Cesare Malfatti – La storia è adesso (Riff Records/Goodfellas)

Liberamente tratto dalla storia di Valeriano Malfatti, sindaco di Rovereto prima della Grande guerra e prozio dello stesso cantautore, il nuovo disco del musicista milanese è un tuffo a pieni polmoni nella storia, attraverso scritti, lettere, parole, documenti e pezzi di animo interiore a ricondurre una strada circolare che porta verso un luogo che non conosciamo, lungo le vie delle nostre radici. La storia è adesso è un piccolo gioiello di rara intensità, si presenta corredato di un piccolo giornale, un quotidiano da sfogliare, con all’interno i testi delle canzoni e fonti dell’epoca a raccontare la storia di questa figura che ha fatto in qualche modo la storia del Trentino per come lo conosciamo. I testi scritti da numerosi, grandi autori italiani, come Alessandro Cremonesi, Luca Gemma, Antonio di Martino, Marina Petrillo, Alessandro Grazian, Luca Lezziero, DanyGreggio, Angelo Sicurella, Giulio Casale, Gianluca Massaroni, Fabrizio Coppola, Giuseppe Righini, Luca Morino sono parte fondamentale di un percorso racchiuso da una musica a tratti opprimente, ma che in qualche modo dipinge un periodo e la sua delicata intensità. La struttura portante delle quindici canzoni proposte poi utilizza le Macchine Intonarumori campionate a creare un ponte tra passato e futuro. Il disco di Cesare Malfatti è un’introspezione continua di bellezza che rende tangibili e vivide nel ricordo le pagine delicate di una vita passata che sente il necessario bisogno di uscire allo scoperto. 


Emotu – Meccanismi Imperfetti (Autoproduzione)

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Suoni elettronici e vagamente new wave che intercorrono attraverso le emozioni e le vicissitudini di questo disco compresso in poetiche industrial pronte a rinfrancare l’animo romantico di una musica dal facile ritornello, ma dalle intersezioni mai banali che trovano nel vissuto del momento attimi per raccontare una storia da vivere in primo piano. Gli Emotu creano atmosfere davvero importanti per un album concentrico che sembra quasi parlare vicino al cuore, ma in maniera del tutto inusuale, Meccanismi imperfetti parla di noi e dei nostri fallimenti, Ogni cent’anni, la canzone d’apertura nonché primo singolo estratto è un gioiello di pura necessità che si fa ascoltare più volte per poi proseguire processi di installazione sonora con pezzi come Vento a Monastir, Eva su Marte, Actarus o la bellissima, nel finale, Vertici precipizi. Gli Emotu ci consegnano una prova matura e stilisticamente importante che sicuramente non segue le mode del momento, ma piuttosto si rifugia in un passato che vedeva ancora la forma canzone come punto fondamentale e di di sicura valenza nel lanciare un messaggio. Meccanismi imperfetti è una sorta di strada da seguire in questo labirinto chiamato vita che trova nel ricordo un filo necessario per la nostra libertà. 


GDG Modern Trio – Spazio 1918 (Brutture Moderne)

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Saliscendi emozionali su asteroidi introvabili e carichi di velocità espressa attraverso forme alterate di poesia urbana incrociata ad un free jazz sporcato dall’elettronica e dall’improvvisazione per un risultato di chiaro stampo conteso e lisergico. Ascoltando i GDG Modern Trio sembra quasi di fare un salto ai tempi di Amnesiac dei Radiohead quando le sperimentazioni erano in funzione di una canzone che poteva diventare pop o comunque di facile fruibilità, mai estrema, ma piuttosto in grado varcare la soglia dell’astrattismo per portarci in una comunione unisona con gioielli di rara bellezza e di rara intensità. Spazio 1918 porta l’ascoltatore in una dimensione parallela e ben studiata grazie all’esemplificazione di undici microcosmi sonori e interstellari che permettono un viaggio che si spinge su strutture architettonicamente ineccepibili e cariche di appeal in un processo magnetico che trae soddisfazione dal connubio reale-fantastico di una musica da assaporare in ogni sua più piccola sfumatura. 


Youarehere – Plus Ultra (Fresh Yo!)

