Please Diana – Esodo (Phonarchia Dischi)

C’è l’elemento naturale nel nuovo disco dei Please Diana, il correre avvolti dal vento nel prato lontano da casa, quel prato che ricorda in qualche modo l’infanzia, gli anni andati e forse sepolti, quel prato che è calore nel nostro vivere e carezza prima di addormentarsi, tra la notte e il giorno, il brusco risveglio e l’inizio della strada da fare, attraverso i labirinti della nostra mente, delle parole che sono gesti, che diventano elementi in grado di dipingere porzioni della nostra anima attraverso l’uso di disegni mentali ricreati per l’occasione nell’intento di convincere e di farsi largo utilizzando una poetica asciutta, introspettiva sì, ma non troppo tra i Marlene Kuntz e qualcosa che sa di Brit pop degli anni ’90, una fuga ideale per consegnare all’ascoltatore una prova dal forte fascino che si muove e si destreggia con efficaci trovate, dal Percorso iniziale fino a Felina per inglobare riuscitissimi pezzi come Pandora, Settembre o Eroi per far quadrare il cerchio ricreando, anche solo per un momento, l’effetto della brezza mattutina nel pieno dell’Autunno, con la consapevolezza che le soddisfazioni in vista, saranno ancora tante.

Martino Adriani – Agrodolce/Racconti d’amore fra fegato e cuore (Autoproduzione)

Presentarsi alla persona che si ama con un bouquet di cipolle penso non sia un’idea geniale, se proprio non ti chiami Martino Adriani, cantautore campano che fa dell’irriverenza la propria arma di sfogo e tra rime improbabili e futuri non troppo rosei il nostro snocciola in modo naturale nove canzoni che sono l’emblema sarcastico del nostro vivere quotidiano, nove tracce che studiano la società, la osservano riuscendo a concentrare i vissuti in pezzi dal forte risalto poetico, senza chiedersi troppo, ma nel contempo senza esagerare, grazie ad un utilizzo di parole ben calibrate che portano l’ascoltatore a creare punti di intesa con la poetica squinternata del nostro, un cantautore senza peli sulla lingua, capace di mescolare cabaret a musica d’autore appunto, in bilico tra il Gaber migliore e un Jannacci al vetriolo, Martino Adriani sfodera una capacità di far sorridere da primo della classe, tra appuntamenti, partite domenicali e donne sognate il nostro ci trasporta all’interno del suo strampalato mondo che a dire il vero è anche un po’ il nostro.

Zocaffè – Esaurimento (Phonarchia)

Il suono della coscienza che non comunica, ma tenta attraverso spiegazioni di vita quotidiane di riconciliare quel tutt’uno con racconti considerevoli che lasciano il tempo alle spalle per parlare di attimi di vita vissuta, di esaurimenti spontanei, conglobati al suolo per ristabilire un ponte con il passato, un cantautorato che si esprime, a tratti sbilenco, per dare vivacità ad un sostanziale bisogno di comprendere le piccole impalcature della vita, i piccoli e necessari meccanismi che permettono o che almeno tentano di entrare dentro ai sentimenti vissuti in noi, dentro proprio a quegli attimi che grazie al duo toscano prendono forma e stabiliscono con l’ascoltatore un bisogno quasi essenziale di percepire le nostre debolezze.

Un ritorno al passato dove il folk abbraccia la canzone d’autore, dal non sense di Rino Gaetano, passando per Lucio Battisti e per tutta la tradizione della musica leggera italiana, un conglomerato centellinato di piccole perle ad identificarsi con il mondo che abbiamo vissuto, come una fotografia nostalgica che ricopre la stesura di testi ironici, ma non troppo, dove il fondo di coscienza ristabilisce un certo equilibrio e una certa dose di coraggio nel progredire, nell’andare avanti e soprattutto nello stupirsi grazie ad un suono fresco e convincente.

Antonio Giagoni e Gianmichele Gorga riescono nell’intento di creare aspirazioni sonore in grado di colpire in profondità, grazie ad una formula rodata e una capacità alquanto preponderante di far sorridere intelligentemente.

I misteri del sonno – Il nome dell’album è i misteri del sonno (LaRivoltaRecords)

Rock d’avanguardia clashato tutto in italiano che fa l’occhiolino alle produzioni straniere e a qualche altra cosetta del nord Italia, pur mantenendo una costante ricerca e attenzione per il suono ruvido e divincolato dando forma e sostanza a nuove poesie 2.1 che prendono spunto e appiglio dalla quotidianità, quella quotidianità e quell’essere che inonda i nostri giovani leccesi di un’aurea di intoccabilità e mestiere, produzione egregia e attenzione al particolare che non li fa dimenticare nel brodo del nuovo millennio, ma li proietta direttamente all’attenzione di chi la musica la fa ogni giorno.

