Uncledog – Russian Roulette (VREC)

Sparati sulla luna i padovani Uncledog, si permettono di salire sul gradino dei vincitori grazie a questo primo vero e proprio lavoro dopo Face on the Floor, EP quest’ultimo registrato direttamente in California con Sylvia Massy già collaboratrice di RHCP, Tool e Black Crowes.

Tornati dal tour europeo che li ha visti suonare in Slovacchia, Russia, Finlandia e Spagna i nostri mettono assieme dieci tracce trasbordanti energia dove il suono rasenta la perfezione e dove l’album si concentra sulla possibilità di creare un concept vero e proprio sulla disillusione e l’abbandono, sulla tragicità della vita e sui sentimenti necessari come l’amicizia o l’amore verso la persona che ami.

In questo disco si assaporano richiami hard rock con una spruzzatina di prog, debitori di un suono, soprattutto nella parte dei synth, che rimanda a quel mood vintage, anni ’70, che strizza l’occhio al futuro imminente.

Canzoni che si fanno ascoltare e che rendono chiara l’idea di fondo, una roulette russa che poco concede, una vita che affonda affidata al caso, e che solo in pochi, con poche speranze riusciranno ad uscirne vincitori.

Sono pochi coloro che si salvano quindi, coloro che non abbandonano e forse è proprio questo il messaggio che gli Uncledog vogliono lanciare, mai arrendersi e voltare le spalle alla vita, mai gettare la spugna, ma è necessario procedere a testa alta verso l’oscuro, ignoto mondo, che ancora non conosciamo.

Rebelde Black Machine – Rebelde Black Machine (Autoproduzione)

Lisergici quasi fossero cannoni sparati all’impazzata che all’improvviso si ritrovano nel complesso spazio-vita che non regala sconti e di certo non trova adatte le mezze misure nelle classificazioni di genere.

Un gruppo padovano che si sta facendo spazio tra le miriadi musicali del territorio, capace di registrare un EP di quattro canzoni: granitico, essenziale e che convince sin dalle prime note.

Il nostro power trio è composto da Andrea Marigo, Davide Orietti e Guido Scapoli e si caratterizza per suoni sporchi, accattivanti, ma al contempo il tutto viene condito da momenti di puro post rock che armonizza sali scendi sonori ricordando i primi Verdena e Pixies su tutti, incanalando una rabbia giovane, assopita da tempo e pronta ad esplodere in qualsiasi situazione si presenti.

C’è molto grunge in questi quattro pezzi che abbandonano la melodia e il riff facile per condensare le parti ritmiche in cambi di tempo inaspettati e di puro effetto.

C’è molto suono inglese, soprattutto nella forma canora, che porta ad alti livelli la forma canzone, fra tutte la chiusura dedicata a Dream Machine.

Un piccolo disco che promette e convince, che porta con sé la capacità di uscire da un contesto provinciale facendolo nel migliore dei modi.

Neko at stella – Neko at stella (Dischi Soviet Studio)

neko-at-stella-musica-streaming-neko-at-stellaUn misto di garage, stoner e new wave anni ’80 per questa band dal nome insolito che riserva lungo le 11 tracce delle sorprese a dir poco emozionanti.

Un principio di blues legato alla matrice più distorta per comporre urla dall’inferno più misterioso e cupo.

I toni si fanno bassi, a tratti laceranti delimitando un sogno di vita spezzato dal fulmine di una nuova
esistenza.

Un tuffo nel passato che si arpiona al presente con Jack White che si fa eco in numerosi pezzi, mentre Cure e Joy Division incalzano nelle tenebre dell’insieme.

Un disco quindi che riesce, nonostante la voluta timbrica, ad essere pop oltre maniera, oltre qualsiasi delimitazione di genere.

Marenduzzo della Dischi Soviet produce un progetto che ha quasi del celato già dal nome della band, un nome che varia di pari passo con i misteri nascosti lungo l’ascolto dei brani.

Grunge quindi e sporco blues, luce e oscurità, accento interposto tra comete invisibili,
questi sono Neko at Stella: buon ascolto non ve ne pentirete.

Daushasha – Canzoni dal fosso (Officine Underground)

I Daushasha sono contagiosi, sono come una giornata di sole in cui non sai se andare al mare o in montagna, prendere il necessario e fuggire su vespe colorate per seguire l’istinto che ti porterà verso mete insolite.

Il loro è un ritmo daushashasostenuto da strumenti tipicamente folk dove la base ritmica è una sorta di ipnotica trance che ti fa alzare il piede, un’unica esigenza che si identifica col sapore della campagna, il fieno tagliato e una corsa a perdifiato lungo prati infiniti.

