Ophiuco – Hybrid (SeaHorse Recordings)

Elettronica di grande respiro che si apre a territori inesplorati lasciando spazio ad una capacità espressiva fuori dal comune che da internazionalità alla proposta e abbraccia per certi versi le incursioni sonore di Lali Puna, Massive Attack e i nostri Amycanbe in contesti di sovrastrutture eleganti e mai scontate capaci di dare profondità ad una musica che non sembra facile ad un primo ascolto e dove la forma canzone è delineata a poco a poco quasi a volersi svelare in tempi delicati lasciati al tempo.

I nostri Ophiuco provengono da Varese e concepiscono il loro Ibrido in formato fisico per l’etichetta del cavalluccio marino sempre attenta a spaziare in territori diversi e sempre nuovi garantendo un’offerta nella proposta varia e incisiva.

Dieci pezzi che sono la trasposizione di ciò che si vede camminando nell’oscurità, un viaggio cosmico che abbandona l’essenzialità per mettere in atto, dar vita, ad una macchina con i sentimenti, quelli veri, che trasportano il buio in una dimensione terrena capace di raccontare e raccontarsi.

Il cammino si apre con Desert per chiudere il cerchio con Game Machine, un gesto di percezione che ingloba un pensiero circolare e ammaliante, un grigio accecante dentro ad un contesto che ci rende sempre più vivi, sempre più leggeri e pronti ad accettare qualcosa che va oltre le nostre capacità sensoriali; questi sono gli Ophiuco: elettronica soppesata per canzoni ad effetto che permangono nel tempo.

L’io – BonTon (SeahorseRecordings)

Cantautorato strampalato che abbraccia l’indie rock trasformandolo in un pop pronto a stupire per freschezza e vivacità, componenti che non mancano per questo album d’esordio del cantautore napoletano Flavio Ciotola.

Dentro allo pseudonimo c’è un mondo, un mondo intero, una presa di posizione, un essere cosciente di ciò che un giorno cambierà, un’evoluzione quindi che parte da noi, dal nostro modo di vivere e inevitabilmente questo tutto viene riversato in maniera emblematica in pezzi dai titoli e dai testi più strampalati, ma che nascondono quella sottile ironia che non guasta a certo tipo di produzioni.

Sono testi esistenziali, che parlano di noi, delle nostre paure, dei nostri stati d’animo e della nostra capacità di risolvere le situazioni quando meno te lo aspetti, lasciando tutto e seguendo ciò che sentiamo dentro, questo è un album sul bon ton o meglio sulla presa in giro di tutto un mondo che ostenta fin troppo una facciata che alla fine non appartiene a nessuno, ma è solo uno specchio per farci belli, uno specchio che non percepisce le profondità.

L’Io invece scava dentro di Noi, partendo da Zero e passando per pezzi memorabili come Resta poco tempo o Spiegami perché mi innamoro sempre delle troie, passando per Buongiorno un cazzo e concludendo con il finale di Difetti Perfetti.

Un disco sonoramente difficile da incasellare, perché forse il nostro, ha trovato fin da subito un proprio stile, una propria via da seguire, un album ben strutturato e vario, capace di entrare facilmente nella mente di chi ascolta e non andarsene più.

Winona – Fulmine (SeaHorse Recordings)

Fulmini a ciel sereno che contaminano lasciando tracce di immacolata bellezza in testi maturi e concitati pronti a descrivere con minuziosa bravura i sospiri e i cambiamenti del nostro tempo che sono veicolo di nuova speranza.

Tre giovani ragazzi che creano con le proprie mani un piccolo concept, un rilascio di energia istantaneo, vibrante e marcatamente un colpo al cuore che lascia intravedere un’esigenza di uscire dagli schemi prefissati, la volontà di creare e ottenere substrati di melodie sonore che catturano e hanno in pugno la platea, coloro che li ascoltano.

Una musica quindi prima di tutto suonata e impegnata che racconta di bellezza che scompare e di persone che ancora tentano di ricercarla in qualsiasi cosa.

Nel tempo hanno potuto condividere il palco con Tre allegri ragazzi morti, Action Men e Fast Animals and Slow Kids su tutti e da cui hanno potuto trovare ispirazione per un genere che pian piano si sta riscoprendo.

11 brani niente di più e niente di meno, condensati viscerali di amor proprio e di amore per il mondo.

Sprazzi di luce quindi in notti nere tempesta dove le sonorità si amalgamano fino a entrare inesorabilmente in un solo bagliore di stelle.

The Moon – Waiting for yourself (Seahorse Recordings)

Spensierati britannici d’oltremanica che mescolano carte uscite negli anni ’90 per travolgerti con un suono ben congegnato e studiato, incorporando elementi validi e risonanti all’interno di un format decisamente brit che valorizza, stupisce e concretizza.

Qualche anno fa i friulani The Moon erano venuti alla ribalta confezionando la sigla del programma di RaiRadio1 “Demo”, poi lasciati a sperimentare in studio i nostri ne escono, dopo il fortunato Lunatics, con questo nuovo Waiting for yourself.

Strutture stilistiche di grande levatura che riprendono un genere ormai trito e ritrito, rispolverandolo e caratterizzandolo in modo originale creando un ponte, una diretta via tra i magici sixties e il post grunge dei primi ’90.

Si possono ascoltare Beatles e Blur che vanno a prendersi direttamente nello stesso pub un buon goccio di alcol dimenticando problemi della vita e fantasticando sui giorni a venire.

Canzoni caratterizzate da numerose pause e ripartenze che anche grazie a semplici accordi fanno ripartire il tutto con una marcia in più ed un sorriso tra le labbra, provare per credere If today Comes o il mega singolo Make it in the easy way you know.