Sono dieci pezzi in un susseguirsi di testi diretti intercalati da sognanti pensieri che decollano dal potenziale singolone Resto in casa per passare a canzoni memorabili come L’uomo dell’anno, dimostrando interessante l’approccio anche nella coralità e nell’utilizzo delle voci, fino all’avvolgente blues nel finale di Sugar Man di Rodriguez senza dimenticare la spaventosamente bella, più dell’originale, I am happy dei Soerba.

Un disco tutto d’un pezzo, da cantare mentre magari fuori piove, per dare un po’ di luce alle giornate piovose post primaverili in attesa dell’estate che deva ancora arrivare.

Verdiana Raw – Whales know the route (Pippola Music)

Incrociatori sonori che in modo ampio assecondano il moto ondoso della nostra anima per divincolarsi egregiamente dalle produzioni italiane dell’ultimo periodo e intascando una prova che sa di internazionalità vissuta e soprattutto pensata, ricca di atmosfere eteree e suggestive, capaci di creare una suggestione univoca carica di sorprese e lontana da qualsivoglia incasellamento per un disco ammaliante di bellezza e di luce.

Verdiana Raw fa sua la prova del tempo, una gestazione che da vita percependo gli anfratti della nostra coscienza in modo silenzioso, del tutto personale e immedesimandosi in ciò che verrà; ascoltare Verdiana Raw è sentire in lontananza gli echi degli Ours e del suo Jimmi Gnecco intrappolato nella mente di Tom Mcrae, abbracciando le sofisticazioni di Anohni e intessendo trame fondamentali per gli sviluppi di un disco tendente all’etereo e al sognante.

Ecco allora che le canzoni si fanno strada, partendo dalle trame circolari di Time is circular per concludere il viaggio con una title track di un’efficacia disarmante.

Le balene ci portano a seguire la strada giusta, ci portano sempre un po’ più là, oltre il conosciuto e oltre le formule dei preconcetti, un album personale, intimo e raccontato, una vita che esplode e noi pronti attorno, ad accoglierla nuovamente.

Il pinguino imperatore – domeniche alla periferia dell’impero (Stormy weather)

Commistione e substrati di intellegibilità che vanno oltre l’idea di musica pre confezionata, ma che si stagliano  all’orizzonte in un pot pourri di colori vivaci e ironici capaci di intrattenere un pubblico esigente e affamato di novità.

Definirlo avant rock sarebbe quasi riduttivo, infatti i nostri riescono nell’intento di affinare una tecnica cresciuta nel tempo per confezionare una prova esigente e in perfetto equilibrio tra un Zappa d’annata e un Elio attuale passando per l’energia sviscerale degli At the drive in fino a scomporsi nella magia delle parole dei Marta sui tubi, per testi che sembrano portatori di un non sense quasi dichiarato, ma che dopo numerosi ascolti si fa reale e tangibile, ricco di costrutti e parole nascoste che acquisiscono senso e significato; una poesia dentro la poesia per una prova che stupisce e lascia all’ascoltatore interpretazioni variegate ed emozionali.

Sono dieci canzoni sospese, personali e corrosive, entrano con facilità e il senso di smarrimento iniziale si placa fino a scorrere lungo le profondità del finale lasciato a Cul de sac per un album fatto di sostanza mutevole e preziosa, da custodire in questi tempi bui.

The Clipper – Second Hand Market (LaRivoltaRecords)

Musica diretta e avvincente che è pronta a ricoprire gli spazi, pronta nel consegnarsi al tratto spigoloso per ritornelli facili e corali che danno vita ad una prova intensa per certi versi, con rari momenti di fragilità interna; di una musica che parla di aspirazioni, una musica che ricopre spazi abissali per concedersi ad aperture sonore che già si percepiscono reali nella traccia d’apertura Lost.

La band salentina, The Clipper, si lascia andare ad elucubrazioni che inneggiano ad un passaggio di stili e schiettezza che ci vede ingabbiati all’interno di un mondo da guardare con occhi tristi e che ci rende partecipe del suo continuo mutare, cantano di essere come passeggeri sul treno dei ricordi, cantano  di ineluttabilità in Try to change the world, quasi a segnare un percorso concentrico che porta a guardarci dentro, con una schiettezza quasi punk condita da alcune sofisticazioni elettroniche che non guastano, ma imprimono calore al tutto.

