-LIVE REPORT- Volevo magia Tour – Verdena – 13/11/22 – Gran Teatro Geox (Padova)

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Scatoloni da trasloco psichedelico si aprono per lasciare intravedere la luce dopo un buio durato molti anni, dopo un buio che ritrova, nella sua forma più naturale, il contatto con un mondo e un’esigenza primordiale nello scavare a fondo per recuperare il passato proiettandolo inevitabilmente in questo presente.

Ci sono elementi in simultanea che si sposano in questo concerto. Ci sono attimi di compiutezza estrema che percorrono la carriera di una delle poche band rock presenti nel panorama italiano e attualmente in circolazione. Coesistono l’energia e la ruvidità, attimi di rilassatezza di chi ha e deve dare ancora tanto e nel contempo persiste un sogno magico che dura una notte intera.

I Verdena si presentano sul palco del Geox di Padova in forma spettacolare. Prima di loro le eterogenee visioni del duo esplosivo composto da Daniele Ciuffreda e Francesco Antinori a formare quei Little Pieces of Marmelade che poco si preoccupano di dare collante alla prestazione. Il loro obiettivo è spaccare, in una sorta di fulgida immediatezza che nella breve performance proposta riesce a consegnarci una solidità di fondo entusiasmante.

Cambio palco, buio e vuoto intorno. Arrivano i Verdena. La struttura che li ospita è al completo, da molto tempo. I brani scorrono alla velocità della luce anche perché, eccetto qualche grazie di Alberto e Roberta, le canzoni sono una sudata composizione unita ricavata da un forte bisogno intrinseco di dare all’apnea un nuovo significato. Pascolare in apertura alimenta la robustezza di un comparto ritmico strumentale sempre all’altezza, un pezzo apripista capace di contenere la rabbia e le incertezze di questo tempo. A seguire, degne di menzione, Crystal Ball, Cielo super acceso, Viba, Starless, Luna, Trovami un modo semplice per uscirne, Loniterp, Caños, Sui ghiacciai a ricomporre di speranza intenzioni e futuri da costruire.

I Verdena riescono ad assemblare una bolla rock di indecifrabile importanza.  Nonostante un audio non sempre all’altezza, i suoni spesso sembravano impastati e confusi, i nostri portano a casa un concerto fatto da una band affiatata e perennemente alla ricerca di sperimentazione, non polvere nel vento, ma costruzione esistenziale di un crepuscolo eterno da cui osservare il nascere della luce. 

Set list:

  1. Pascolare
  2. Crystal Ball
  3. Dialobik
  4. Chaise longue
  5. Cielo super acceso
  6. Paul e Linda
  7. Viba
  8. Starless
  9. Luna
  10. Don Calisto
  11. Certi magazine
  12. Trovami un modo semplice per uscirne
  13. Razzi arpia inferno e fiamme
  14. Paladini
  15. Loniterp
  16. Caños
  17. Puzzle
  18. Scegli me (Un mondo che tu non vuoi)
  19. Was?
  20. Muori delay
  21. Valvonauta
  22. Un po’ esageri
  23. Sui ghiacciai
  24. Volevo magia

Nil Nil – S/t (Autoproduzione)

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Post punk embrionale che si nutre di oscurità ed espelle nell’etere una sostanza che ha bisogno di essere ingabbiata in suoni che fuoriescono da un tempo lontano e si lasciano trasportare lungo i flutti della nostra memoria. I Nil Nil intascano una prova fatta di cinque canzoni allo stato larvale che riprendono un amore legato al passato, un amore nei confronti di uno stile e di una carica emotiva improntata a raccogliere le sofferenze e le inquietudini degli anni ’80 e pronte ad essere digerite attraverso elettricità e ombra per suoni sempre attivi e convincenti. I padovani registrano cinque pezzi che si dipanano da The dwars of the garden fino a Little man passando per pezzi come Run rabbit…run! a diffondere ancora un’esigenza chiarificatrice e di sicura importanza. L’Ep autoprodotto, sin qui arrivato, denota un gusto quindi per situazioni da amarcord post punk elettrificato a dovere e da energia incanalata in un’essenza di oscurità che fa scuola. 


