John Holland Experience – John Holland Experience (Etichette Varie)

Rock non fine a se stesso che raccoglie gli umori e i colori degli anni ’70 per scaraventarli nel cuneese e risorgendo a nuova vita grazie alla partecipazione sonora di uno stoner che va oltre il significato stesso, per come lo consociamo e che si rende necessario per affrontare i cambi repentini temporali che sono alla base delle canzoni dei John Holland Experience.

Un nome da Woodstock per una produzione che regala cupezza e oscurità, in un basso tenebroso e coinvolgente che ben si sposa con le incursioni di una chitarra presente e di una batteria sincopata, in un disco che di per sé non porta a nessuna definizione se non ad una ricerca stilistica del tutto personale, tra le chitarre di Corgan in Gish e gli affronti sonori dei Raconteurs di White per un suono esplosivo e allo stesso meditativo, ruvido e combinato, tra la bellezza del tempo che scorre e del bruciore siderale di un nuovo giorno.

Album non facile da digerire, ma non per questo interessante; un disco che conta perché ha i numeri per farlo, tra energia e cantato in italiano che riuscirà a dare i frutti sperati in un futuro che deve ancora arrivare.

Animarma – Horus (Alka Record Label)

Anima e arma, contrapposti per sempre in un’eterna lotta, abbandonando i fasti dell’incompreso inglese, per approdare ad un italiano convincente e che colpisce per argomenti trattati in un ep fatto di canzoni al fulmicotone che lasciano il segno, cinque pezzi di grande impatto sonoro in vibrante alternative rock costante che porta appresso un concetto, un’esigenza che fotografa l’istante, un elemento, per creare una continuità con il passato e nello stesso tempo per dare vita a pezzi che parlano di morte conoscendo la vita, portando alla rinascita, portando ad essere noi stessi veicolo per il nostro futuro migliore.

Pezzi confezionati a dovere tra le strade polverose e disarmanti, dove l’oblio e la disperazione lasciano il posto alla rassegnazione e quel campo lungo visionato che rappresenta la nostra vita attimo dopo attimo, alla ricerca della strada perduta tra le dune di sabbia infinite, alla ricerca di un sorso d’acqua, alla ricerca di qualcosa di diverso nel mare di ogni giorno.

Nervovago – Il clan Rocket (Autoproduzione)

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Esplosioni in rabbia sonora tra chitarre elettriche super distorte e capacità di dare un senso all’esistenzialismo servendosi di citazioni che danno un valore alquanto verista alla nuova prova dei Nervovago, power duo dirompente che intasca i successi degli esordi per lasciarci un disco fatto di pezzi al fulmicotone che mirano all’essenza e creano una catarsi intellettiva pronta a sfuggirci tra le mani, in un ambizioso testa a testa con ciò che ci sta attorno, passando da Laura Palmer di Twin Peaks fino a Breaking Bad, inglobando Scarface e Gola Profonda, tra Fight Club e innumerevoli costruzioni parallele che fanno da centrale esistenziale per nuovi e radiosi futuri.

Qui però vince la tenebra che si apre a canzoni di pochi minuti che vogliono dare un senso all’apatia di ogni giorno, tanta voglia di emanciparsi e il bisogno costante di essere qualcuno nel panorama della musica italiana; i Nervovago riescono nell’intento unendo la forza sonora all’importanza dei testi, mai tralasciati, mai lasciati al caso in una poesia post moderna che dona luce nel cuore di tenebra.

MinimAnimalist – Ora o mai più (Autoproduzione)

Duo stoner rock che non vuole incasellarsi in un ordine prestabilito, oltre i preconcetti confezionando una prova molto ruvida, ma al contempo che sa di prog abbracciando con simpatia tutta la musica degli anni ’70, quando i mostri rock si lasciavano andare  a prove convincenti, inusuali e sperimentali.

Due ragazzi, Fabio Cazzetta alla voce e batteria e Davide Bianco alla chitarra, che si lasciano trasportare incasellando energia lungo i confini di un genere del tutto ragionato, ma che lascia spazio, in chiave live, ad improvvisazioni sonore che sono molto più di ciò che possiamo ascoltare nel disco, perché è proprio in questa forma rappresentata che il tutto si modifica e si evolve, si concede e lascia al suolo sudore e capacità espressiva che si associa bene a gruppi combo del calibro di BSBE.

Un disco che sa di passato, che sa di vino buono lasciato ad invecchiare, tra strumentali e cantati sussurrati, partendo con Non è metal questo e poi via via raggiungendo JDBBD passando per la riuscitissima Dance like Fibonacci.

