Zerella – Sotto casa tua (Seahorse Recordings)

Zerella, “Sotto casa tua”: la recensione

Cantautorato indie rock che si affaccia alla modernità con stile inequivocabile in grado di rappresentare e parlare da vicino di un mondo che porta con sé le vibranti attese di un cambiamento imminente, ma si attesta ad essere quotidianità piatta e banale, più volte ribadita nella prova leggera solo in parte di Zerella, musicista giovanissimo e capace che assieme ai rodati Alessio Vito, Gianluigi Pilunni, Remo Radica costruisce un disco di sembianze naturali, di vita vissuta e di desideri inespressi e circondati da una fame d’aria che ingloba, dando una personificazione della realtà sincera e ricca di rimandi e citazioni. La droga di Nico è solo un pretesto per partire, ci sono altri pezzi degni di nota come Terra Boa, i toni pacati di Prenderti o perderti e le finali Brasile, 1958 e Hanno preso Bob Dylan a donare qualità intrinseca ad un progetto che strizza l’occhio a band come Le luci della centrale elettrica e i primi L’officina della camomilla. Zerella guarda al futuro, sfiorando le coste inglesi, grazie ad una musica che attinge direttamente dagli anni’90 e dagli anni zero tutta la propria capacità intrinseca di comunicare attraverso collage che si fanno materici in una prova che racconta e si lascia ascoltare. 


Me, the other and. – 404: human not found (Seahorse Recordings/Audioglobe)

Sperimentale progetto d’apertura elettronica in grado di coniugare l’etereo vagare del tempo con lo strato coscienzioso che apre a finestre di dipartite in un solitario abbraccio al mondo in decadenza. Misantropia verso l’animo umano che affiora nelle tracce di questo progetto di lontananza, progetto che raccoglie le menti e le idee di Paolo, Chiara e Lorenzo attraverso un uso consapevole di apparizioni e stati catatonici che sfiorano gli ambienti e le diffuse elaborazioni di gruppi come i Massive Attack in un’eterna lotta tra bene e male che si fa alterità e ingloba in modo del tutto naturale il mondo che sentiamo vicino a noi. I resoconti eterei proposti fanno d’atmosfera appagante all’intero susseguirsi di energie nascoste e viscerali che possono esplicare la propria parabola in pezzi come Intro, Paperstream, Jazz e Bird a ribadire concetti di fuga e abbandono, a recuperare quel sano e del tutto legittimo desiderio di libertà che nel calore della situazione inverte i poli e come un magnete attira a sé tutto ciò che di buono ancora esiste in un’estasi perenne di sogni inesplosi.

Goose – Dopo il diluvio (Seahorse Recordings)

Pittori dell’animo umano i Goose intessono ardite trame colorate e malinconiche in una continua ricerca volante che attraversa strade, attraversa percorsi sonori davvero importanti e che grazie a questo disco raggiungono una maturità artistica notevole. Stiamo parlando di un rock poetico lontano dalle forme indie folk o indie elettroniche del momento, un recuperare la poesia che nell’essenzialità dell’attimo scova le fragilità umane e racconta di vite, di intrecci e di rimandi a bisogni perpendicolari e d’amore attraverso canzoni che rappresentano per gli stessi una forma essenziale e di connubio con il mondo che li circonda. Pezzi come l’iniziale Cento volte, Gettato nel mondo, La ballata dei ricordi sono la summa di un disco che in Barbara trova il proprio compimento; ballate alternative quindi soffuse che non disdegnano le aperture musicali a qualcosa di più incisivo caratterizzato da una base musicale che proprio nel riff e nella struttura portante trova un punto d’appoggio per soddisfazioni che guardano in alto. Dopo il diluvio è recuperare qualcosa per riportarlo a casa, là dove teniamo i ricordi più belli, magari nascondendoli e preservandoli al tempo che verrà.