Come non citare nella loro musica formazioni quali MCR, Bandabardò e la canzone d’autore targata ’60 italiana senza dimenticare influenze alla Gogol Bordello in primis.

Un folk rock combattuto legato alla tradizione e ai ricordi dove a vincere sono le storie quotidiane di ognuno di noi.

La lista dei musicisti non è trascurabile: Lorenza Bano al violino, Giorgia Bonetto alla fisarmonica e Serena Marazzato alla chitarra e alla voce, mentre alla voce maschile troviamo Federico Pavanetto, Francesco Casagrande alla chitarra, Daniele Licini alla batteria e Simone Mattiello al basso.

7 padovani in cerca d’autore o meglio 7 giovani ragazzi che sono riusciti a trarre il meglio dalla musica d’impegno italiana per trasformarla in una danza senza fine.

Barranco – Ruvidi, vivi e macellati (Autoproduzione)

I Barranco sembrano usciti dall’alta Inghilterra del XII secolo tanto è forte la presenza di un folk studiato per entrare in un medioevo di miti e leggende dove strumenti inusuali si fondono con un cantato d’altri tempi ricco e rigoglioso di sfumature e di termini dimenticati; sono canzoni d’ambarranco-musica-streaming-ruvidi-vivi-e-macellatiore verso una terra che non dona da un po’ di tempo i suoi frutti, lasciando il posto a tormenti intimi e incolto seminato.

I 5 padovani cresciuti tra Merlara e Montagnana abbandonano il rock alternativo per incontrare lidi nascosti e particolareggiati dove coste inesplorate sono il pane quotidiano per una via meno diretta, ma ricca di gratificazioni a livello personale.

La voce di Alessandro Magro è quella di un cantastorie d’altri tempi che regala picchi di ascesa verso tonalità dall’alto sapore evocativo.

Il tutto suona unico e il disco in qualche modo deve essere ascoltato traccia dopo traccia per sottolineare una continuità stilistica che fa immergere l’ascoltatore in un libro di Tolkien o di Brooks.

Si parte per un viaggio inaspettato con la bellissima “Io parlo al vento” e si arriva nel finale con la dolce “Il cielo non si apre”, dieci canzoni in tutto esaltate da un packaging stupendo costituito da una serie limitate di 300 copie interamente confezionate a mano dall’ormai innovativo studio del padovano Zulato.

Un disco – concentrato di succo di vita che rimane nella mente come un ricordo d’infanzia, quando i draghi occupavano la nostra testa e i cavalieri erano li pronti a scacciarli per farci tornare inesorabilmente al mondo a cui siamo abituati.

Alberto Mancinelli – Lucine intermittenti (Autoproduzione)

Alberto Mancial03nelli è un cantautore blues con spiccato stile vintage tanto da entrare con la sua voce roca e impostata nel limbo dei tenebrosi;  il tutto è condito da situazioni semplici: un basso, una batteria, un’acustica e un’elettrica con sprazzi molto old-west.

Il siciliano trapiantato a Padova registra, dopo numerose situazioni con gruppi più o meno noti, queste 7 tracce in un ep più ricco rispetto all’originale “Lucine intermittenti” formato all’inizio soltanto da 4 canzoni.

In se l’album è una reprise, un aggiornare pezzi della memoria, dei suoi vissuti, un diario quasi intimo e bucolico dove all’interno vivono gli spettri di un passato che per Alberto sono mostri da esorcizzare contro il comune cliché.

Ecco allora che le canzoni da stuzzichini vengono disintegrate da bellissimi interventi in “Chiedi” o come nella luce colante di “Corsia d’emergenza” o nella dolce “Formalità” in cui occupare spazi differenti ti porta a proseguire su linee parallele.

Altro pezzo degno di nota “I furbi” che ricorda il Gaetano crotonese che rilascia divagazioni eteree mentre la chiusura è affidata alla kuntziana centrale elettrica “Dolce venere dell’etere”.

Un demo veramente ben fatto che apre le porte ad un cantautorato che riesce con egregia maestria a spazziare tra vari generi e con estrema facilità incanalare un pensiero non sempre chiaro e che affonda radici nel substrato culturale italiano.

Una prova matura questa,  conseguenza di un modo di intendere la vita fuori dagli schemi imposti quotidianamente.

MiSaCheNevica – Come pecore in mezzo ai lupi (Dischi Soviet)

I MiSaCheNevica tornano e stupiscono con una prova matura e ben fatta dove le chitarre di Zanon e il suo cantato, graffiano più che mai.