Un disco senza mezze misure che è pura sperimentazione sonora, oltre il concetto di scopiazzatura moderna e oltre tutto ciò che viene percepito e sentito come fonte di guadagno ammiccando al ritornello facile; un duo dalla forte personalità che farà parlare ancora di sé.

Kayseren – Il gioco della Regina (Autoproduzione)

La regina colpisce ancora, la regina vuole impadronirsi di un mondo e dall’alto della sua grandezza gioca a scacchi con la vita, gioca la partita di ognuno di noi, un’imposizione dall’alto che senza compromessi ci obbliga a costruire una realtà fittizia e puramente assoggettata ad un qualsivoglia ordine prestabilito.

Sovvertiamo questo ordine dicono i Kayseren, alternando la schiettezza dello stoner con l’ammorbidirsi della melodia in divenire che fa strada e ci conduce nella tana del bianconiglio, lo fa nel fitto del bosco, lo fa abbracciando la musica cara agli anni ’90 passando per Pearl Jam, Nirvana, Soundgarden senza scordare le ruvidità nostrane dei primi album di Verdena e Marlene Kuntz.

Tre canzoni che non passano inosservate, cantate rigorosamente in italiano, capaci di intessere concetti filosofici di ampio respiro domandandosi quale sia l’alternativa utile per un domani migliore.

Buona prova questa, che oltre a nutrire una forte componente fiabesca, si affaccia alla realtà disintegrandola e cercando sempre e costantemente nuove vie di fuga.

Wonder Vincent – Fiori (Autoproduzione)

Prendete i primi Smashing di Gish, aggiungete un tocco di post grunge americano e condite il tutto con la follia degenerativa dello stoner impreziosito dall’incontro con Vincenzo Sparagna direttore di Frigidaire/Il Male per dare vita ad un gruppo prima e ad un album poi che contiene quella potenza reazionaria in grado di dare un senso perenne al nostro lottare, quel senso di libertà che non è incasellato in un confine ben delineato, ma che si fa portatrice di rabbia contro il sistema, una rabbia pronta ad uscire già dalle prime note.

Un disco realizzato nell’autoproduzione più totale dove i Wonder Vincent hanno avuto la possibilità di sperimentare e sperimentarsi, un quadro analitico fatto di contrapposizioni sonore che verso la fine del disco si aprono a lisergiche melodie acustiche, acide quanto basta per essere condite da un folk Barrettiano e memorabile; visione di luce profonda in una triste mattina d’inverno.

Il resto sono grida di ferocia e intensità che non colpiscono solo allo stomaco, ma anche al cuore, trasformando il già sentito in una sorta di parabola ascendente verso mete difficili da riproporre, in grado di coinvolgere e di portarci all’interno di un continuo cambiamento.

1 disco, 3 amici e 13 canzoni, 13 varietà di fiori che si contendono il primato nell’immergere il proprio gambo nell’acqua della vita, prima che appassiscano, prima di essere scordati per sempre, in uno spazio temporale così vicino alle nostre ambizioni e così lontano da ogni forma di inutilità vissuta.

Un giorno di ordinaria follia – Rocknado (Autoproduzione)

Infilati dentro a tutta velocità nel vicolo più malfamato che conosci, indossa le cuffiette del tuo lettore mp3  con Rocknado a volume indefinito e preparati ad entrare in un mondo.

Sembra di viaggiare lontano, dentro all’America più profonda, quell’America fatta di suoni indefiniti e compressi, dove il malessere si confonde con la musica che viene direttamente dalle voci di chi la fa ogni giorno.

I nostri invece sono di Padova e con la città del santo hanno poco a che fare, in quanto nella loro musica si respira aria di internazionalità: stoner punk con punte di grunge sopraffino cantato rigorosamente in italiano, danno alle sette tracce un sapore quasi onirico dove alla voce troviamo un Mario Biondi altamente incavolato che si esprime attraverso le linee sonore di Fu Manchu e Colour Haze.

Sette pezzi quindi che non lasciano via di scampo tra i sapori e i colori di un campo da   baseball, dove le mazze però sono utilizzate per distruggere i vetri delle auto parcheggiate, in soli 22 minuti di aria compressa, pronta, con un click, a dimostrare la sua forza unica e dirompente.

 

Uncledog – Russian Roulette (VREC)

Sparati sulla luna i padovani Uncledog, si permettono di salire sul gradino dei vincitori grazie a questo primo vero e proprio lavoro dopo Face on the Floor, EP quest’ultimo registrato direttamente in California con Sylvia Massy già collaboratrice di RHCP, Tool e Black Crowes.