Nico Gulino – Meglio morire d’amore (Seahorse Recordings)

La senti da lontano la spuma del mare infrangersi sugli scogli accarezzata dal vento, la senti che sprigiona gli attimi di un ricordo che non esiste o che magari non c’è più, intrappolato in un bisogno di appartenenza con il mondo circostante che riempie il nostro essere per ritrovarsi poi diversi e imbrigliati in un qualcosa a cui non siamo capaci di dare un nome, ma che ci tocca da vicino, ci rende vivi, liberi. Meglio morire d’amore è un disco che nella sua orecchiabilità d’esordio ricorda per certi versi le malinconie di Sergio Cammariere, la prosa di De André e gli attimi vissuti tra commistioni di generi che mescolano ska, swing e tango in un’esigenza naturale e necessaria di entrare in comunione con chi ascolta e soprattutto con la bellezza che non si accontenta di rime facili e ammiccanti, ma trova nello scavare a fondo dei sentimenti una propria apertura che si completa e si dissolve come brezza mattutina. La title track è pura poesia, ma non possiamo dimenticare la canzone d’apertura A volte gli occhi, piccolo capolavoro sonoro che permette all’ascoltatore di assaggiare i paesaggi che campeggiano nell’intero album. Si scorre poi con Il mondo fuori o nulla si muove per poi chiudere il cerchio con La tua poesia. Meglio morire d’amore è un disco di cantautorato completo capace di segnare indelebilmente una strada, un percorso, un romanticismo ritrovato che si fa largo in modo incisivo tra le produzioni odierne.

Lorenzo Giannì – Gramigna (Seahorserecordings)

Lorenzo Giannì Gramigna

Disco talentuoso e stratificato che abbandona i cliché da supermercato e si consolida nel rumore nero di fondo provocando grande impatto attraverso una commistione sempre attenta e vitale di generi, stili, ambientazioni il tutto coadiuvato da testi profondi, mai banali che rievocano tratti d’inquietudine e magia nel ricreare profondità eterogenee che si scontrano con l’assurdo della vita che ci circonda. Il giovane musicista Lorenzo Giannì dà alla luce un disco potente e immaginifico che incrocia cantautorato, psichedelia ed elettronica dando forma e sostanza ad una produzione targata Paolo Messere di Seahorserecordings e concentrando atmosfere davvero uniche e invidiabili che a tratti suonano internazionali, a tratti invece implodono in una dimensione più nostrana, riflessiva e accarezzata da una pioggia che inonda e pulisce. Undici sono le tracce: Gramigna, la title track è la più composita e inglobante del disco, mentre si passa con naturalezza verso pezzi come Nave Inverno o Il ladro semplice che lasciano via via posto al bellissimo finale strumentale di fondo che ci culla e ci fa sperare che questo album non sia solo un bagliore, ma piuttosto qualcosa che possa mettere radici profonde nel panorama della musica italiana.

Alessio Franchini e il Circolo dei Baccanali – Tutto può cambiare in un attimo (Seahorse Recordings)

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Architetture sonore che abbracciano geometrie musicali di primi ’90 con un cantautorato intrinseco e pieno di poesia che raggiunge alti livelli di introspezione e suadente bellezza proprio nei confronti di quel mondo di cui facciamo parte e che in questo disco è raccontato attraverso un’attualità che si fa storicità e soprattutto grazie ad un songwriting internazionale affidato ad una voce davvero importante che ricorda i sali scendi emozionali del compianto Jeff Buckley e dell’americano Jimmy Gnecco per una musica acustica capace di spaziare dal folk al rock in un intimismo ricercato e carico di veridicità, una bellezza che rincorre il tempo e che proprio nel titolo trova un appiglio per constatare la nostra inquieta finitezza, a dipingere mondi da leggere attraverso varie letture, attraverso una ricerca che si scosta dall’inutile all’essenziale e dove al centro la nostra vita è un continuo rincorrere desideri e ambizioni, nell’attimo del momento, nell’esplosione sofferta di un animo inquieto.

Someday – This doesn’t exist (Seahorse Recordings)

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Suoni spezzati che compongono un quadro d’insieme davvero esaltante e capace di conquistare pezzi di cielo attraverso una musica che affonda le proprie radici negli anni ’80 e per certi versi prosegue il suo racconto metafisico in tutti i ’90 attraverso un indie rock che parla di questioni aperte e di storie che si fanno raccontare in contesti urbani  e che prendono il sopravvento quando la visione d’insieme sfiora band come Joy Division e The Smiths, qualcosa di Pablo Honey dei Radiohead fino ad approdare ad una modernità che con band come Placebo raggiunge l’apice di una forma quasi in simbiosi con l’arte stessa, ma che porta con sé il valore che trova nella strada soggettiva il proprio punto di contatto, da Clean Couch passando per Shelters o Little Choices fino al finale di Gliding i nostri rispolverano, con tocco personale, uno dei più floridi periodi musicali degli ultimi decenni attraverso una formula rodata e di sicuro effetto.

