-FUMETTO- Sarah Andersen – Crescere, che palle! Sarah’s Scribbles (Becco Giallo)

http://www.beccogiallo.org/shop/149-849-thickbox/crescere-che-palle-sarah-s-scribbles.jpgTitolo: Crescere, che palle! Sarah’s Scribbles

Autrice: Sarah Andersen

Casa Editrice: Becco Giallo

Caratteristiche: brossura, 112 pp. bn

Prezzo: 13€

ISBN: 9788899016296

Autobiografia non dichiarata in una raccolta di strisce che ha il sapore del tempo lasciato alle spalle e quel bisogno essenziale, come essenziali sono le linee della Andersen, di ritrovare noi stessi in un battere di ciglio, tra le giornate andate a male e i minuti spesi a contare l’arrivo di qualcosa di nuovo, imprevedibile, capace di emozionarci ancora una volta, forse per sempre o forse soltanto per racchiudere quel bisogno tardo adolescenziale di appartenere ad un’idea più grande di mondo che ci siamo costruiti o che vorremmo fosse già insita in noi.

Tutto questo racchiude Sara Scribbles, protagonista indimenticabile di un fumetto che continua ad avere successo in tutto il mondo grazie ad internet e alle migliaia di fan su facebook che la giovane artista newyorkese porta al suo seguito; una serie di striscie online tradotte in diciasette lingue per un pubblico che si rispecchia in ciò che la poco più che vent’enne Sarah Andersen scrive, raccontando di amori e passione infinita per i libri; il tutto avvolto da una velata introspezione e da quella capacità di entrare in empatia con i nostri pensieri per comprendere a fondo il vortice di emozioni che ci tiene incollati alla vita.

La realtà raccontata con gli occhi di una giovane ragazza, semplice e soprattutto umana, capace di farci affezionare già dalle prime vignette rincorrendo testi che rimandano ad uno stile lineare ed essenziale dove i pensieri sono parte preponderante del tutto e dove l’ambito temporale è protagonista in gran parte del libro.

Edita da Becco Giallo, attenta casa editrice che per l’occasione sposta il focus dal giornalismo d’inchiesta al fenomeno popolare, questa raccolta di strisce non è altro che un modo per assaporare: per i più grandi un’età che non c’è più, raccontata con fare ironico, semplice e arguto, per i più giovani invece rimane un modo per condividere esistenze da una parte all’altra del mondo, lontani a causa di barriere fisiche e ideologiche, ma avvicinati da un quotidiano che li accomuna.

Pluvian – Notes from the reptile’s mouth (Autoproduzione)

Chitarre acustiche che si fermano negli anni ’90 facendo un balzo all’indietro e sperimentando a tratti i primi Simon e Garfunkel e gli odierni Kings of Convenience senza tralasciare il grunge da MTV unplugged di Alice in Chains e Nirvana.

Un prodotto confezionato a dovere da parte dei padovani Pluvian che intersecano le ballate del fiume al colore nero della notte, inoltrando fra se e se l’idea dominante di un preludio prettamente acustico in tutti i brani con piccoli interventi di tastiera, senza esagerare, ma infondendo quel tocco in più alla produzione nostrana.

Un disco che sa di tempo passato, incorporando storie di vita che non possono essere dimenticate, racconti che ci riguardano o che parlano di persone realmente esistite e che contribuiscono a creare i nostri ricordi.

Saldi al presente quindi, i nostri, non disdegnano  di passare da un decennio ad un altro per completare il corso delle cose, creando un continuo tra ciò che siamo e ciò che eravamo, tra Bluemoon passando per Marriage Zone e l’incombenza sul finale di We’ll never arise.

Un album che sa intrattenere con eleganza, trasformando i pub veneti di cover band designate, in qualcosa di più concreto e più reale.

Recattivo – 13000 giorni sulla terra (Autoproduzione)

Granitiche sonorità che aprono il nulla e si fanno portatrici di un suono accattivante che fa pensare al miglior rock americano del ’90 passato, con influenze che si articolano nello stoner elettrico, contaminato dall’esigenza di far rinascere il grunge di Seattle e tutta la scena alternativa con capacità espressiva da primi della classe  forte ispirazione che attinge direttamente radici in un contesto favorevole all’esprimere un genere più volte ricostruito e atteso.

