Opez – Dead Dance (Agogo Records)

Inoltrarsi in territori inesplorati, con stile e classe fondendo ritmiche e costanza d’intenti dove a prevalere sono i suoni puliti viscerali, riverberati e ondanti capaci di raccontare da soli il cammino, quel lungo incedere infinito del pistolero senza nome lungo il vecchio West tra l’emozione immaginata, tra il complesso ricreare sfondi di un giallo accecante dove il sole cola l’attenzione e si lascia andare nutrito da vibranti attese  e aspettative.

Gli Opez sono un duo costituito dai polistrumentisti Massimiliano Amadori e Francesco Tappi che con il loro Latin Desert & Funeral Party inglobano i campi lunghi del Leone d’annata con il più moderno Tarantino, un gioco di sguardi che si estrapola come fosse colonna sonora senza dimenticare il Badalamenti di Twin Peaks a segnare le desolazioni dell’anima, città abbandonate allo scorrere dei giorni intese come punto di non ritorno, un susseguirsi rapido di efficacia in note lasciate vibrare suadenti più che mai.

Un disco fatto di immagini quindi, 11 pezzi che aprono a territori lontani da Carlos Primero a Balera de mar, un album fatto di ombre oscure che ci attanagliano e sono pronte per l’ultimo saluto, ancora una volta, quelle ombre lunghe al calar della sera a ricordarci che siamo materia finita, polvere e calore, luce e oscurità.

Franco Micalizzi – Ondanuova 1(Goodfellas)

Franco Micalizzi, non ha bisogno di molte presentazioni, provate a trovare la sua voce dedicata in Wikipedia e scoprirete le innumerevoli colonne sonore che hanno accompagnato film italiani e stranieri nel corso del tempo, nonché la benedizione di Tarantino che lo considera uno dei suoi compositori preferiti inserendo tracce da lui composte in film come Grindhouse – A prova di morte e Django Unchained.

In questo nuovo disco si avvale di musicisti e amici importanti come Fabrizio Bosso, Jimmy Haslip, Jeff Lorber e Eric Marienthal per creare un sound che si trova a metà strada tra il jazz il funky e la bossanova ricreando un circuito esistenziale che si fa portare, come su un’onda lontana, lungo i flutti dell’oceano.

Comprendere questa musica è assai difficile, l’essenziale è distendersi e farsi trasportare, in incursioni improvvise di fiati in stato di grazia a ricomporre un’esigenza e una fame che non è mai fine a se stessa, ma continua ricerca della perfezione.

Tutto questo è Franco Micalizzi, che non smette di stupire nonostante i 74 anni d’età; quella capacità sbarazzina di concedersi ancora una volta, come se la musica fosse strumento mentale che da senso alla parola.