Davide Iodice – s/t (Seahorse Recordings/Audioglobe)

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Miscugli eterogenei di musica classica e musica elettronica in compartimenti aperti che lasciano presagire futuri filtrati da luce soffusa che illumina la steppa innevata e lascia, al proprio passaggio, orme di una meraviglia strutturata e soppesata, affondando i colpi, affondando una voce che si sposa con una musica quasi eterea e ansiosa di contaminarsi ad influenze che per certi aspetti ricordano le sperimentazioni di un primo Battiato, quello lontano dalla forma-canzone pop e più vicino a contesti lisergici e pulizia del suono che vuole ricercare, nella commistione di genere, un proprio punto di fuga, un punto di atterraggio da dove poter meravigliosamente proclamare il proprio senso di libertà profondo in comunione con la natura circostante. Un disco non di facile ascolto, richiede più tentativi per immagazzinare l’insieme di sfumature che si protraggono all’orizzonte, di certo il nostro Davide sa confezionare una prova stilistica davvero notevole, caratterizzante e portatrice di una bellezza inconfondibile e originale.

Hyris Corp. Ltd. – Hyris Corp. Ltd. (Seahorse Recordings)

Bombarde cosmiche di substrati coscienziali capaci di penetrare nella mente di chi ascolta con rimandi e riferimenti matematici che si impongono prepotentemente grazie a tecnicismi influenzati da ascolti infiniti di musica da rielaborare, per mettere ordine al cosmo e cercare una nuova via di fuga grazie alle incursioni e agli svolgimenti del polistrumentista italiano Bljak Randalls, all’anagrafe Dario Stoppa, veneziano di terra lagunare capace di intrecciare in modo stupefacente le complesse architetture dei Dream Theater con le evoluzioni del prog d’annata targato ’70 per paradisi musicali che affondano le proprie radici lontano dalle forme di comunicazione moderne, vivendo tra la gente ed implementando un bagaglio superlativo che per l’occasione si avvale della presenza di Paolo Messere dei Blessed Child Opera  in veste di produttore artistico e di Matteo Anelli alla batteria per un suono che incontra la musica da film in evoluzioni che si stagliano verso una ricerca emozionante di luce nell’oscurità; attesa che si fa realtà tangibile nelle 14 tracce sperimentali di questo disco portando con sé  il sapore e il desiderio di innovare, un’innovazione che parte, di specifico, dalla passione sentita nel creare nuova materia ai confini con la realtà che conosciamo.

Earthset – In a state of altered unconsciousness (Seahorse Recordings)

Disco d’esordio per la band nata a Bologna che coniuga in maniera del tutto personale un’attitudine punk alle incursioni psichedeliche che si diffondono nell’aria passando per quel gran concentrato chiamato indie music che basta e avanza a riempire un mondo intero.

I nostri amano spaziare, amano giocare con i suoni e in un attimo si è trasportati in un’altra dimensione comodamente restando seduti, la variegata eccentricità del quartetto si evince soprattutto nella capacità di creare immagini che permangono nel tempo, un incontro tra filosofia e psicoanalisi, alla letteratura fino a toccare le scienze politiche, un bignami di maturità quindi non solo stilistica, ma anche nelle parole, nei testi che sempre più veicolano l’ascoltatore nello scoprire qualcosa di più, qualcosa che rafforza e si rende necessario per comprendere le varie stratificazioni che appaiono e scompaiono, un andare e venire guidato dal tempo, mera conclusione soggettiva di un cammino che continua per sempre.

Ecco allora che i suoni si fanno solidi e tangibili con l’apertura chiamata non a caso Ouverture, finendo con la chiusura del cerchio marino in Circle sea, definendo una linea guida che si perde nella nebbia e da la possibilità ad ognuno di noi di prendere il meglio da questa favola in bianco e nero, che si propone di distruggere il sistema per poi ricomporlo, ripartire verso la speranza: una luce nuova tra foreste inospitali, ma ricche di vita.