Selva – Eléo (Overdrive/Shove/Goodfellas)

Quattro tracce da contorcersi e volerne ancora, boccate di ossigeno prezioso per acqua ad annegare le speranze in suoni cupi, oscuri, taglienti che si rincorrono concedendo spazi fuori moda e inseguendo aspirazioni ed esigenze di comunicazione che vanno oltre ogni singola speranza o spirito di sopravvivenza.

Selva è disordine metal impresso nel post rock più estremo alla ricerca di una via nelle profonde viscere da seguire perpetuando una serie di congiunzioni che si stagliano nell’integrità precostituita per una band che non ama le mezze misure, rievocando fantasmi degli abissi, rumori in pressofusione per canzoni che si dipanano da Soire a Nostàlgia passando per Indaco e Alma, proprio quest’ultima suonata con Nicola Manzan agli archi, per un suono esplosivo che nella dimensione live riesce a rendere maggiormente il significato di una rabbia pronta a secernere ambizione fuori controllo.

Corrosivi quanto basta i Selva sono pronti a scardinare qualsivoglia forma di concetto pop per farvi entrare, di prepotenza, nel loro mondo fatto di tanta sostanza.

 

Three times nothing – Paper (Tesla Dischi)

Progettare di volare e magari vivere per sempre in un subbuglio suscettibile di anime dimenticate all’oblio post rock che incanala i pensieri del nuovo secolo e ci rende in qualche modo prigionieri di una gabbia da cui non riusciamo ad uscire, soppesati corpi in vortici galleggianti, pronti per l’ultimo abbraccio prima del tramonto, prima di essere delle persone nuove, magari con un anno di più, magari con un po’ di tempo in meno.

Vengono da Genova i Three times nothing e grazie a puzzle emotivi impattanti, ricordando i conterranei Dresda, si avvicinano ad un rock che intreccia le sonorità dei Mars Volta tessendo trame di speranza e di ambient ben dosato, capace di penetrare e divincolare il già sentito, manipolando i suoni in delay eterni e scaraventando al suolo la forza di questa musica capace di andare oltre la forma canzone e sigillando una prova efficace dal sapore di meraviglia.

Un disco labirinto, da ascoltare in più riprese, che si riappropria del tempo perduto, di voci lontane, pronte ad intervenire, ad inondare la scena, ad assaporare ancora una volta il profumo di una bellezza eterea e immutata.

Youvoid – Aware (IRMA Records)

Trip hop essenziale che si spoglia di tutti gli orpelli per arrivare giusto giusto all’essenza di una musica d’atmosfera, attirata da forti riferimenti di concetto e esibita in maniera lucente, quasi commovente, che ricopre lo spazio di tempo tra la terra e altre dimensioni possibili e luoghi inesplorati.

Ascoltare gli Youvoid fa ricordare gli elementi compositi di gruppi come Amycanbe e le geometrie canore di Francesca Amati, per passare poi ad un post rock che incrocia sonorità ben più care al Badalamenti e la sua collaborazione con Julee Cruise in un’attenzione maniacale al particolare che sa di internazionalità mai conclamata, ma tesa a creare una struttura elettronica di sospiri alternando le voci puntuali e morbidamente incisive di Lydia Pisani e Fabio Rossi; un calcolo mentale di luoghi vicini al nostro cuore.

Ecco allora che la poesia sonora acquista significato, gruppi di particelle si immedesimano in un mondo da ricreare, un mondo fatto di sogni ad occhi aperti e di circuiti neuronali da ristabilire per abbandonare vecchi ideali e abbracciare qualcosa di più grande che in qualche modo ricorda la nostra casa.

Massimiliano Martines – Ciclo di lavaggio (Dry-Art Record)

Suoni che ipnotizzano e si stagliano oltre l’oscurità tra un sali scendi di parole non sempre rassicuranti, ma che affrescano in modo egregio spaccati di vita in decomposizione e non sono altro che passi nella nebbia del nostro tempo, raccontati con maestria in queste terzo disco da Massimiliano Martines, un cantautore proveniente prima di tutto dal teatro e dalla poesia e che conquista l’ascoltatore con attimi di riflessione pungente raccontando la solitudine, raccontando degli ultimi, quei sentimenti che si fanno strada tentando di lasciarsi qualcosa alle spalle senza però riuscirci.

Il nostro è un cantore non dell’apparenza, pensiamo solo alla stupefacente La guerra dei fiori rossi, che si sposta dall’educazione cinese, passando per Auschwitz fino agli esperimenti americani in Francia sugli effetti dell’LSD.