Un disco fresco, estivo, che valerebbe l’acquisto di un bel maggiolone cabrio da poter sfruttare nella bella stagione tra strade collinari e città semi deserte.

 

Ylium – Empire of light (Seahorse Recordings)

Sei seduto comodamente sul tuo divano e ti appresti a compiere un viaggio interplanetario tra galassie e posti remoti che nessun uomo vivente è riuscito ad incontrare e a perpcepire lungo il corso della storia.

Arrivano gli Ylium, band veneta, che al loro album d’esordio riescono a trasportare l’ascoltatore lungo spazi dirompenti e indefiniti che abbracciano il trip hop e le ritmiche asciutte e condensate in un sali scendi da brivido, costruendo un intricato intreccio di parole e suoni che si esprimono gradatamene lungo le otto tracce che compongono il disco.

L’apertura è divincolata da un sodalizio che si si fa arte lasciando i ricordi più immediati alla mente che paragona i nostri a Massive Attack, Atom for peace e via discorrendo, discostandosi invece dai nomi citati per necessità di ampliare l’offerta sonora quasi fosse un’esigenza intrinseca, che parte dal cuore, anche se il tutto viene guidato da una macchina.

Sperimentali quindi in pezzi dal notevole spessore artistico come The sequence o nel mirabile indie di A Bit bad, passando per l’elettronica finale di Skeptical.

Un concentrato sonoro che raggruppa i migliori Radiohead da Kid A in poi, mettendo al primo posto la passione contaminante nei confronti di una realtà che è in continua evoluzione come del resto lo sono gli apparecchi in grado di generare nuovi viaggi cosmici.

Un gruppo maturo, preparato tecnicamente e con un disco da esportare in tutto il mondo, senza paura di ricevere critiche e a mio avviso con una marcia in più rispetto alle altre proposte underground di genere.

Storyteller – Vuoto Apparente (Seahorse Recording)

storytellerIl cantautorato abbraccia il rock più concettualizzato e regala sprazzi di pop melodico nella prova “Vuoto apparente” del progetto “Storyteller” di Riccardo Piazza, cantautore siciliano che già in questo album possiede tutti  i numeri per condire un’insalata ricca di sonorità legate alla dolcezza del ricordo, alla luce soffusa di una candela in riva al mare, al giorno che ci abbandona ogni, inesorabile giorno.

Storyteller viene definito un intreccio di strade a doppio senso con segnaletica a vista, io aggiungerei anche un intreccio di strade che è in sublime mutazione col tutto, con le emozioni più carnali e i sapori di un mondo in continua evoluzione.

Le parole si fondono in un’unica vibrazione che riporta i pianeti in un altro tempo lontano.

Riccardo si avvale in questa prova di Simona Alletto al basso e di Cristina Di Maio alla batteria, il tutto ulteriormente impreziosito dalle chitarre e dai Synth  di Paolo Messere e dagli effetti di Rino Marchese.

Un album certamente suonato con il piglio del cantautore che sottolinea l’importanza quasi necessaria di contornare una sezione ritmica di orpelli elettronici e giocattoli rumoristici, un lavoro di cesello e passioni inesauribili portate ad oltranza fino al sorgere di una nuova realtà.

Con il primo Benvegnù si affaccia la proposta “Dall’America con Amore” mentre i migliori Baustelle si riscoprono nella bellissima “Farfalle nel metrò” uno spezzone di foto spezzate, “Fatti di parole” ricorda sonorità pumpkiane per un finale degno di nota nelle ricerca delle “parole giuste”.

Storyteller centra l’obiettivo di una prima prova certamente da ricordare e sicuramente da custodire, non nel cassetto di una soffitta polverosa, ma in un prato di giallo vestito a primavera.

The child of a creek – The earth cries blood (Seahorse recordings)

Rapiti dalla fantasia di un folk singer visionario ci accingiamo a recensire l’ultima fatica di “The child of a creek” intitolata “The earth cries blood”, quasi un concthe-child-of-a-creek_the-earth-cries-blood_1367498603ept album evocativo in cui lasciarsi andare a costanti echi e riverberi di terre lontane e dove la simpatia per gli anni ’70 è evidenziata dall’approccio prog e ricercato nei suoni e nei colori che l’album riesce ad evocare.

Il disco è composto da 11 canzoni ben strutturate, ma imprevedibili, dove anche la singola sfumatura è pensata per emozionare e lasciar posto ad un incedere vagamente Barrettiano in cui assoli elettrici psichedelici si intrecciano marcatamente a digressioni tastieristiche di archi sintetizzati e gocce di suoni a piovere dal cielo.

Il toscano Lorenzo Bracaloni nel suo quinto album in studio riscopre la passione per l’arte concettuale, l’ascetismo quasi profetico e un uso, il più disparato, ma magistrale, di strumenti digitali e fiati elettrizzati.

Questo giovane uomo esalta con coraggio la solitudine nascosta, una passeggiata su di un colle alla ricerca di se stesso e ogni incedere di passo riconduce a frammenti di memoria persa nel tempo, la quale solo attraverso parole come  abbandono e malinconia, riesce a dare un senso alla propria vita.

I pezzi rispecchiano appieno questo viaggio ultraterreno e gli attimi di riflessione sono costituiti da vere e proprie scariche sonore che toccano l’apice in pezzi quali “Morning comes” e “Terrestre”.

Un cantautore che ha scelto la propria via sofisticata, ma che in chiave live è in grado di creare bucoliche atmosfere utilizzando la sola voce e la sola chitarra, quest’ultime capaci di mantenere quell’equilibrio nel pensiero e nell’animo, accompagnandolo verso lo scorrere leggero dei giorni che verranno. Rapiti.