Gino Canesten – Il passato è una falciatrice a cottimo (Private Stanze/Kizmaiaz)

Sulfuree concentrazioni di sghembe visioni si fanno caleidoscopio psichedelico all’interno di momenti di vita quotidiana incasellati, ma mai esplicati, in un aprirsi a territori interiori che crescono e mai si colorano. Gino Canesten cesella un disco ricco di rimandi alla scena d’autore italiana del tempo passato, De André su tutti, incentrando una poetica di relazioni all’interno di un’essenziale visione strumentale che sorregge un’impalcatura salvifica concentrando l’attenzione sulla parola e sui racconti di vita narrati. Il passato è una falciatrice a cottimo sembra già dal titolo e dallo pseudonimo dell’autore un disco fatto di pezzi irriverenti e scanzonati. Non è assolutamente così. L’album in questione è uno spaccato amaro di questa nostra società. Un insieme di canzoni che scavano in profondità e colpiscono quando meno te lo aspetti tanto da fare male.


Fargas – L’esordio dell’innocenza (Private stanze/Gadoev/Kizmaiaz)

Fargas, “L’Esordio dell’Innocenza”: La recensione

Loop conturbanti e ben calibrati che ossessivamente ripercorrono la strada verso casa per cercare inequivocabilmente di trovare nuovi angoli da inquadrare, nuove fotografie da rendere vere, reali. Ritorna Fargas, all’anagrafe Luca Spaggiari, portandoci all’interno di movenze marine che ricordano l’estate e l’odore inequivocabile della bella stagione. Pezzi che si amalgamano e si intrecciano. Mai celati bisogni di implementare bellezza all’interno di territori conturbanti e resi magnetici da una capacità inequivocabile di curare il dettaglio, la forma e la sostanza. Un EP cristallino questo. Calafuria, Deauville, Trieste, Folegandros. Il mare al centro di ogni meta. Il mare come scusa necessaria per partire e non ritornare. Il mare che diventa tuffo suadente e sopraffino all’interno della musica alternativa italiana.


Emiliano Mazzoni – Emiliano Mazzoni (Private Stanze / New Model Label)

Perpetua visione di un universo nuovo da scoprire dove elementi di una quotidianità pregna di verismo si mescolano con visioni psichedeliche d’oltreoceano a stringere elementi di una musica d’autore mai in disuso, ma che piuttosto è capace di indossare il vestito migliore per colpire a fondo lungo le strade dell’esistenza. Emiliano Mazzoni con il suo disco omonimo racchiude un segreto quasi fanciullesco. Nell’album del cantautore modenese ci sono paesaggi da vivere, esistenze da percorrere, ma c’è anche quell’ingenua illusione del bene fatta di prati e nuvole, di semplicità da respirare a pieni polmoni in un’eterna corsa alla ricerca del bambino che risiede in noi. Otto sono le tracce e altrettanti sono i sogni raccolti in questa manciata di canzoni soppesate. Emiliano Mazzoni compone un disco introspettivo che parte con Quei mercantili fino a Immensamente Margherita solcando i mari della nostra immaginazione, tra un arpeggio di chitarra, un blues disegnato bene e dove i ricordi del tempo vincono su ogni cosa.


Gappa – Passeggeri (Private stanze/New Model Label)

GAPPA - Passeggeri - Radiocoop

Delicata introspezione d’insieme che sfiora in modo leggiadro, sincero e composto il mondo del disagio psichico attraverso un intelletto sopraffino in grado di garantire introspezione, apertura, empatia e profondo rispetto nei confronti di un universo spesso dimenticato. Il cantautore psichiatra Gaspare Palmieri ci regala una prova matura e ricca di personale visione delle cose. Un disco dove il cantautorato diventa punto necessario e l’insieme di un blues aperto alla musica d’autore rende importante la riflessione aprendo allo spazio tempo che ci troviamo ad affrontare e raccontando vicende che fanno da base alla strada da percorrere. La caverna diventa apertura, passando per la bellissima title track, Gregor Samsa, Nei cieli di Modena in una folle visione che si apre alla normalità. Passeggeri è un disco complesso. Un album segreto, nascosto e nel contempo aperto alla riflessione. Un album sincero e proiettato in questo e altri tempi.


