Incipit Suite – Telepathy (Lunik Records)

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Musica emersa in simbiosi che regala stratificazioni e architetture strumentali fatte di corde di chitarra implementate dal bagliore di un suono eccellente, sospeso, a tratti sognante in sodalizi con un duo davvero importante e armonioso, capace di creare geometrie che ricordano la musica da cinema incastrata a dovere in una world music da mondo intero essenziale quanto basta e vibrante attesa nuova che scardina i preconcetti e si insinua attraverso composizioni che sanno soddisfare anche i palati più esigenti. Due chitarristi quindi e l’intenzione di dare un senso speciale ad una musica in costruzione, due musicisti Marco Di Meo e Roberto Gargamelli che affrontano la produzione discografica con un suono composito attingendo elementi diversi da ogni sorta di musica che conosciamo per un risultato gratificante e sospeso, tra realtà e immaginazione da quella title track meravigliosa fino alla progressione di Telephatic Dream in un accenno concentrico di colori e musiche che si fondono e ammaliano. 


Alberto Cipolla – Branches (MeatBeat Records)

Capolavoro di musica strumentale maniacalmente tendente alla perfezione che si dipana tra musica da film e paesaggi nebbiosi dove a farla padrone sono le atmosfere malinconiche che riempiono di costrutti esistenziali la nostre mente e trasformano le terre di confine in qualcosa di bellissimo e lucente per un lavoro orchestrale che ha il sapore del miglior Antony Hegarty e degli indiscussi e capaci Cinematic Orchestra per una preziosa ricerca di fondo che risplende di luce propria. Il disco di Alberto Cipolla è un substrato di architetture suadenti dove una voce profonda e convincente lascia spazio a divagazioni strumentali talmente importanti che i suoni utilizzati sono attribuibili ad un insieme orchestrale capace di penetrare in profondità valorizzando il flusso magmatico di una musica che conquista fin dal primo ascolto. Da Timelapse fino a No Regrets Pt2 si sente la necessità di un ascolto intero per dare un senso a quel cerchio formato da innumerevoli rami che come polmoni ci fanno respirare e inevitabilmente ci fanno toccare il cielo con sfiorata delicatezza.

Matteo Bennici – Solum (Attraverso)

Paesaggi solitari espressi da fraseggi e melodie al violoncello che si amalgamano nella tela fitta e intricata di un progetto in solitudine e in divenire che si staglia all’orizzonte grazie ad atmosfere ricercate e alquanto inusuali da percepire con uno strumento classico e soprattutto implementate dall’uso di campionamenti, loop ed elettronica in dissolvenza che lascia al respiro l’ultima parola, lascia spaziare l’intelletto verso confini oltremodo immaginifici e a tratti onirici. Matteo Bennici, nella sua prima prova solista, riesce ad unire tutte le potenzialità che porta con sé: capacità espresse nel corso del tempo, attraverso esperienze con band live come Le luci della centrale elettrica, Il teatro degli orrori, produzioni di colonne sonore, improvvisazione; una potenza di fondo che va ben oltre il percepibile e il narrabile. Ne esce un disco che parla di ipotetici futuri e di temerarietà senza fine, un album che si racconta attraverso l’introspezione di questo importante musicista e che non smette di stupire grazie ad un uso in parte innovativo che fa del proprio strumento, un’arte per l’arte che è essa stessa veicolo per l’attimo appena trascorso.

Stefano Meli – No Human Dream (Seltz Recordz)

Musica strumentale che mira dritta al cuore dei paesaggi interiori in sovrapposizioni acustiche di rara bellezza che mescolano il blues ad un sottofondo sonoro da ambientazioni reali e tangibili, una comunione con il mondo circostante che diventa arte e prosegue il proprio cammino alla ricerca di una strada da percorrere. Una strada che porta con sé le paure di un domani e il desiderio, almeno per una volta, di essere diversi, di costruire, di assemblare, di garantire passione nell’oscurità che avanza, trasformando il proprio io nelle forme della luce e mantenendo quella costante attualità di base un motivo in più per credere che questa musica parli proprio di noi, del nostro essere dentro, della nostra capacità di cambiare valorizzando il silenzio contro il rumore simultaneo, tra la solitudine e il riscatto in un mondo dove qualsiasi elemento della natura si trasforma per dare vita a qualcosa di unico e raro.

