Tamè – Ma tu (Phonarchia Dischi/The Orchard)

album Ma Tu TAMÈ

Atmosfere newyorchesi inglobano notturne visioni incapsulate nel tempo pronte a lasciare senza fiato grazie ad un groove contagioso e di certo non banale. Il disco d’esordio dei Tamè è un respirare il sapore della metropoli pur rimanendo nel salotto di casa. Una musica che apre all’r’n’b, al soul in un’intuitiva costruzione di mondi contestualizzati all’interno di sorgenti che sgorgano continue, sorgenti di originalità che trovano nella sperimentazione la propria valvola di sfogo. Ecco allora che canzoni come Pasanè, Estraneo, Ti rendi conto, Manifesti, Al buio prendono forma per dare vita ad un disco che parla un linguaggio moderno, ma nel contempo affonda le radici nel passato, tra origini mai disperse, tra sogni che inevitabilmente ritornano per poi scomparire di nuovo. Ma tu è un costrutto di canzoni suonate egregiamente che riescono a trovare e a ridare valore ad un linguaggio desueto ricercando freschezza e interiorità, quell’interiorità dell’animo umano racchiusa e narrata nell’insieme di questa prova.


i Pixel – Nel frattempo un po’ più in là (The Orchard)

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Introspezioni metropolitane che incrociano Editors, Interpol, The Smiths in un sodalizio d’amore sudato con una musica priva di barriere temporali e pronta a colpire ascolto su ascolto. Nuovo disco per i Pixel, band indie rock che sa incrociare il pop d’annata e le emozioni in divenire attraverso vibranti elementi compositi che scatenano sensazioni corali grazie ad una solida impalcatura essenziale e necessaria. Nel frattempo un po’ più in là apre alle dinamiche della quotidianità grazie a brani che riescono ad essere incisivi parlando delle cose circoscritte al nostro vivere che diventano necessarie per comprendere ciò che forse un giorno saremo. Fiumaretta, Fuori di me, Come in uno show, Niente in cambio, Detto-fatto, la stessa title track sono pezzi ed elementi che in fondo vanno a costituire un puzzle di incastri ragionati e di immediatezza sonora che proprio in questa prova esplodono nella loro mirabolante bellezza. i Pixel costruiscono un disco che si fa ascoltare, ben suonato e capace di entrare al primo ascolto. Un album che si fa preziosità interiore nella sua completezza.


Il terzo istante – Estràneo (Phonarchia Dischi/The Orchard)

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Lavoro di cesello per un pop rock moderno ricco di arrangiamenti davvero sofisticati e originali che prendono spunto dalla migliore scena indie dei primi duemila per consegnarci un insieme di canzoni di rabbia discostante e di conquiste da realizzare. Il disco dei Il terzo istante racchiude al proprio interno segreti di puro lirismo cantato in italiano che affondano le proprie radici nella quotidianità vissuta, inglobando Benvegnù nel pezzo Materia Grigia e muovendosi in parallelo tra un Marco Parente più orecchiabile, un Umberto Maria Giardini ai tempi di Moltheni e un’insaziabile esigenza di racchiudere i Radiohead del periodo post OK Computer all’interno di brani smembrati e raccontati a dovere in tracce davvero emozionanti e di fondo necessarie. Estràneo è un disco che guarda al futuro pur rimanendo ancorato al passato, un bel disco di pop alternativo italiano capace di creare, con maestria esemplificata, micromondi dal sapore d’altri tempi. 


Music for eleven instruments – At the moonshine park with an imaginary orchestra (DeadPopOpera/The Orchard)

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Una favola orchestrale tarata nel tempo della vita che racchiude al suo interno le gioie e i dissapori, quel gusto salato che ci rappresenta e districa in maniera imprescindibile i nostri affanni, ma anche li crea, in un continuo andare e venire in preda a disperati tentativi di trovare una pace interiore.

Questo disco sa di tempi andati, se penso ai Music for eleven instruments, mi viene a mente una giostra di cavalli in un luna park abbandonato, che ha conosciuto i fasti del passato e del tempo e che ora giace lì pronta ad essere riutilizzata, per far felici altri bambini, per rendere l’esistenza un po’ meno amara, per dare ancora speranza in un concentrato di architetture ben pensate e soprattutto studiate per dare in primis spettacolo, una bellezza che non riceve, ma dona.

Ecco allora che i volti ottenebrati si fanno luce, ascoltando pezzi come l’apertura di Conspiracy over my head o Tunnel Vision o l’impressione edificabile di Fragile butterfly wings.

Un disco maturo e del tutto originale che incamera le lezioni di Bjork e di una certa musica nordica che accosta strumenti acustici a sessioni di fiati e di archi, certamente una cosa abbastanza inusuale in Italia che si fa speranza per ricordi da rievocare.