apparenza, abbandonandosi ad un bisogno di ricerca che proprio nel non vincere un cazzo ci fa essere unici soggetti in grado di intraprendere il proprio cammino. Il disco della band di Udine è un disco composito che mescola il post punk con un indie sotterraneo, apprendendo la lezione del tempo e intercalando pezzi che sembrano estrapolati dal migliore repertorio di band come Zen Circus in un sodalizio con la musica d’autore che proprio in questo disco è necessaria per esprimere un concetto duraturo, universale e necessario per tutte le band che vogliono e che tentano di diventare qualcuno o qualcosa perché la felicità è un traguardo che solo noi possiamo valorizzare.

Majakovich – Il primo disco era meglio (To lose la track)

Majakovich: “il primo disco era meglio”

Questo è il futuro della musica italiana.

Dopo l’ascolto del loro nuovo disco, prodotto da Tommaso Colliva, i Majakovich ci ribadiscono che la loro musica non ha nulla di scontato anzi il tutto ricalca alla perfezione un’idea, quel concetto di fare dell’ottimo sound in un periodo spesso alla deriva, ma ogni tanto anche capace di stupirti con perle di rara provenienza ed aspetto che ti entrano come vetri in frantumi nella pelle mutevole, costringendoti a trovare quella fiamma sempre accesa che risiede dentro di te.

Un rock emozionale contornato da muri granitici di chitarra che si contappongono in modo efficace ad una sezione ritmica che non ha nulla da invidiare a band di maggiore caratura.

Il tutto suona legato ad una cascata imperiosa di fronte ad un palazzo di cristallo dove la luce si fonde con la limpida acqua formando un arcobaleno di colori irrimediabilmente maestoso e solenne, quasi a trovarci al cospetto di una nuova meraviglia.

Ci sono echi di Ministri, Afterhours, Marlene Kuntz, ma anche Zen Circus e il suono via via acquista più incisività in pezzi che si contorcono dopo la sognante Ufo lasciando spazio a vibrazioni sonore che difficilmente ti fanno pensare che ora in Italia ci sia qualcosa di così maledettamente valido.

Un disco da tenere in qualunque angolo della casa: potrebbe essere una nuova colonna sonora per i nostri giorni, fino alla prossima prodezza, fino al prossimo respiro.