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Multisfaccettata prova d’insieme che annusa il desiderio di compiere inversioni elettroniche in tappeti creati per l’occasione ad incidere degnamente su di un programma analitico che convince per dinamicità proposta ed eleganza alternata al canto. La prova dei Youarehere è attenzione per le avanguardie e bacino che si allarga nel intessere trame, architetture, geometrie con un mondo in espansione, citando un modernismo d’insieme che affonda le proprie radici negli anni ’90 per poi spostarsi a suon di beat sincopati alla techno tedesca in un approccio che si scioglie in due capisaldi contemporanei come Modeselektor e Apparat alla continua ricerca del suono giusto, del suono contagioso per un terzo album sulla lunga distanza che pone la band romana come tra le più interessanti del panorama italico di genere. Una band che riesce a far ballare e contagiare senza usare l’aggressività, ma piuttosto ponderando al millimetro ogni parte della canzone, ogni singolo frammento di vita che in questa musica del nuovo millennio trova punto di sfogo nell’essenzialità di un ritmo che farà scuola. 


Rumor – Ti ho visto ad alta voce (Junkfish Records)

Punk elettronico intriso di bellezza estetica, magnetica in grado di attraversare mondi tra pensieri circostanziali e cantautorato umanamente in distorsione catalizzato da forme sintetizzate di universi letteralmente lontanissimi, ma pregni di musica d’insieme. I Rumor sono un duo composito e grazie a questo loro primo disco Ti ho visto ad alta voce riescono ad entrare in simultanea con un pensiero che accomuna e ci rende partecipi di una quotidianità fatta di tensioni e illusioni, di speranze e desiderio di poter consegnare qualcosa di veramente bello a chi verrà dopo di noi. Carnival fa da apripista ed è singolo magmatico pregno di significati per poi via via confondersi con un approccio intavolato a dovere dove lo strumentale accenna a riprese lasciando il posto a pezzi come Neve, Paura, Incendio. Ti ho visto ad alta voce è un disco complesso, nulla è banale nelle elucubrazioni di Marco Platini ed Elia Anelli, nulla è dato per scontato e forse questa è la forza principale di questa colorata incisione lasciata al tempo che verrà. 


Rigolò – Tornado (Antropotopia)

album Tornado - rigolò

Il viaggio come ispirazione a mondi lontani, il viaggio percepibile di questo Tornado, disco sopraffino capace di entrare all’interno di un folk alternativo di matrice americana e nordica impreziosendo l’ascolto da risvolti di violoncello che non si fa puro sottofondo, ma piuttosto risulta essere parte fondante e preponderante di un tutto davvero interessante. I Rigolò acquisiscono capacità empatica in questo disco, lo fanno con brani che si abbandonano ad uno strumentale che sa di magia per poi pian piano ritornare ad un cantato dolce e mai melodrammatico, ma piuttosto consapevole nel dare un senso di riempimento a stanze vuote, nel fissare con lo sguardo la campagna che si apre a nuove forme di interesse in un cerchio che racchiude la partenza e proprio nella partenza trova il suo naturale punto d’approdo. Apice del disco la bellissima Society in un rincorrersi di eventi di rara intensità per una band che fa dello stupore continuo la propria chiave di lettura, il proprio desiderio infinito di andare lontano. 


Gli occhi degli altri – Non ci annoieremo mai (Edac Studio)

Respirare alberi lontani e maturi sulle rive di un lago che restringe il campo d’azione e a fianco le montagne imponenti che pian piano si diradano verso una pianura nebbiosa, sconfortante malgrado le intenzioni, attesa invece per entrare in un mood, in uno stile fattosi incarnazione di un disagio pronto a riparare un vuoto di cuore che ci portiamo dentro. Gli occhi degli altri intensificano di lirismo poetico un bisogno essenziale di non appartenenza alla terra circostante anche se il tutto suona quasi come un ritorno, come necessità intrinseca di vita da percepire a pieni polmoni per rasserenare la parte più lontana di noi, la parte che ci tiene attaccati al suolo. Una parte quindi che si fa apertura in questo Non ci annoieremo mai fatto, costruito da pezzi simbolo come La stanza, la bellissima Smetto Ieri o Piove dentro fino a Lo Fai in un ripetersi corale di processi e di ritornelli, un ridondante bisogno di comunicare un concetto che trova la sua massima altitudine nel senso di vuoto attorno, nel senso più profondo e sporcato di rabbia che convince ed esplode nel momento giusto. Il disco dei nostri parla di fragilità, ne parla così bene da sentirlo sotto pelle in un concentrico abisso di possibilità che rende la proposta presentata un volo ad occhi aperti da poter incanalare oltre ogni aspettativa.