I nostri però sono carichi di una evidente dose di coraggio ed esperienza che li vede attivi dal 1997, dopo cambi di formazione ed esigenze di esprimere in lingua italiana i propri stati d’animo e confessando all’ascoltatore una propria forma di introspezione che si evince da testi diretti che raccontano la vita di tutti i giorni e del vivere in questa terra a tratti altamente inospitale.

Sette canzoni che scivolano veloci, canzoni che hanno la necessità di essere riascoltate per essere immagazzinate; decimo lavoro per il combo padovano, un marchio indelebile, un’alternanza di vivacità espressiva condita da testi in italiano che fanno centro.

Abusivi – Ancora Rock’n’Roll (Autoproduzione)

Abusivi @ Home Festival - Treviso, Italy

Ruvido energico, da ascoltare in un solo fiato, una catena di eventi che si fanno racconto e parlano di noi, parlano del nostro essere al mondo e tentano di farci smuovere le coscienze, di togliere gli ormeggi alla nave attraccata al porto, quella sostanza che deve essere portata dal mare, dalle onde che fanno parte di ognuno di noi, una musica che ci permette di portare il passato nel presente, quella musica che ad ascoltarla bene racchiude molto di tutto ciò che amiamo.

Gli Abusivi fanno un buon rock, incrociando FASK e Ministri, consegnando una prova che si ascolta tutta d’un fiato e si getta nell’oceano più impetuoso a raccogliere perle nei fondali marini, dove nulla è come sembra e il disorientamento iniziale via via procede lungo una strada incanalata che sa di aggressività genuina e vissuta.

Loro vengono dalla provincia di Padova e hanno calcato i palchi dei festival più importanti del Veneto con un rock senza frontiere, americanizzato che va diritto al punto della questione e grazie a testi sempre semplici e schietti sono capaci di entrare con prepotenza cavalcando l’onda del bisogno di partire.

Le canzoni si fanno presto ricordare da Ancora fino alla meraviglia di Piove Alcool passando per Neo Melodico e il finale denigratorio con Facebook e Tassativo.

Un disco che è il succo di un’energia che poche band sanno di avere, sentiremo parlare ancora di loro e quel giorno sarà un giorno importante, il giorno in cui anche noi salperemo.

Carmen Consoli: il canto del cigno – Live Report – Sherwood Padova – 3 Luglio 2015

Sherwood festival al Park Euganeo di Padova è sempre una garanzia in fatto di qualità e offerta dei live proposti, con l’aggiunta di un contorno fatto da incontri, bancarelle artigianali e non e quell’idea che si percepisce solo qui: far parte di un mondo diverso, una città nella città dove la comunanza di intenti vince contro qualsivoglia forma di mercificazione della proposta in atto, facendo da capofila a molti altri festival italiani.
Con difficoltà si comprende la grandezza della folla accorsa per vedere dal vivo l’aggraziata rocker siciliana, data la grandezza del luogo e la presenza di persone non solo sotto al palco ma anche nella zona antistante, popolando i tendoni/ristoranti e i vari punti d’incontro.
Ad aprire la serata la vicentina Elli De Mon che con chitarra dobro e sonagli, scuote la gran cassa facendo tremare palco e oggetti attorno, sporcando di blues la sua timidezza e incrociando l’India con sitar e musicalità d’altri mondi.
Una musicalità che trae ispirazione soprattutto nel delta del Mississippi, un genere contaminato dal punk che sa osare senza chiedersi troppo.
Buona prova tra nuovi e vecchi pezzi, conditi dall’attenzione di un pubblico numeroso e partecipe.

IMG_0556Puntuale alle 22.00 entra Carmen Consoli.
Gonna nera, maglia bianca, chitarra rosa e tacco alto, lei davanti a tutti, lei davanti al mondo, poche note e via via il suo stare sul palco cambia, è mutevole, ritrae i colori di un quadro rock perfetto che vorremmo continuare ad ammirare, Geisha, Mio Zio, Sentivo l’odore e poi la title track dell’ultimo album L’abitudine di tornare, finalmente la meravigliosa Ottobre e La Signora del Quinto Piano, i toni si incupiscono in vorticose parabole elettriche con Matilde odiava i gatti per viaggiare nel lontano oriente con il ritmo di Per Niente Stanca.
Il concerto si muove molto su tonalità che non lasciano tregua, soprattutto nell’ ascolto dei vecchi pezzi come Fiori d’arancio, Contessa Miseria, Venere per un finale che vede alternarsi l’esuberanza di AAA Cercasi ai classici Parole di Burro e al solitario epilogo nel secondo bis affidato ad Amore di plastica.