Tornati dal tour europeo che li ha visti suonare in Slovacchia, Russia, Finlandia e Spagna i nostri mettono assieme dieci tracce trasbordanti energia dove il suono rasenta la perfezione e dove l’album si concentra sulla possibilità di creare un concept vero e proprio sulla disillusione e l’abbandono, sulla tragicità della vita e sui sentimenti necessari come l’amicizia o l’amore verso la persona che ami.

In questo disco si assaporano richiami hard rock con una spruzzatina di prog, debitori di un suono, soprattutto nella parte dei synth, che rimanda a quel mood vintage, anni ’70, che strizza l’occhio al futuro imminente.

Canzoni che si fanno ascoltare e che rendono chiara l’idea di fondo, una roulette russa che poco concede, una vita che affonda affidata al caso, e che solo in pochi, con poche speranze riusciranno ad uscirne vincitori.

Sono pochi coloro che si salvano quindi, coloro che non abbandonano e forse è proprio questo il messaggio che gli Uncledog vogliono lanciare, mai arrendersi e voltare le spalle alla vita, mai gettare la spugna, ma è necessario procedere a testa alta verso l’oscuro, ignoto mondo, che ancora non conosciamo.

Les Fleurs Des Maladives – Medioevo (ZetaFactory) Super Anteprima!!!

Un disco di puro stoner rock che fa saltare dalla sedia anche il più profano del genere.

Medioevo uscirà il 12 Novembre, ma noi di IndiePerCui abbiamo deciso di recensire l’album in anteprima.

les-fleurs-des-maladives-musica-medioevoIl trio lombardo è una realtà fresca e orientata ad un rock granitico caratterizzato da passaggi-assaggi di pura poesia emozionale.

Si perché al fragore elettrico è associato un convincimento di liriche che va oltre la media ascoltata nell’ultimo periodo.

I tre sono un misto tra Elettrofandango e Teatro degli Orrori con occhi oltreoceanici rivolti ad Alice in chains e Audioslave.

Il suono che ne esce è potente e deciso: una tempesta perfetta che si scaglia con violenza e precisione all’interno di ogni cuore che ascolta.

Le canzoni più incisive sono “Medioevo” a cui è accompagnato un significativo video uscito in questi giorni, “Novembre” invece è canzone scelta da Nada per essere cantata nel suo “Live stazione birra”, poi la scaletta si fa sempre più viva con “L’alchimista” passando per “La bellezza” spartiacque perfetta che apre letteralmente le menti e lascia con un amaro in bocca indescrivibile.

“Ennio” è apertura spasmodica all’indefinito in una strumentale che ci porta a “Dharmasala” canzone di protesta che comprende piccole suite di sperimentazioni ingegnose.

In conclusione la ballata leggera e decadente “21 grammi di cenere” con tanto di arcobaleniana ghost track acustica nel finale.

Un disco che appassiona fin dal primo ascolto, sarà un po’ per i suoni curati, i testi ricercati e la voce gridata, ma pulita che “Les fleurs des maladives” donano e fanno trasparire da tutti i brani una passione sviscerale per il cambiamento, un percorso che crea alternative  possibili dove ognuno è libero di fare le proprie scelte con consapevolezza scavalcando ogni barriera esistenziale, unico vincolo per un’Italia da cambiare.

 

RegoSilenta – La notte è a suo agio (Autoproduzione)

RegoSilenta è ruggito in una foresta fatta di alberi molto alti, dove il suono si concentra in un’ assoluta crescente motivazione verso il vuoto, verso il cielo immenso e implosivo che scaglia rabbia di suono esplosiva e conturbante, propria di chi la musica la coltiva nel sangue e l’alimenta con gocce di sudore quotidiano.

rego“La notte è a suo agio” è il loro primo vero album completo.

I 4 novaresi sono capaci di mescolare Stoner con Marlene e Afterhours.

Devoti a una linea che attacca pur rimanendo su atmosfere meditative l’intero album è un concept sulla notte e su quello che questa può portare con sé.

Fantasmi di ieri si incontrano su strade deserte per recriminare spazi che ora non esistono più; terra bruciata che fa intravedere l’abbandonato cemento di periferia.

Un disco che suona duro, ma che lascia margini creativi di cantautorato sopraffino in pezzi come “Danzando” o nella voce parlata di “Un pretesto”.

Altitudini sonore e inni al giorno che verrà: “Temporale” è da insegnamento.

Un album per animi notturni, che in queste notti cercano le corse veloci e gli incontri appassionati, i respiri racchiusi dai vetri di un’automobile e le incertezze nel domani, domani su cui confidare per un tempo diverso.

Dentro l’ombra la notte è a suo agio e ci chiama.