Reflections in cosmo – Reflections in cosmo (RareNoiseRecords)

Cinta di mura esplosive per il gruppo norvegese formato da stelle del free jazz e dalla cospicua eredità di un tempo lontanissimo, ma raggiante, caparbio e divincolato dalle mode, ma che si fa reale e tangibile nella pura astrazione vibrante attesa come un colpo duro allo stomaco in attimi di luce e psichedelia tradizionale che si scontra inevitabilmente con le avanguardie dei tempi moderni e implode virando parabole ascendenti verso un tutto che ha il sapore della sperimentazione da club impolverato, ma elegante, tanto elegante da rassomigliare incantato e proprio qui i nostri Reflections in cosmo si collocano tra il principio e la fine, l’avanguardia e i gesti attesi, ma non troppo, in un roboante viaggio al centro della musica che diventa nell’introspezione di un giorno lungo un’eternità, il modo migliore per sentirsi come a casa, pilotati da un’energia che parte da dentro e non ci lascia più.

Bobby Previte – Mass (RareNoiseRecords)

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Stravolgimento della Missa Sancti Jacobi di Guillaume Dufay ad opera del batterista Bobby Previte e dai The Rose ensamble in una ricerca sostenuta dell’astrattismo mistico, compresso e rilasciato in lavorazioni orchestrali capaci di fendere l’aria e amalgamare i suoni costanti, duraturi, sinuosi, incrociando classica e contemporanea, passando per il tardo medioevo e il metal con le sue avanguardie d’inchiesta a colpire forme e rimodellando il conosciuto in penombre da annusare, sentire dentro, tra sprazzi di organo e mescolanze di stile, attraverso un’energia diffusa e di carattere, naturale salto temporale a far da scaglione in cadenza precisa di un concentrato vissuto, emblematico, per contrappunti che si stendono in pressofusioni e offrono all’ascoltatore un’opera precorritrice del futuro che verrà incentrando il proprio punto di forza in un desiderio non inquadrabile e lontano da ogni forma di musica nata per essere venduta.

Eraldo Bernocchi/Prakash Sontakke – Invisible Strings (RareNoiseRecords)

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Tracce eteree che si spostano in brevità soppesate e tangibili incontro a nubi sulfuree tra l’ossigeno e il cielo, il vuoto d’aria e l’etere indiscusso portatore di suoni che vanno oltre il riconoscibile e si posizionano all’interno di un viaggio soprattutto mentale, capace di scavare nell’immaginifico mondo di due musicisti sopraffini, eleganti e coraggiosi, stiamo parlando di Eraldo Bernocchi, poliedrico chitarrista italiano che ha siglato molteplici collaborazioni nei più disparati generi dall’elettronica al metal passando per il jazz e di Prakash Sontakke indiscusso strumentista lap steel indiano, due mondi completamente diversi che si fondano in cerca di una via di fuga dalla realtà, impreziosendo le tracce con suoni che mescolano il mondo, mescolano i continenti e si avvalgono di una sostanziosa ricerca tra virtuosismi e appunti elettronici, dalla bellissima introduzione di The last emperor walked alone fino all’ultima traccia The unsaid, quasi un continuo, una ruota, una sfera, un mondo, quello stesso mondo da abbracciare in una condivisione d’intenti che va oltre l’opera creata.

Free Nelson MandoomJazz – The organ grinder (RareNoiseRecords)

Sperimentazioni d’oltretomba accarezzate dallo spirito dell’illusione sonora, marcati contrappunti in grado di destabilizzare le armonie, verificando l’immortale presenza scenica di una commistione di generi che tende ad aprire nuove porte e nuove idee, di comunicabilità oltre la comunicabilità, un pensiero omogeneo e cangiante che deriva direttamente dalle incursioni sonore del trio scozzese in grado di creare una sorta di implacabile jazz sopraffino incrociato al doom metal ispirato di band come Black Sabbath, per un martellante desiderio di ascesa negli inferi e sicura consapevolezza di creare con il proprio strumento qualsivoglia geometria istintiva atta a maturare le scelte e a distogliere lo sguardo dalle futilità della vita per renderci partecipi di un viaggio trainato da Caronte stesso, lungo il fiume che ricopre le esigenze stesse di un mondo in piena evoluzione e di certo alquanto personale per una manciata di pezzi che sono vorticose salite in assenza di gravità, al centro della nostra terra.

Naked Truth – Avian Thug (RareNoiseRecords)

Teppisti aviari, teppisti del cielo, bande volanti che non hanno paura del vuoto, ma si lanciano come i pirati nell’aria di Miyazaki alla ricerca di uno scopo nella propria vita, di un modo diverso di vivere incanalando capacità e utilizzando le proprie risorse per dare alla luce un qualcosa di egregiamente spettacolare.

I Naked Truth sono un gruppo rock-jazz fondato dal bassista e produttore italiano Lorenzo Feliciati che in questa prova si interseca in roboanti virtuosismi con la tromba di Graham Haynes, trombettista di molti lavori di Bill Laswell, al pianoforte e all’organo di Roy Powell, prima figura degli InterStatic per passare alla batteria di Pat Mastelotto già con King Crimson e Stickmen.

Insieme compongono una band sperimentale che partendo dal jazz si apre ad incursioni rock di pregevole fattura, facendo della forma poesia un loro cavallo di battaglia, utilizzando quella capacità intrinseca di un gruppo affiatato di generare suoni che si propagano nell’aria dando forza e sostanza alle produzioni che verranno.

Un disco fatto di note si, un disco fatto anche per la ricerca, una band che si intromette con eleganza nel panorama mondiale, dando non solo una lezione di vita, ma anche un vero e proprio compendio per la sperimentazione che verrà.

Merzbow, Mats Gustafsson, Balazs Pandi, Thurston Moore – Cuts of guilt, Cuts Deeper (RarenoiseRecords)

Un pugno allo stomaco, un entrare dentro la conoscenza, dentro ad un abisso fatto di olio liquefatto che si scalda al minimo passare che si fa complice di un delitto immutabile, una tragedia in suono che è il perno per l’abbandono e la rinascita, ancestrale raccordo tra due mondi che si fanno portatori di una conoscenza che assurge l’individuo ad essere totalizzante, vero immediato e reale; suoni che escono da qualsivoglia parte di sperimentazione sonora, reale e incomprensibile, sfuggevole e disinvolta: reale materia per i nostri incubi migliori.

Quattro nomi e zero presentazioni: Merzbow, Gustafsson, Pandi e Thurston Moore, ancora assieme dopo il sorprendente Cuts a ricucire ancora le ferite degli animi, ancora assieme a cercare di dare un senso alla esplorazioni verticali rumorose dell’elettronica noise contaminata dal free jazz e dalle incursioni malate di Moore a dare il valore aggiunto ad un disco che non si lascia di certo intrappolare in un determinato genere, ma piuttosto ne ridefinisce altri.

Quattro tracce e due dischi, si si proprio vero, un viaggio nell’inferno cosmico dell’immaginazione, dove ai nostri giorni chi non osa, chi non riesce a riappropriarsi del volo è costretto a rimanere ancorato a radici che ti inchiodano al suolo senza via di fuga.

Il disco è l’esemplificazione totale di che cosa può diventare la musica oggi: opera d’arte contemporanea senza mezze misure.