I suoni ricordano il divagare nordico, l’accento posto su quell’etereo che fa da sfondo, ma nello stesso tempo è anche parte integrante del tutto, è parte viva e partecipe di noi, di quello che proviamo e sentiamo ogni giorno, nel nostro incedere nel nostro non volere morire; ecco allora che il cantautorato prende il sopravvento, il senso delle parole, per vederci più chiaro in questo mondo sempre meno ospitale.

Tales of Unexpected – Sciame di Vanesse (Autoproduzione)

Inclassificabili se non per la capacità di creare una musica priva di confini e priva di qualsivoglia forma di incasellamento, quasi un quadro post moderno che innesta al proprio interno sfumature variabili che ambiscono a manipolare i suoni e a renderli partecipi di un fine più grande, di un partecipare alla trasformazione dell’animale solitario, le vanesse che incantano per colori, ma allo stesso tempo sono anche il sunto di un arcobaleno naturale, mai ingabbiato, ma animale libero di volare.

Il giorno come spunto di riflessione e punto da cui partire, dieci canzoni divise in cinque capitoli, partendo dal mattino fino a conglobare la notte in testi di pensieri delicati e vissuti, nostalgica appartenenza ad un mondo in divenire che si fa fine e principio del tutto in un cerchio concentrico sfumato meravigliosamente.

Canzoni rock che sfiorano il post passando per il grunge, il pop, condite da buon gusto per un concept ragionato, una musica inaspettata e prolifica, una sostanziale ricerca estetica ricca di citazionismo non solo sonoro, ma anche letterario, un gruppo che non si ferma alle apparenze, ma ricerca la propria identità, anche un poco nelle identità degli altri, un vedere con altri occhi quello che in parte ci rende ciechi.

One eyed jack – Sea Plant Pollen (Gufo Records)

Post rock dalla provincia bresciana che si scontra e incontra tutto il rock del tardo ’90 caratterizzato da un post grunge essenziale e riscoperto, carico di significati e incanalato attraverso la polvere che si alza lasciando al passaggio solo uno strato tetro e spesso come un muro a far da spartiacque esistenziale a suoni granitici e compressi che appesantiscono la scena e tentano di cercare una nuova via per ridare speranza, ridare un senso al rock morto da decenni.

One eyed jack di ispirazione Lynchiana è il nome di questo trio che fa della potenza devastante una delle carte per giocarsi la sfida con un mondo musicale sempre più concorrenziale cercando sempre nuove aperture verso l’esterno  capaci di ridare nuova linfa e vigore, ottenebrando il passato e dando un senso alla formula power trio spesso uniformata.

Strutture prettamente pop che abbandonano però la concezione classica a cui siamo abituati per screpolarci al sole e raccontare di un disagio, di un male interiore che non lascia scampo e ossessivo tende ad aprirsi e logorare le strutture pre impostate che ci portiamo dentro.

Un disco ruvido e quasi oscuro, un disco fatto con passione e tagliente energia che cambia le carte in tavola e cerca di donare nuove speranze al genere, nuove attese forse e nuove domande sul futuro del rock oggi e di tutta la musica che ci attenderà da qui al futuro.

Noon – Noon (Autoproduzione)

Questo è un disco per fiori forti che stanno sbocciando, lasciando la neve al suolo per ricondurti a qualcosa di più vero, in stato emozionale, contorte visioni del futuro, li in mezzo ad un campo tra la terra e il sole, in mezzo a  quei fiori che stanno per crescere.

Sono i Noon e con questo primo ep ci fotografano all’interno di paesaggi nordici dove le incursioni sonore post rock cantate in italiano, si stagliano al suolo con reminiscenza affamate di Camilla che incontrano i milanesi Les Enfants per ricreare un mondo prima sommerso, quattro racconti di vita che si dipanano su ciò che ora non abbiamo più, su ciò che ancora è lontano, su quello che ancora speriamo di avere.

Titoli criptici citando i non lontani musicalmente Sigur Ros e trovandosi uno spazio vitale in cui vivere tra pop emozionale e rock in divenire cha fa di questo mini album un grande trampolino di lancio per soddisfazioni future.

Valdaro è citazionismo puro, è il Battisti che corre a fari spenti nella notte è annientamento delle aspirazioni, Scatola #1 racchiude un mondo quotidiano pieno di attimi e di paure, Cerbero è traghettare le anime all’inferno o forse ci siamo già? Chiude il disco Duluth con echi primordiali di poesia sussurrata che sia apre fragorosa nel finale.

Un disco dalle forti ambizioni che rende necessario un approfondimento per questa band, gruppo che  possiede tutte le carte in regola per entrare a pieno titolo nelle future migliori proposte della nostra penisola, coniugando la sofferenza con il divenire, l’introspezione con l’amore.