Il silenzio delle vergini – Colonne sonore per cyborg senza voce (Resisto)

Eterogeneo miscuglio musicale che incasella il tempo perduto in attimi distorti di solitudine post atomica in grado di delineare paradigmi pensanti e bisogno di accomunare spazi di realtà con ciò che che proviamo ogni giorno in una tranquillità soffocante che si fa speranzosa rinascita, si fa attenzione per creare un flusso continuo di pezzi senza titolo tranne che per il singolo Non ho, prestando attenzione particolare nel ricavare essenza dal metallo e dalla finzione. Nell’era informatica e materiale i nostri confezionano un disco apprezzabile per discernimento e capacità di dare un senso maggiore al rapporto uomo-macchina, sottolineandone limiti e proponendo una visione di mondo in distruzione ed esigente di ritrovare un sottile velo di speranza laddove la speranza sembra essere morta da un po’ in una poliedricità di fondo che fa scuola per approccio di situazioni create e in grado di ricavarsi un posto d’onore nelle produzioni di genere.

Fabio Sirna – Orpheus (Autoproduzione)

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Quello di Fabio Sirna è un disco che travalica le mode e si abbandona nelle creazione di melodie minimal condite da interventi elettronici per una colonna sonora in simbiosi con la natura e con il mondo circostante, accarezzando questo tempo e guardano il mondo da una vetrina lontana, percependone però sensazioni che in questo album strumentale sono riposte in modo egregiamente a riempire i buchi della nostra coscienza per trame fitte e strutture complesse e ricercate, dove il nostro chitarrista/polistrumentista contempla dall’alto delle sue capacità un divenire in cui il paesaggio circostante prende forma ad imprimere valore aggiunto ad un concept album che si pone da subito alla ricerca del sole in un viaggio oltre il definito e attraverso un tapping elegante che si fa esso stesso punto di partenza per esplorazioni caratterizzanti la bravura del musicista di Varese. Intiepidendo i fondali marini per esplodere e muovere le ali ancora verso quella zona di cielo che potrebbe essere nuova e condivisa vita il nostro protrae il cammino della propria esistenza in una solitaria apoteosi di bravura riuscita.

Cacao – Astral (Brutture moderne)

Suoni che si dividono, si espandono e si contorcono in un affilato tentativo di creare una musica strumentale paradossale e ricca di colori caleidoscopici in grado di implementare una grandezza smisurata e sincera capace di procurare contesti elettronici in una ricerca che si fa arte per l’arte, sostanza nel tripudio e amore verso la psichedelia e il rock degli anni ’90 che si inerpica fino ad accentrare i suoni dei Caraibi in una proposta molto convincente attanagliata dal duo fenomenale composto da Diego Pasini al basso e da Matteo Pozzi alla chitarra per un album pieno di sfumature esistenziali e stratosferiche in grado di abbandonare il concetto di già sentito per rifugiarsi nei luoghi dell’improvvisazione umana dall’ambient di Roboto, passando per le ballate del tempo passato di Odeon a convogliare l’energia esistenziale del refrain ossessivo di Contadini fino al finale di Anno 1000; tra western spaziali e rincorse al futuro questo dei Cacao è un album stratificato e geometricamente impazzito che regala emozioni a cuore aperto e capacità di diffondere un suono oltre le solite apparenze.