IMG_0581Carmen ama i Sonic Youth e ama alla follia gli Smashing Pumkins si percepisce quella carica e rabbia malinconica che è pronta a tagliare il bambino dentro di noi, quel bambino che con forza si ripropone in ogni momento della nostra vita lasciando le tracce per la scoperta, per il costruire, per l’abitudine di tornare.
Altre due donne sul palco con lei, Melissa Auf … no scusate Luciana Luccini al basso e la dirompente Fiamma Cardani alla batteria, praticamente un nome, una garanzia.
Un trio al femminile che non ha bisogno d’altro e che fa scuola, dirompente e preciso più che mai.

IMG_0621Carmen non fa più suonare i violini dal vento, ha un volto nuovo, più elegante e quasi immacolato, una grazia che esplode in elettricità compressa e la timidezza e la naturalità che la rincorrono nei momenti di pausa è ben bilanciata dalla forza portante nei momenti più rock del concerto, una veste acustica che non esiste più, lasciando i suoni a rincorrersi come farfalle, in un pop alternativo ben confezionato che vede la voce della nostra, profonda come non mai, penetrare nei sogni di Orfeo e vaneggiare ancora una volta lungo sentieri sincopati, tra le sue Jaguar taglienti in un continuo andare e venire, concitato e rarefatto, atteso, ma mai accolto con forza.
La sostanza c’è e anno dopo anno quella totale capacità espressiva che si esemplificava in testi e musiche da lasciare il segno, ma troppo ammiccanti e sentimentali, lascia il posto a vissuti narrati che vedono come protagonista una società che non cambia e non vuol cambiare.
Carmen si lascia raccontare come in un libro aperto, ripercorrendo una carriera che la vede ancora protagonista dopo 20 anni a segnare e ad insegnare la strada: dalla polvere di Catania ai grandi palchi italiani e non, una garanzia in fatto di professionalità, capacità espressiva e savoir faire emozionale, caratteristiche assai difficili da mantenere nel tempo, ma che la nostra coltiva giorno dopo giorno come fiore raro da proteggere.

Marco Zordan – IndiePerCui

IMG_0664Setlist:

  • Geisha
  • Mio zio
  • Sentivo l’odore
  • L’abitudine di tornare
  • Ottobre
  • La signora del quinto piano
  • Matilde odiava i gatti
  • Per niente stanca
  • Fino all’ultimo
  • Bonsai #2
  • Sintonia perfetta
  • Stato di necessità
  • Esercito silente
  • Fiori d’arancio
  • Contessa miseria
  • Venere
  • Oceani deserti
  • Parole di burro
  • Confusa e felice
  • AAA Cercasi
  • Amore di plastica

These Radical Sheep – Soundtrack for breakfast (Autoproduzione)

Il colore dei Beatles trasportato ai giorni nostri, quel colore allucinato e contorto che ci fa sognare, ci fa atterrare in mondi lontanissimi e ricco di proiezioni sonore, quelle proiezioni sonore che chiedono al cantautorato di andare oltre, incontrando il rock e il pop d’autore, confezionando una prova varia e autentica.

I These Radical Sheep sono una band che non bada a compromessi e ama alla follia quello che fa, nascono a Padova e decidono fin da subito di suonare un indie folk pop intelligente, contaminato certamente, ma anche carico di originalità e apporto personale, che non guasta di certo, ma che permette all’ascoltatore di entrare in modo discreto nel mondo creato appositamente dal gruppo, un mondo colorato e strampalato, che ci racconta e si fa raccontare tramite otto canzoni, otto modi diversi di svegliarsi e di vivere la mattina.

Si passa da A morning per la lucentezza di Soleada e poi via via a rincorrere il giorno lungo strade infinite in pezzi come Colors o This Life e chiudendo il cerchio con Grey.

