The dust in god we trust – Remembrance (Autoproduzione)

Travagliata storia per il gruppo di Vittorio Veneto che a quasi 20 anni dall’esordio e quattro album autoprodotti alle spalle, si presenta in forma più che mai confezionando un album ricercato, che stupisce, ricco di influenze e che sottolinea la preparazione dei tre strumentisti che si avvalgono per le registrazioni in studio anche di altri componenti, quasi fosse una grande famiglia pronta a cogliere le più disparate sfumature, riversandole tra le piste di un mixer d’altri tempi che strizza l’occhio al futuro.

Risulta difficile incanalare il gruppo in un genere predefinito e noi di certo non lo vogliamo, sta di fatto che le tracce scorrono in velocità lasciando stupito anche l’ascoltatore più incredulo.

Ottime performance vocali sono da contorno all’uso di strumenti diversi e il circolo si chiude proprio quando abbiamo bisogno ancora e ancora di questa musica avvolgente sin dalle prime battute.

Ascoltare l’arabeggiante Remembrance che sembra uscita direttamente da un disco di Bucley per capire la varietà della proposta, fino alla suite Inside Out che si compone di una forma metrica alquanto inconsueta, passiamo poi a A little bit of savoir faire che riporta ai Beatles del White Album fino a saltare con un balzo al funk di Are you gonna get it.

Nel finale si ascolta la bellissima e speranzosa Tears in her eyes e si toccano i vertici dell’album nell’omnia Lord of the flies.

Tracce mature, sofisticate ed eleganti, un gruppo che a mio avviso meriterebbe di più; una band che ingloba generazioni in un solo unico disco.