Un buon disco questo, un album capace di rielaborare concetti non sempre facili, ma sicuramente attuali, tracce su tracce, come passi nel nostro cammino, a riscoprire la via, a tentare di essere diversi in una terra che così non ci vuole.

Mutante – Essenza Perfetta (LaRivoltaRecords)

Image of MUTANTE - "Essenza Perfetta"

Pop rock condito da sprazzi di elettronica che intasca una prova convincente sotto ogni punto di vista, partendo dagli arrangiamenti ben congeniati, fino ad arrivare al nocciolo, scorrendo il sapore del tempo che si respira in questo disco, del tempo che perdiamo e di quello che pensiamo di acquistare, anche senza saperlo e di conseguenza senza utilizzarlo a dovere.

Valentina Grande presta la voce al progetto Mutante, che forse già nel nome, porta un’evoluzione sonora sempre nuova e cangiante, in grado di non accontentarsi, ma di sperimentare e valutare le situazioni che si presentano, per consegnare, a chi ascolta, un risultato del tutto inaspettato e inusuale.

Di radice ed estrapolazione jazz la nostra è coadiuvata dalla chitarra e dagli arrangiamenti di Aldo Natali, chitarrista conosciuto in molti progetti di musica indie italiana, dalla batteria di Alessio Borgia e dal basso di Federico Pecoraro.

Un disco istintivo, che parla di sentimenti e come ama definire Valentina, è un disco che piega l’italiano alla musica, lo contorce ad alte temperature per adattarlo in maniera molto morbida e sentita alla musica che non fa da sfondo, ma imprime sostanza sempre nuova nella galassia di dischi che ogni giorno possiamo ascoltare.

Nulla di trascendentale, ma ottima capacità espressiva che parte dal bellissimo singolo Essenza Perfetta fino a concludere il tutto con Il dono; un apparato di amori perduti, di sentimenti che fanno parte di ognuno di noi, attimi di vibrante attesa, per i sogni futuri che non ci vedono come figurine statiche, ma energie vitali da regalare agli altri.

La notte – La notte (TirrenoDischi)

Ammantati dalla sola oscurità che riesce nell’intento di sovrastare qualsivoglia forma di luce, questo primo Lp costringe l’ascoltatore ad abbottonarsi per bene il cappotto per andare incontro ad un qualcosa che a fatica sappiamo interpretare.

Suoni psichedelici di matrice ’70 che incontrano molte chitarre di Gish e di Mellon Collie dei compianti Pumpkins per dare sfoggio reale di un costrutto che tiene conto di un cantato italiano che delinea maggiormente un’indole di carattere credibile e sincera dove l’improvvisazione e la sperimentazione si fondono con grande stile e sicurezza nel creare strutture sonore mature e acide, a tratti spigolose, a tratti sviscerali ed emozionali, quasi a completare il senso di impotenza interiore che ci accomuna.

Testi taglienti di forte connotazione tangibile e verista, che ti sbattono in faccia la realtà così com’è, senza mezzi termini e mezze misure.

Addentrarsi nella notte significa fare i conti con noi stessi, con quello che siamo e con quello che siamo stati, a ricercare i colori dove il nero prevale, tra le scale di grigi importanti e quella paura, quasi mistica, nel riscoprire traccia dopo traccia, che anche Noi siamo parte di un qualcosa di più grande, lontano, inesplorato, ma sempre acceso nei nostri cuori.

Secondo Appartamento – La minore Resistenza (Labella)

I Secondo Appartamento esplodono con le melodie della cena, le melodie di una festa dove i partecipanti raccontano lo svogliato vivere e il contribuire a percepire ogni sostanza come fosse propria senza però assaporarla attraverso messaggi di empatia e comprensione.

Ecco allora che il padrone della festa ci fa entrare in un mondo fatto di racconti anche nostri, vissuti in prima persona, tanto affascinanti quanto sentiti, tanto tesi ad essere forma mutevole e concitata di quella capacità intrinseca nel far innamorare, contribuendo a disegnare la nostra esistenza, abbandonando le scale di grigi in una quadricromia che sa di mare.

Canzoni che sanno di acqua, di pioggia e amore vissuto, sotto attimi di sconforto e pura vita elegante e coinvolgente.

I colori esplodono e vivono da Io non ho paura fino a dal Polo al Giappone per dare vita a quell’esistenza non compressa, ma condivisa, che ha molto dei maestri del cantautorato di un tempo, ha molto di quella perspicacia nello spiegare un concetto, ma allo stesso tempo si divincola, creando materia di puro, vero e sentito conforto.