Fiori di Hiroshima – Horror Reality (Phonarchia Dischi)

Paura compressa a dismisura che attanaglia e ci impedisce di vivere il momento, una paura che entra subdola nella nostra società e non esce, anzi si radica all’interno fino ad implodere in schegge impazzite che sono parte imprescindibile di ognuno di noi. I Fiori di Hiroshima analizzano il mondo che ci gira attorno, lo fanno dal lato oscuro della luna e non si accontentano di canzoni fine a se stesse, ma inglobano piuttosto un concetto che rende omogeneo l’intero lavoro, un lavoro fatto di passione, sudore, amore per la musica e soprattutto un’esigenza di andare oltre al già sentito in un’internazionalità di fondo davvero sorprendente. In Horror Reality ci sono elementi blues che si inerpicano su riff da scimmie artiche e consegnano un lavoro a tratti oscuro e a tratti smussato e tagliente. Pezzi come la title track, La terra dei mostri, Il mare o il delirio messaggistico finale di Output sono emblema di un bisogno nel denunciare un’oppressione costante, fino all’ultimo respiro, fino a quando il nostro incubo avrà fine, forse, un giorno.

Emmanuelle Sigal – Table Rase (Brutture Moderne)

Cancellare tutto, ripartire da zero, trasformare il tempo che passa in un qualcosa che non fa paura, in un qualcosa che resta, con leggerezza e disimpegno, attraverso l’uso di parole semplici che abbattono la consuetudine e si soffermano su ciò che è veramente importante e che ci riguarda da vicino. Il nuovo disco di Emmanuelle Sigal è un ripartire dagli inizi, grazie ad una musica soppesata e conturbante la nostra scivola sul velluto di un suono sempre in tiro e ben movimentato che abbraccia le consuetudine di una musica d’autore per passare ad un gipsy che salta nel carro del jazz e si installa fino a creare melodie, giochi di parole, rimandi con il passato davvero importanti e apprezzabili. Le nove tracce proposte sono lo specchio di una cantautrice in evoluzione che per l’occasione trova la collaborazione del chitarrista Marc Ribot in un sodalizio che ben si esprime in pezzi come Table Rase, Bless o Small Talk per un album che lascia il segno sin da subito e si appresta a valorizzarne il titolo grazie ad una freschezza esistenziale che a fatica trova eguali.

Etruschi from Lakota – Giù la testa (Phonarchia Dischi)

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Citazionismo westerniano che si imprime all’interno delle corde pensanti di una band che sposa il blues con il rock per un suono davvero sensazionale e ricco di rimandi atmosferici e dove una voce graffiante e ben condita, tra un Gaetano e un Appino, amalgama racconti di vita e di passione che sembrano non voler concedere attimi di fiato. Gli Etruschi from Lakota sono tornati e grazie a questa prova snocciolano, come in un film, una serie di pezzi da colonna sonora atemporale, fuori da qualsiasi attimo che possiamo immaginare, quasi anacronistici, ma tendenti al futuro, in sodalizi maturi che nell’espressività del momento trovano un punto di fuga dalla realtà che li circonda e che li vede protagonisti. Canzoni come Eurocirco, Giù la testa o la finale, quasi inno generazionale Viva l’amore, non si dimenticano facilmente, anzi sostengono una struttura portante ricca di rimandi alla vita di tutti i giorni con un piglio di maturità e originalità capace di creare atmosfere uniche e di facile ascolto pur non rinunciando alla tecnica e all’architettura cangiante dell’intero disco. Giù la testa parla di rivoluzione e di rispetto, di occasioni da cogliere e di nuove possibilità, il tutto in chiave moderna e alquanto lontana dal precedente album segnando un percorso impattante per la stessa band e per le soddisfazioni che riserverà loro il futuro.