Pipers – Alternaif (BulbArt)

Melodie stupende intrise di significati, dirette ed essenziali che estendono la malinconia lungo la giornata, ma lo fanno con gusto, quel gusto tipico di un songwriting d’ingegno capace di penetrare e lasciare il segno grazie a pezzi favola che trovo impossibile non possano piacere, sembrano quasi studiati apposta per riempirci le giornate autunnali di tante nuvole in divenire, di tante nuvole sovrapposte al nostro stato d’animo sempre più alla ricerca di un posto diverso in cui stare, una delicatezza di fondo di ampio respiro tra un folk incastonato tra due oceani, il cuore che si apre a musiche lontane, barche che seguono le correnti, ricordando per certi versi quella Landslade dei compianti Pumpkins e tutte le loro produzioni più acustiche e intime, quella lingua di terra che cade e si protende verso l’acqua a ricordare che i sentimenti vincono su tutto, in un vortice  di acustiche trame che incrociano un cantato emotivo pronto a condurci da Empty-handed fino a Caress my mind in pezzi che hanno tutti un loro linguaggio, un loro approccio, una loro comunicazione; i Pipers centrano appieno l’intento di dare un volto ai significati nascosti della nostra anima e ci riescono con la consapevolezza di riuscire a creare architetture emozionali dentro alla nostra mente.

Le urla tra gli alberi – S/t (Autoproduzione)

Canzoni nella nebbia, sfocate e lasciate inumidire pian piano fino a comprimersi, esigenza sonora che parte dal passato, che si fa generazione, che raccoglie gli stimoli degli anni ’90 soprattutto nel campo italiano con i Kuntz su tutti per sancire una raccolta di profondità attesa, sperata e vissuta, ammaliando per dissonanze arricchite e chitarre da tappetto Gishiano di fine ’80 per tre canzoni che parlano di attimi e sensazioni parallele in costante mutamento e ricerca spasmodica di sostanza da rendere viva.

Le urla tra gli alberi si confessano Iride, Danni sul precipizio e Coma ricordano qualcosa dei primi Verdena, in fatto di suoni accumulano lo sporco tra le corde della chitarra e abrasivi come non mai si lacerano in una contemplazione cosmica che cede il passo al futuro che verrà, ricco di soddisfazioni certo, grandi rimonte e stimoli sempre nuovi; l’essere sulla buona strada alla volte non vuol dire nulla in questo caso però vuol dire tanto.

Carmen Consoli: il canto del cigno – Live Report – Sherwood Padova – 3 Luglio 2015

Sherwood festival al Park Euganeo di Padova è sempre una garanzia in fatto di qualità e offerta dei live proposti, con l’aggiunta di un contorno fatto da incontri, bancarelle artigianali e non e quell’idea che si percepisce solo qui: far parte di un mondo diverso, una città nella città dove la comunanza di intenti vince contro qualsivoglia forma di mercificazione della proposta in atto, facendo da capofila a molti altri festival italiani.
Con difficoltà si comprende la grandezza della folla accorsa per vedere dal vivo l’aggraziata rocker siciliana, data la grandezza del luogo e la presenza di persone non solo sotto al palco ma anche nella zona antistante, popolando i tendoni/ristoranti e i vari punti d’incontro.
Ad aprire la serata la vicentina Elli De Mon che con chitarra dobro e sonagli, scuote la gran cassa facendo tremare palco e oggetti attorno, sporcando di blues la sua timidezza e incrociando l’India con sitar e musicalità d’altri mondi.
Una musicalità che trae ispirazione soprattutto nel delta del Mississippi, un genere contaminato dal punk che sa osare senza chiedersi troppo.
Buona prova tra nuovi e vecchi pezzi, conditi dall’attenzione di un pubblico numeroso e partecipe.

IMG_0556Puntuale alle 22.00 entra Carmen Consoli.
Gonna nera, maglia bianca, chitarra rosa e tacco alto, lei davanti a tutti, lei davanti al mondo, poche note e via via il suo stare sul palco cambia, è mutevole, ritrae i colori di un quadro rock perfetto che vorremmo continuare ad ammirare, Geisha, Mio Zio, Sentivo l’odore e poi la title track dell’ultimo album L’abitudine di tornare, finalmente la meravigliosa Ottobre e La Signora del Quinto Piano, i toni si incupiscono in vorticose parabole elettriche con Matilde odiava i gatti per viaggiare nel lontano oriente con il ritmo di Per Niente Stanca.
Il concerto si muove molto su tonalità che non lasciano tregua, soprattutto nell’ ascolto dei vecchi pezzi come Fiori d’arancio, Contessa Miseria, Venere per un finale che vede alternarsi l’esuberanza di AAA Cercasi ai classici Parole di Burro e al solitario epilogo nel secondo bis affidato ad Amore di plastica.

IMG_0581Carmen ama i Sonic Youth e ama alla follia gli Smashing Pumkins si percepisce quella carica e rabbia malinconica che è pronta a tagliare il bambino dentro di noi, quel bambino che con forza si ripropone in ogni momento della nostra vita lasciando le tracce per la scoperta, per il costruire, per l’abitudine di tornare.
Altre due donne sul palco con lei, Melissa Auf … no scusate Luciana Luccini al basso e la dirompente Fiamma Cardani alla batteria, praticamente un nome, una garanzia.
Un trio al femminile che non ha bisogno d’altro e che fa scuola, dirompente e preciso più che mai.

IMG_0621Carmen non fa più suonare i violini dal vento, ha un volto nuovo, più elegante e quasi immacolato, una grazia che esplode in elettricità compressa e la timidezza e la naturalità che la rincorrono nei momenti di pausa è ben bilanciata dalla forza portante nei momenti più rock del concerto, una veste acustica che non esiste più, lasciando i suoni a rincorrersi come farfalle, in un pop alternativo ben confezionato che vede la voce della nostra, profonda come non mai, penetrare nei sogni di Orfeo e vaneggiare ancora una volta lungo sentieri sincopati, tra le sue Jaguar taglienti in un continuo andare e venire, concitato e rarefatto, atteso, ma mai accolto con forza.
La sostanza c’è e anno dopo anno quella totale capacità espressiva che si esemplificava in testi e musiche da lasciare il segno, ma troppo ammiccanti e sentimentali, lascia il posto a vissuti narrati che vedono come protagonista una società che non cambia e non vuol cambiare.
Carmen si lascia raccontare come in un libro aperto, ripercorrendo una carriera che la vede ancora protagonista dopo 20 anni a segnare e ad insegnare la strada: dalla polvere di Catania ai grandi palchi italiani e non, una garanzia in fatto di professionalità, capacità espressiva e savoir faire emozionale, caratteristiche assai difficili da mantenere nel tempo, ma che la nostra coltiva giorno dopo giorno come fiore raro da proteggere.

Marco Zordan – IndiePerCui

IMG_0664Setlist:

  • Geisha
  • Mio zio
  • Sentivo l’odore
  • L’abitudine di tornare
  • Ottobre
  • La signora del quinto piano
  • Matilde odiava i gatti
  • Per niente stanca
  • Fino all’ultimo
  • Bonsai #2
  • Sintonia perfetta
  • Stato di necessità
  • Esercito silente
  • Fiori d’arancio
  • Contessa miseria
  • Venere
  • Oceani deserti
  • Parole di burro
  • Confusa e felice
  • AAA Cercasi
  • Amore di plastica