12BBR – 12 Bars Blues Revolution (Autoproduzione)

Band dalle enormi potenzialità che ripercorre in soli cinque pezzi una storia del rock quasi dagli albori, omaggiando con il proprio stile e soprattutto con il proprio suono, una musica a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, suoni che si dimenano tra la chitarra di Hendrix fino alle esplosioni colorate e graffianti di band come gli Stones impreziosendo la proposta con il sapore polveroso di un grande Jack White fino a comprimere sforzi e successi con le lisergiche e sotterranee avventure dei Tama Impala in un concentrato di energia sonora che ben rappresenta una costante ricerca e un amore per la musica, per le cose fatte bene, per la cura quindi e anche per la sfrontatezza che i nostri mettono in pezzi come l’iniziale How does it end? fino al finale meditativo lasciato alla bellissima Cold Floor per un disco che rappresenta un punto di partenza davvero importante per una band che spero, farà ancora parlare di sé per molto tempo.

Erin K – Little Torch (La Tempesta)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.Sono poesie sussurrate, ricercate, accolte, sono attimi di bagliore prima della tempesta che si lasciano cullare da refrain immancabili e impagabili che aprono il cuore e consegnano all’ascoltatore una prova leggera, sospesa ed egregiamente suonata, dove tutti i tasselli sono al loro posto e dove il dolce cantato si raffronta con parole che emozionano, stupiscono ed incalzano incrociando sogni d’infanzia ad ineluttabilità della vita. Tra speranze e bisogno di uscire, la nostra Erin K che soltanto da pochi anni conosce la chitarra, ci regala canzoni che escono da un fantomatico cilindro con facilità estrema, pezzi che per l’occasione sono prodotti artisticamente da Appino e dove nelle stesse registrazioni compaiono musicisti del calibro di Enrico Gabrielli, Roy Paci, Simone Padovani e parte degli Zen Circus per un apporto sonoro davvero notevole che non si inerpica in orpelli leziosi, ma piuttosto mira alla sostanza, mira ad esaltare l’impalcatura stessa di canzoni che si auto-sorreggono e trovano una propria via di fuga, un proprio mondo, sussurrando con classe e grinta un senso di appartenenza e una strada da seguire, tra lo zucchero filato al limone e le noccioline salate da ingoiare fino ad esserne sazi.

Ian Fisher – Koffer (Snowstar/PopUp/Earcandy/Rocketta/Native Sound)

Cantautorato per paesaggi e lande deserte dove i villaggi si spopolano e resta soltanto la polvere del tempo a ricoprire le distanze, a ricoprire ciò che resta di noi, del nostro mondo che non esiste più, della nostra vita, tra inquietudini e stati d’animo il cantautore americano, ma trapiantato in Europa, Ian Fisher, regala agli ascoltatori una prova di rara bellezza, facendo confluire dentro al suo songwriting correnti diverse, ma accomunate dal bisogno di raccontare, inseguendo forse un sogno che non esiste, inseguendo una realtà che a tratti sembra vivere tra le nostre mani, ma che nel contempo fugge via, ci abbandona e Ian Fisher lo sa bene perché la sua voce si fa interessante proprio quando la musica inizia, la sua voce è colonna portante per un suono che abbraccia il passato di Dylan coniugando Glen Hansard e passando per Father John Misty e Fleet Foxes toccando vertici di intensità immaginifica in pezzi come Candles for Elvis o Hail Mary, per un album che merita di essere ascoltato più volte tra le inquietudini del nostro tempo e il bisogno del viaggio, un viaggio che si fa fonte di ispirazione alla ricerca di una nuova casa.