Hibou Moyen – Lumen (Private Stanze)

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Poesia raffinata in musica atterrata al suolo da costrutti emozionali che rendono il suono d’autore del nostro, arrivato ormai al quarto album, un punto fermo di sostanza e di bellezza da assaporare ascolto su ascolto. Le incursioni folk e autoriali affondano nell’alternative dei novanta e creano una comunione d’intenti con un disco omogeneo, ma nel contempo stratificato dove le sferzate elettriche si accoppiano in modo del tutto naturale con ballad purissime capaci di incontrare Beatles e Radiohead in un ascolto che diventa parte necessaria di un qualcosa di più grande. Da Uragano fino a Preghiera dei lupi il nostro riesce a dare forma e sostanza ad una realtà che va ben oltre la quotidianità, il tutto attraverso un linguaggio a tratti etereo e sognante, a tratti crudo e vero. Un album intenso quello di Giacomo Radi. Un album che nel suo insieme trova la direzione matura da seguire nel complesso e intricato mondo delle produzioni musicali odierne.


Fabio Cinti – La voce del padrone/Un adattamento gentile (Private Stanze)

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Archi proiettati a ricoprire di sedimenti lunari un disco che brilla di luce propria e costruisce impalcature spogliate di ogni orpello per mostrare corpo e anima d’importanza scaturita in un Battiato pop che come quadro risplende nel tempo, oggi più che mai. Fabio Cinti con questa piccola perla dal gusto sovra estetico vince il Premio Tenco duemiladiciotto nella categoria Interprete di canzoni. Un album che riprende di pari passo l’essenzialità di un insieme di brani che hanno fatto la storia della musica italiana per come la conosciamo. Il nostro si trova a proprio agio nel ricoprire di un qualcosa di indispensabile una musica magnificamente popolare. La voce rimanda facilmente al maestro siciliano e gli arrangiamenti curati per una sessione d’archi e pianoforte costruiscono atmosfere oniriche che guardano lontano, riempiendo di bellezza continua corto circuiti e vuoti siderali.  La voce del padrone, Un adattamento gentile è prima di tutto una prova di coraggio che riscopre, nell’unicità, la purezza di un momento che non tornerà più. 


Mario Alessandro Camellini – Un pianeta su nove (Private Stanze)

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Oblio in profondità a ricercare nel nostro cuore valvole cardiache per il buio che verrà. Profondità sospinta ad arte in un parlato in primo piano che diventa cantato interrotto da poesie che raccontano di mondi claustrofobici in altrettanti mondi di fragili rapporti e bellezza fotografata ad istanti. Mario Alessandro Camellini dà forma a qualcosa di desueto, ma di sicura presa, un disco concentrico che analizza, con lo stile e il coraggio del poeta maledetto, un mondo in cambiamento tra nichilismo e senso costante di osservazione con il cannocchiale oscuro della vita, raccontando di vite e di bassezze, di sconfitte e traguardi che non raggiungeremo mai. Un pianeta su nove è un’opera ostica di questi tempi, ma necessaria, un album che ricorda gli scritti di Luca Barachetti, otto tracce metafora di un mondo in decomposizione, otto tracce che colpiscono nell’anima con fare introspettivo, calato nella realtà, un disco quindi riuscito.