Riportando un genere non più in auge, i nostri si relegano un posto tra gli estimatori del passato, un passato che ha messo le radici alla musica moderna e grazie a queste costruzioni sonore riesce a vivere ancora una volta, il pianoforte in primo piano e quella batteria presente, ma non invasiva, danno un senso al tutto di svogliato relax, in un continuo di capacità espressiva ben calibrata, che non sfigura, ma anzi si impossessa del tempo per farlo un po’ anche nostro.

Gnac – Adesso (Autoproduzione)

Raccontano di vita e raccontano l’ironia delle situazioni imbarazzanti, raccontano un modo diverso di concepire l’esistenza, raccontano il grado di sopportazione di noi umili umani nei confronti di chi è diverso e di chi almeno cerca di essere diverso, i padovani Gnac concentrano passione in tutto quello che fanno e si immolano con cantato sbarazzino a essere da esempio per un rock dal sapore retrò contaminato da interventi prog di tastiera ricercata e mai banale, confezionando un album da non inglobare in un canone predefinito, ma cercando di trovare una propria via tra i cantautori e i gruppi anni zero che via via intasano i nostri social network.

Gli Gnac però donano al tutto una disinvoltura che non guasta, i testi sono diretti e senza fronzoli, si concentrano sulle situazioni di vita quotidiana e raccontano a noi ascoltatori un concentrato di vissuti che risulta essere al limite della comprensione, ma che purtroppo è indice e spiegazione della nostra inesorabile malattia che ci crede alternativi, ma purtroppo conformisti.

Un plauso quindi a questo gruppo, che attraverso gli intarsi ben educati dei quattro strumenti, riesce a narrare il divenire, un vivere inghiottiti come pesci, senza sapere dove il domani ci porterà e tantomeno senza sapere cosa sarà il futuro per Noi.

Un disco che si muove distinto, che ci ingloba in un pensiero ancora più grande e che sostanzialmente se ne frega di tutto e di tutti, K2 ne è l’esempio; 9 tracce per una lotta ai nostri attuali e malati principi tra Critica e consumismo a Pazienza è la vita, un album questo, che si accomoda su di una sedia ai bordi della strada, calmo e quieto a fotografare i momenti imbarazzanti del nostro vivere quotidiano.

Un giorno di ordinaria follia – Rocknado (Autoproduzione)

Infilati dentro a tutta velocità nel vicolo più malfamato che conosci, indossa le cuffiette del tuo lettore mp3  con Rocknado a volume indefinito e preparati ad entrare in un mondo.

Sembra di viaggiare lontano, dentro all’America più profonda, quell’America fatta di suoni indefiniti e compressi, dove il malessere si confonde con la musica che viene direttamente dalle voci di chi la fa ogni giorno.

I nostri invece sono di Padova e con la città del santo hanno poco a che fare, in quanto nella loro musica si respira aria di internazionalità: stoner punk con punte di grunge sopraffino cantato rigorosamente in italiano, danno alle sette tracce un sapore quasi onirico dove alla voce troviamo un Mario Biondi altamente incavolato che si esprime attraverso le linee sonore di Fu Manchu e Colour Haze.

Sette pezzi quindi che non lasciano via di scampo tra i sapori e i colori di un campo da   baseball, dove le mazze però sono utilizzate per distruggere i vetri delle auto parcheggiate, in soli 22 minuti di aria compressa, pronta, con un click, a dimostrare la sua forza unica e dirompente.

 

Four Green Bottles – Step (IRMA Records)

Padovani, alternativi quanto basta per accogliere fiori da far rinascere e da far rivivere grazie alle sette tracce che compongono il loro nuovo lavoro.

Un’unione inusuale di generi che si intersecano in armonie del tutto portatrici di un sound energico e sinceramente pronto a sorprendere, a emarginare l’inutile per dare un senso al dovere, al prototipo di ciò che potrebbe essere buono ai nostri tempi.

La facilità d’ascolto che si ha con i Four Green Bottles si associa a band dalla spiccata internazionalità, incrociatori sonori per animi che esaltano il riemergere, un indie rock compresso e pronto all’esplosione.

Spiriti affini li troviamo in qualcosa dei primi Staind o Nickelback, passando per la cometa inespressa degli Starsailor.