Al basso il preciso Marco (Love) Amore e alla batteria la potenza di Antonio Marco Miotti regalano quelle sospensioni musicali in presa diretta degne di una grande garage band che raccoglie in parte l’eredità del grunge rovesciandola in anni defunti dove a perdere sono sempre le stesse persone.

E’ un disco di materiale vissuto compiaciuto da suoni sporchi e analogici.

6 giorni di intense registrazioni che regalano materiale scottante, quasi live, forse questo l’intento del gruppo che fa del palcoscenico il terreno dove regalare emozioni sprigionate con una capacità tale da rimanere stupiti.

La band cittadellese e limitrofi del padovano pubblica per Dischi Soviet, contando sulla produzione di Matt Bordin dei Mojomatics e sul mastering di Carl Saff di Chicago.

“Come pecore in mezzo ai lupi” è un disco ricco di storie intra-extra personali dove a confluire e creare omogeneità sono suoni scarni, ma allo stesso tempo pieni di capacità introspettiva e carichi di quella sfrontatezza giovanile perdutamente rock.

L’album inizia con la roboante “Figlio illeggittimo di Kurt Cobain” la canzone forse più “Disfunzionata” della lunga track-list che si immedesima nello Stato apatico in cui viviamo, dove la tv è idolo da venerare a qualsiasi ora.

Si passa ad “Apridenti” dove il suono distorto/pulito vince “sul tempo che sporca di bianco la mia barba”.

“Retromania” è un inno al vintage di passaggio dove i cori perfettamenti incastonati come gemme rendono il pezzo un gioiello per la sua interezza.

Segue “12 Giugno “ buon apripista per “Il nostro paese diviso in due”: “Sacrificarsi per un mondo migliore, rivoltala se puoi la tua vita underground”, l’essere orgogliosi nell’essere antieroi che trova spazio per la strumentale/corale “Dr.Lennon”.

“La partita di calcetto infrasettimanale” è un brano che girava già in alcuni loro live passati e racconta della mediocrità dell’uomo medio italiano appassionato della futilità.

“Tasche piene” è un buon compromesso tra dark rock e melodico.

“Smaltire tra le scimmie” è ricercata melodia vocalizzata, si sentono molto i Verdena di “Il suicidio del Samurai”.

Prima della chiusura affidata alla bellissima “Scheletri Nascosti” troviamo “Aiutaci Matteo” forse destinata a patron Marenduzzo della Dischi Soviet?

I MSCN regalano un album ben registrato e riuscito, l’incontro tra una voce molto personale e particolare e un suono ricco di desideri neo poprock, un passare oltre le frasi fatte e i convenevoli, un mirare ad un punto definito che di giorno in giorno concede soddisfazioni sempre più chiare e vere.

Treremoto – Treremoto Ep (Autoproduzione)

I padovani Treremoto sono un miscuglio eterogeneo di suoni legati a sonorità alla Nirvana, Verdena, Motorhead, Audioslave, Pearl Jam, pur mantenendo una costanza e un’integrità non indifferenti.

Sono in tre Nicola Alfine alla chitarra e voce, Oscar Cey Libero all’organo, tastiere e cori e Giorgio Rosin alla batteria.

Un progetto bass less che fondamentalmente non ne sente il bisogno, tanto il suono è pieno e ben misurato.

L’ep in questione è completamente autoprodotto ed è il primo lavoro non solo della band, ma anche del grafico e dei fonici di studio.

I suoni sono granitici, la voce affilata e giustamente roca è adatta al genere.

Impressiona la parte chitarristica suonata dallo stesso cantante accompagnata dalla puntuale batteria e dall’organo stile hammond che richiama a suoni più vintage ricondotti alla tradizione e al passato; vedi Le orme, Banco, Pfm.

I pezzi che compongono l’album sono 6: si parte con L’onda e in un attimo ci troviamo catapultati in un mare in burrasca: ma se sapessi nel rumore che pace c’è.

Si prosegue con Dentro il deserto ricordando il delay che muore di Verdeniana memoria.

Corvi a mio avviso il pezzo più riuscito con quella frase che con difficoltà esce dalla testa: ricorda bimba se allevi i corvi prima o poi ti caveranno gli occhi.

La quarta canzone Sara che… è un blues maledetto mentre la successiva La nuda danza del sesso alza i toni per accompagnarci alla finale e progressiva Luna con partenza alla Pink Floyd dei diamanti pazzi e di welcome to the machine e proseguendo in un crescendo dirompente.

Bella prova e bella autoproduzione, ora manca solo di sentire questo trio dal vivo e ne sono certo non deluderà.