May Gray – Ritorno al sereno (Manitalab/Private Stanze)

Copertina di May Gray Ritorno al sereno

Maturità artistiche nei già conosciuti May Gray grazie ad un disco profondo nella superficie del pop sognante e in grado di attraversare il nostro stato umorale trasformando una grigia giornata in qualcosa di ammirevolmente accecante. Le canzoni di facile appeal a cui ci avevano abituati continuano in una solidità della proposta davvero interessante. Una proposta vista con gli occhi di chi tenta giorno dopo giorno di dare fantasia ad un mercato saturo di inventive, ma come in questo caso in grado di confezionare una musica che non ambisce a delimitare confini, ma piuttosto evapora sognante nei flutti dell’immediatezza da assaporare nell’attimo che trascorre giorno dopo giorno. Canzoni come Camilla, Testa in tasca, Tra di noi, Via Pennisi non passano di certo inosservate scardinando un rock alla Foo Fighters che incontra i nostrani Ministri e i FASK in suoni che si prolungano a dismisura in cavalcate elettriche davvero energiche e invitanti al pogo sfrenato. Ritorno al sereno è il bisogno di guardare verso una direzione, scegliere una continuità captando odori e profumi di un attimo da custodire e quando meno te lo aspetti con quello stesso attimo avere la possibilità di cogliere ogni percettibile sfumature dello scibile umano.

Hibou Moyen – Fin dove non si tocca (Private Stanze)

Cantautore introspettivo e delicato che accarezza la vertigine del mare per affondare montagne sottosopra all’interno di un’acqua che sa cullare, ma che sa anche far male, grazie ad un sostanzioso appeal di ricerca cantautorale che ricorda molto i primi lavori di Umberto Maria Giardini – Moltheni, qui guarda caso in veste di produttore dell’intero album, per canzoni che si snocciolano nei meandri della nostra coscienza, donando freschezza a parole desuete e quasi dimenticate, ritornando in qualche modo a ciò che erano gli anni ’90 grazie anche a tutta una serie di corrispondenze con il folk malinconico americano; basti pensare a pezzi immaginifici e bellissimi come la traccia d’apertura Il naufragio del Nautilus, quella barca dispersa nel mare per poi toccare punte di alta poesia con Efelidi fino ai Miei Nodi e Pallida erba per un concentrato di solitudine misteriosa che riesce ad abbracciare la natura in un porto disperso oltre le nostre abitudini e per un disco in grado di farci riappropriare del tempo perduto, tra le cose lasciate e quelle che troveremo: un album questo che ha il sapore delle cose migliori, un cantautorato incontaminato che deve continuare ad essere preservato.

Emiliano Mazzoni – Profondo blu (Private Stanze)

Cantautore sopraffino che incrocia egregiamente la lezione di De André per passare all’internazionalità dei compianti, ma pronti alla rinascita Cousteau, per atmosfere notturne e marine che assaporano l’identità del Badalamenti di inizio ’90 in una ricerca sonora che vede un pianoforte guidare efficacemente racconti interiori e di una bellezza traboccante, abbandonando il frastuono di ogni giorno e scavando dentro, un piccolo posto dove vivere, un piccolo posto dove abitare, un posto da raggiungere per trovare finalmente un porto in cui vivere.

Emiliano Mazzoni è delicatezza in musica, quella capacità rara di esprimere con le parole gli attimi che ci siamo lasciati alla spalle, sul filo del rasoio, tra introspezione verista e amarcord emozionali che hanno il profumo dei fiori dei campi che odoravamo da piccoli, queste dodici canzoni sono la summa di un pensiero che è vita già nel primo pezzo Al mio funerale fino a quel S.Valentino nella cassa che è un ritorno alle origini, passando per una figura materna raccontata e intravista tra fotografie ingiallite e quel passare del tempo a far da sfondo per istantanee che non torneranno più.

L’idea di mettere in musica tutto questo sa di nostalgia  che attanaglia e lega il cuore a qualcosa che non possiamo definire, questi pezzi sono le tracce di qualcosa che ci siamo lasciati dentro e che, come mare in tempesta, custodiamo segretamente, pronti a quell’esplosione finale che sa di tiepido abbandono e di sorrisi negati.