Un suono quindi che coinvolge già dalle prime battute con Hurricane passando per la ballata My Home interrotta dalla convincente Wind che anticipa la post punk You live what you feel.

Buona prova inoltre in Ora Che, pezzo cantato completamente in italiano anche se la vera simbiosi si trova con la lingua inglese, quasi fosse un costrutto a cui non poter rinunciare, ne è esempio lampante nel finale la meditativa Hands.

Un disco autunnale di foglie da raccogliere tra boschi infiniti in cui poter rompere il silenzio con una folata di vento.

 

Kaiser Chiefs – Padova – Geox Live Club 18/10/14

Andare ad ascoltare i Kaiser Chiefs è come fare un pieno di energia a pochi km da casa, un rifornimento che porta con se le giuste aspettative e che non delude, forse, nemmeno questa volta.

Per la quarta data del mini tour italiano, la band di Leeds, sovrasta, nel vero senso della parola, il piccolo palco del Geox Live Club o Geoxino di Padova, a sorpresa di molti che pensavano di vedere i nostri, come del resto il sottoscritto, salire sullo stage principale.

Ricomposte le membrane cellulari dopo questa piccola delusione, si entra nel club alle ore 21.00 e puntualissimi partono a suonare i Ramona Flowers, band dal buon suono complessivo, ma che non colpiscono appieno vuoi per il poco potenziale sfruttato vuoi per il cantante non del tutto convincente nelle sue pose plastiche dal sapore fittizio.

La loro musica è un misto tra U2, soprattutto nel cantato e sonorità più alternative legate al mood brit – rock d’oltremanica in una commistione che regala, solo a tratti, forti emozioni.

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Ore 22.00 e qualche minuto sale sul palco Ricky Wilson accompagnato dalla ormai prode ciurma, pronta a far scatenare i circa 500 corsi ad applaudirli.

ima2Il frontman della band è un vero e proprio animale da palcoscenico, non smette di muoversi e come un fiume in piena si distrugge e si ricompone in pochi attimi, quasi fosse il concerto della vita, quasi fosse l’ultimo concerto a cui può partecipare.

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Gli altri elementi della band si muovono appena, defilati, impostati, quasi fermi, c’è intesa e si vede, ma i riflettori sono puntati solo su un’unica figura che si dimena continuamente tra pubblico e palcoscenico.

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Dopo i primi quattro pezzi è tempo di togliersi la camicia per Ricky e mostrare quel sudore che deve essere segno distintivo per qualsiasi rock-star che intrattiene e coinvolge, quasi fosse un bisogno necessario, innato, quello di far parte del pubblico, di farlo partecipe dello spettacolo, in un unico grande esempio di savoir-faire che solo pochi grandi gruppi di genere riescono ad ottenere.

Le canzoni poi parlano da sole, Education, education, education & War, a mio avviso sottovalutato, è portatore di un suono completo, energico e potente e dal vivo i pezzi si fanno umani, quasi terreni, bellissime le versioni di Modern Way o One more last song, praticamente un inno da stadio, come del resto il singolone Coming Home o la circense Misery Company tra i pezzi finali.

Degna di nota My life, rallentata rispetto alla versione originale e costruttrice di un appeal sincero e percepito anche tra il pubblico.

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 In mezzo a molti pezzi dell’ultimo album si snocciolano in modo naturale canzoni cardine della discografia del quintetto, un’energica Ruby, un’impertinente Everyday I love you less and less e come non notare una The Angry Mob direttamente cantata dal bancone del bar?

Tra tutto questo si trova il tempo anche per festeggiare il compleanno di Simon Rix il bassista e cofondatore della band, tra domande del pubblico e tanto di torta con candelina consegnata dal tastierista Peanut.

ima7Una band che si fa notare, ma con garbo, coinvolge senza strafare e che ha la fortuna di avere un leader carismatico e pronto a tutto per conquistare chi lo ascolta.

Un concerto potente e reale: questo mi sono portato a casa!

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Genuini e non leziosi, i Kaiser Chiefs dopo poco più di un’ora e un quarto di live non vogliono insegnare agli altri come si fa della buona musica, lo fanno e basta e questo vi sembra poco?

Voto: 8+

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