Loris Dalì – Gekrisi (Autoproduzione)

Cantautore poliedrico e multisfaccettato che fa della realtà materia quotidiana di apprendimento da riporre in testi che si annidano nel nostro vivere giornaliero, incorporando capacità d’intenti e forma canzone che abbraccia notevolmente gli appigli di un cantautorato tagliente e immerso in un mondo ostile da cui doverne uscire o piuttosto,  da dove poter trarre vantaggio per approfondire il senso di radici che si sta via via sgretolando, raccontando di un’Italia che non esiste a livello istituzionale, ma nel contempo un’Italia che vive negli occhi della gente e che cerca come non mai di appartenere ad un qualcosa di più grande. Nel disco del cantautore piemontese c’è l’amore per il sud, ma anche l’amore per un certo tipo di suono analogico e reale, niente orpelli elettronici, niente finzioni, quasi a rappresentare la realtà nuda e cruda, attraverso mostri sacri del passato, citando Battisti, De André, Capossela, ma anche Bobo Rondelli o i veneti Bottega Baltazar, in un sensazionalismo che non esiste, ma piuttosto una musica che si presta sempre e comunque ad una buona causa, divertendo si, ma facendo anche riflettere.

Litio – Con la semplicità (Vollmer/Audioglobe)

Ironici, divertenti e prorompenti, intarsiati e uniti da mescolanze di stili e generi che li rendono inclassificabili seppur facendo parte di quell’indie pop nostrano piacevole e scanzonato.

I piemontesi Litio sono attivi dal 2004 e dopo numerosi cambi agli strumenti la formazione si stabilizza/destabilizza portando alla luce il loro primo disco (Flo)reale nel 2011 che li vede aprire, tra gli altri, per Nicolò Carnesi, Perturbazione e Zen Circus, poi la cosiddetta maturità/immaturità li fa avvicinare a Francesco Groppo (Wherever Recording Studio e Vollmer Industries) che consente loro di registrare Con la semplicità, il loro secondo lavoro.

Ed è proprio semplice l’approccio di questo disco, diretto, comprensibile, senza ricami o richiami a quant’altro, sola e pura semplicità.

I ritmi power pop si condensano con il punk e ci lasciano trasportare verso testi freschi, sbarazzini e in vicissitudine di cambiamento.

Tanto per fare un esempio ascoltando la traccia d’apertura 16 anni si respira una sferzata d’aria fresca racchiusa in pochi attimi di gioia adolescenziale , si passa poi a Mamacita che con echi latineggianti ci trasporta con il suo ritmo altalenante a Bugiardi la radiofonica del disco.

Si passa poi velocemente a Non capisco, canzone blues sull’assenza di punti stabili e proprio prendendo spunto da queste parole Per me e Bus si affaccia su territori ulteriormente nuovi, quelli del soul e del battito in levare; La ballerina ricorda i vicentini Casa, Sergio invece è radicalità punk che si fa intendere anche nella chiusura con Dice.

Un disco pieno di spunti di osservazione ed energia vitale capace di conglobare pensieri che si alzano per creare quel vortice innovativo di cui la canzone italiana ha bisogno.

L’inferno di Orfeo – L’idiota (HertzBridge Records – LibellulaMusic)

Un cantautorato che abbraccia sensazioni lontane di rock più classic senza tempo per ricordare che parole e intreccio fiabesco si possono schierare dalla parte di chi l’idiota vuole essere, apparire o chi si atteggia in modo così tale da far credere agli altri di esserlo veramente.

Un disco maturo e lagato in qualche modo alle origini di questi quattro torinesi che ora come ora stanno raccogliendo i frutti tanto sperati, affermandosi tra le migliori proposte della scena alternativa piemontese.

Musica che si mescola con un vissuto in cui il colore dominante il rosso si scontra con il giallo per creare quel tenue arancione di copertina che regala emozioni contrapposte da uno stile unico e certamente originale.

I testi denotano una sapiente ricerca, fulcro esistenziale per gridare le proprie idee senza essere calpestati, senza essere giudicati e in qualche modo per fare quadrare il cerchio della memoria, sempre cara al Silotto frontman.

Un incrocio quindi tra Non Voglio che Clara e Paolo Benvegnù, tra Manuel Agnelli del Quello che non c’è e la poesia musicale di Valentina dorme.

Pezzi che si fanno ricordare per la loro armonia d’insieme sono certamente l’apertura con “La Manovra”,  “Arrampicate” con un cameo DeAndreiano in sferzata elettrica e la title track “L’idiota”, mentre la chiusura affidata alla struggente “Paola” non delude le aspettative di un bellissimo finale.

Un disco che guarda al cambiamento con stile, racchiudendo piccole perle quotidiane da digerire sciogliendole dolcemente dentro al bicchiere di una vita troppo amara in cui sperare di vedere nascere, di tanto in tanto, qualche bel fiore.