Redeem – Awake (Bob Media)

Svegliamoci prima che sia tropo tardi, grazie a suoni granitici e incisivi, compressi e dal puro sapore americano, distorti e aggressivi che ricordano le cavalcate poderose di band come Audioslave  e Foo Fighters; per il trio svizzero Redeem questa è la terza prova da studio e il gruppo riesce per l’occasione ad affiatarsi e ad affilarsi, in una continua ricerca di suoni che possono essere immediati, ma allo stesso tempo pesantemente rock, influenti e ben testati attraverso i dodici pezzi che si dipanano in un solo sospiro attraverso i canali della nostra mente, abbarbicandosi in un posto d’onore, tra le migliori cose di un certo spessore, ascoltate fino ad ora, un mix stritola cuori in grado di far apprezzare una musica ingegnosa e rigenerante, congegnata per l’occasione in un’ispirazione protesa a ricoprire attimi di luce nell’oscurità, una musica dal sapore anni ’90, che lascia spazio anche ad un pezzo totalmente cantato in italiano La Luna, prevedendo, forse, nuove e continue sorprese in futuro.

Un disco che apre con l’esaltante Insanity fino all’ultimo saluto di The last goodbye in versione acustica, un concentrato di forza ed energia, vitalità che si esprime tra il vibrante suolo e le aspettative per un futuro diverso.

Nothence – Public static void (Autoproduzione)

Raggelante bellezza si inerpica in questo album anomalo che mescola il grunge con melodie più vissute e combattute facendo virare il tutto ad una situazione di perdizione totale e di caos sonoro che si fa immedesimazione completa con l’ascoltatore in pezzi apripista leggiadri e xilofonati, passando per quadri distorti che ricordano Alice in Chains fra tutti e poderose cavalcate sonore che pian piano si aprono a qualcosa di più possente e cadenzato.

Si gioca con i numeri e si ambisce a farlo tentando di essere in qualche modo quel bambino intrappolato negli anni ’90 che non riesce ad uscire dal suo mondo innocente e dalla sua spensierata giovinezza.

Si tendono i fili dell’elettricità in queste 11 canzoni, dal sapore dolceamaro, legate al filone di quella camicia a scacchi che ha fatto la storia di chi ha vissuto in quel periodo.

I Nothence per l’appunto incarnano bene quello  stato e quel vissuto, tanto che si fa vivo, tralasciando la strumentale d’apertura, partendo da Chasms e finendo con Fugue in un rapido e odoroso splendore.

Un disco perdifiato che ti entra come Delorean per farti riscoprire un qualcosa, che con le lacrime agli occhi, non deve essere dimenticato.