Tic Tac Bianconiglio – Il volto di Lewis (Autoproduzione)

Discendere in un abisso discostante popolato da creature oscure, un concentrato di profondità da cui fuggire, ma che inesorabilmente ci consegnano la verità che non riusciamo a comprendere.

I Tic tac bianconiglio con questo nuovo disco ci rendono partecipi di un esperimento che porta a riflettere sul lato più oscuro della nostra anima, ci porta a guardare dentro allo specchio della nostra vita per vedere se ancora qualcosa resta, se ancora quel che sembra è effettivamente l’essenziale.

Una voce malata quella di Cristina Tirella che ci fa entrare in un vortice di tensione pronto ad esplodere in incursioni sonore di chitarre in deflagrazione cosmica suonate da Armando Greco ricordando post rock, con piglio new wave, nell’oscurità buia della caverna dell’anima.

Ispirato al mondo di Alice di Carroll questo disco è una discesa negli abissi più profondi di ognuno di noi, una continua ricerca atta alla purezza e alla bellezza, rivolta a scoprire quello che ancora riteniamo profano in un bagliore continuo di luce.

Postit – Aroma(n)tic People (Factum Est rec.)

L’etichetta Factum Est rec. , pezzo di un unico corpo Jestrai, presenta il quarto lavoro a media distanza di una band proveniente dal Molise attiva dal 2007 i Postit.

Rock strumentale, post rock, chiamatelo come volete sta di fatto che i nostri sono incanalatori sani di una certa energia nascosta che si fa esplosione quando meno te lo aspetti, quando le tue corde avranno smesso di parlare, lasciando spazio alle vibrazioni sonore che ti sovrastano in un lungo incedere discostante.

La band è composta da Massimiliano Ferrante, Luigi Mosca, Daniele Marinelli e Domenico Ciaramella, propongono un suono che deve ricercarsi in primis nel fondamento prog rock di matrice internazionale targato ’70  sfiorando mostri sacri contemporanei e non, tra questi Sigur Ros, Mogway, passando per Zappa e King Crimson.

In Aroma(n)tic People la musica è una commistione di generi che si intersecano tra di loro creando direttrici da seguire e da comprendere a più livelli, tra interventi di jazz d’avanguardia e post rock sviscerale.

Come dimenticare poi che a regalare il valore aggiunto al tutto c’è la chitarra slide di Roberto Angelini e la voce di Yani Lombardi nella traccia di chiusura Midnight in San Nicola.

Un disco da ascoltare più volte, un contatto ultraterreno con qualcosa di indefinito, quasi spaziale per certi versi; condensando la storia della musica, intrappolandola e facendola uscire come energia che ci fa sentire vivi.

 

Molotoy – The Low Cost Experience (Modern Life)

E tutte queste dissonanze trasportate dal vento dove si insinueranno?

Forse nei meandri più bui dell’inconscio o in cornici di sogni perfetti quasi da nascondere l’inutilità al desiderio di voler comunicare, di voler aggiungere quel qualcosa in più che non è di questo mondo, o perlomeno del mondo conosciuto, che non fa parte della massificazione di cui siamo abituati, dell’incedere sornione di gruppi cartolina che sfoggiano il potere solo con la coscienza di chi ha poco da dire.

Per i Molotoy non servono parole, ma solo indubbie presentazioni, già Low Cost essi sono Gianluca Catalani batteria, Andrea Minichelli violino, Marco Gatto chitarre, Astroboy rumori e Andrea Buttafuoco basso e tastiere.

Il loro è un genere inclassificabile, diciamo che non hanno genere e nemmeno, a mio riguardo, si meritano una classificazione.

Si muovono tra Mogway, Daft Punk, Air, Eterea PBB , facendo dell’elettronica il nucleo centrale dell’intero album non dimenticando la classicità di violini presenti nella bellissima “Super Attack” d’apertura e in numerose altre tracce.

“We are the volvo” è un singolo assai ballabile che obbligatoriamente ti fa scuotere la testa, anche se le impennate alla Mars Volta non sembrano mancare.

“Holymount in the Rain” è colonna sonora, ballata per anime delicate sotto pioggia di lacrime.

“Kukkiko Ronf “ è traccia di “Bimbo A”, mentre “Laqu” segna la fine del mondo impressionando per la proposta che si fa d’ampio respiro internazionale.

“Werther” è melodia dolorosa che si apre a intrecci di chitarre “hendrixiane”: sottofondo per lettere cancellate dallo scorrere del tempo.

Nel finale “Digital Bohemien” ricorda invece i nuovi Muse, creando però, atmosfere più rarefatte e ipnotiche.

Un disco che si fa strada all’interno dello strumentale, qualcuno lo ricorderà di certo, anche perchè questa “Esperienza a basso costo” ha illuminato, come stella cadente, questo grigio pomeriggio di Gennaio.