Massimo Ruberti – Granchite Yumtruso Pt.1 (Nostress Netlabel)

album Granchite Yumtruso PT 1 - Massimo Ruberti

Viaggio nel passato senza ritorno per il livornese Massimo Ruberti che di sostanza in questo disco ne mette parecchia, aggrappandosi al filo dei viaggi storici per disegnare una linea di continuità con il futuro, ridiscendendo il fiume della coscienza e ricreando una sorta di stadio mistico da cui provengono impressioni e stratificazioni leggendarie, piene di pathos e mistero per tappeti sonori che abbracciano synth e un sax perlopiù a farla da padrone in un divisione quasi netta delle quattro tracce presenti in questo compendio numero uno della propria eccentricità musicale; i primi due pezzi racchiudono il segreto delle filosofie orientali, della vita eterna, quell’essere trasportati fino alle alte vette del Tibet per ammirare con dolcezza il nostro essere al mondo il nostro esistere quotidiano, mentre l’ultima parte del disco è affidata a suoni più metallici, industriali, che abbracciano un’era post moderna, entrambe parti della stessa medaglia in grado di osservare l’uomo al centro di questo cambiamento in questa ossequiosa narrazione che va ben oltre le nostre capacità immaginative e in grado di regalare emozioni ad ogni nuovo ascolto, si perché questo disco strumentale è uno specchio del nostro vivere, di ciò che è stato e di ciò che sarà, emblema lucido dei nostri tempi, di due modi di vita opposti, in attesa della seconda parte, del secondo disco a concludere, forse, questo viaggio arcano dentro la nostra anima.

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Dan Cavalca – Cinematic (Autoproduzione)

Cinematic_fronte_1440E’ un viaggio onirico quello di Dan Cavalca, è un viaggio fatto di intenzioni e mutismo da sciogliere per imprimere sonoramente virtù esagerate che si accendono lungo i binari di un suono cosmico, che sembra non avere direzione, ma si fa portatore dei sentimenti della galassia; un ambient regalato a dovere, che punta al cuore della creazione e non stanca, anzi, permette all’ascoltatore di entrare in profondità con un io interiore ancora da scoprire.

Dan Cavalca è un polistrumentista a tutto tondo, che dopo una borsa di studio al Berklee College e dopo aver condiviso il palco  con personaggi del calibro di Annie Lennox e Carole King, si tuffa in un’avventura meditata e meditativa, in grado di rappresentare al meglio l’idea sovradimensionale che abbraccia tutta la sua intensa e sentita produzione, indistintamente, senza tralasciare nessun pezzo e valorizzando ogni singola perla confezionata per l’occasione, da Life time lapse fino a Blues in E (lectronic), per sette pezzi che sono il risultato di un percorso che emoziona grazie ad una capacità artistica da non sottovalutare e grazie anche alla capacità del nostro di tuffarsi nel buio delle produzioni strumentali, alla ricerca della sonorità perfetta, di quella che resta, di quella in grado di illuminare.

 In bilico tra jazz, ambient e colonna sonora per il cinema, Dan Cavalca segna una nuova tappa importante nel suo cammino di artista, raggiungendo una poliedricità invidiabile.

The Smuggler Brothers – The Smuggler Brothers (Tone Deaf Records)

Strumentale colorato fatto da una tavolozza infinita dove l’argento del copricapo montuoso si staglia sul dorato mare che accoglie questi pittori della musica in grande stile e grande capacità disinvolta di creare, maturando, una forma sottile d’arte che è molto più del risultato finale in quanto ogni singolo pezzo, ogni singolo frammento è un’opportunità nascosta e incontrata, una possibilità in più di dare un risvolto autentico a quello che possiamo definire musica.

Una musica che parte dai grandi maestri delle colonne sonore, toccando il prog dei fasti italiani degli anni ’70 fino ad arrivare ai Calibro 35 dei giorni nostri passando per tutti quei compositori che hanno fatto importante il nostro cinema e non, su tutti Umiliani, Micalizzi, Piccioni, Morricone, i fratelli De Angelis, Cipriani e Frizzi.

Un disco immaginifico e da scoprire, ricco di finestre da aprire e da cercare, tra spazi infiniti dove tutto è concesso, dove la creatività è di casa e dove la forma canzone destrutturata è commistione ed esigenza, passato e futuro pronto ad incantare ancora una volta.