-LIVE REPORT- Baustelle – Gran Teatro Geox – Padova 27/04/18

La qualità si respira sui palchi polverosi sporcati dal tempo che passa segnando un’evoluzione all’insegna dei modi desueti e del volere andare in direzione contraria pur calpestando il pop digerito nel corso degli anni e trasformato in musica d’autore per poi essere ricucito, sventrato ancora e incollato per non buttare via niente, per raccogliere le cose migliori modificandole a proprio piacimento in un pensiero in musica che non ha fine, almeno per il momento.

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La musica percepita dei Baustelle oltre che ricca di rimandi e di citazionismo è prima di tutto uno spaccato di vita capace di raccontare istantanee e momenti che si fanno piena comunicazione proprio durante i live, durante quella comunione con l’ascoltatore attento e complice di essere davanti ad un gruppo di classe e di stile, mai banale e convincente.

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Stasera qui a Padova siamo in tanti, il Gran Teatro Geox ospita per l’occasione la tappa finale, della prima parte del tour di L’amore e la violenza Vol.2 ennesima fatica della band toscana che chiude il percorso iniziato lo scorso anno con il primo frammento sostanzioso del Vol.1 e che segna una svolta rispetto al precedente Fantasma, album orchestrale, introspettivo e dalle tinte che si muovono dilatate da un bianco accecante ad un nero notte inoltrata.

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Ad aprire il concerto Andrea Poggio, con la sua elettronica minimale, un po’ Battiato e un po’ creatura nordica a ricordare Erlend Oye dei Kings of Convenience in una musica piena di rimandi a qualcosa di passato, ma nel contempo tangibile e prezioso ai nostri giorni. Bravo davvero. A seguire i Baustelle e quel nome a posteriori illuminato al neon che oramai è diventato un marchio di fabbrica per i nostri e che abbaglia di luce una band che ha fatto del palcoscenico un punto d’approdo e che li vede sempre più protagonisti di una scena che hanno contribuito a creare e a mantenere.  Il comparto sonoro e strumentale è qualcosa di favoloso, i suoni sono vintage, hanno l’odore del tempo, sono calibrati a dovere e il risultato non delude le aspettative, anzi mette in risalto voci e sovrapposizioni tra Francesco e Rachele in pezzi che comprendono per la maggior parte estrapolazioni delle ultime due fatiche. L’iniziale Violenza, Amanda Lear, L’amore è negativo, Il Vangelo di Giovanni, Perdere Giovanna sono solo alcune delle più riuscite canzoni di una serata che ha visto, in una seconda parte del concerto, l’apertura a pezzi più vecchi, ma impressionanti  e sentiti dal pubblico come Nessuno, I Provinciali, Monumentale o la sempre attuale La guerra è finita.

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I Baustelle hanno raggiunto una maturità artistica ineguagliabile, complice il fatto di essere liberi di creare composizioni che non devono per forza accontentare tutti, ma che piuttosto fanno del passato una radice imprescindibile da cui partire per trasformare architetture abitudinarie e vicine all’orecchio dell’ascoltatore in qualcosa di spiazzante e avvincente, mai banale, ma piuttosto necessario per comprendere appieno una poetica contemporanea e vitale destinata ad occupare un posto d’onore nel panorama della musica italiana.

Testo: Marco Zordan

Foto: Pietro Rizzato

Breaking the fence – Niente Rimane (Chains)

Esclusiva: Breaking The Fence – Niente Rimane EP (full streaming)

Sostenuta potenza che si evince da subito nei pochi fraseggi che fanno da aperture del disco carico di marcia rabbia dei padovani Breaking the fence, un album composito che accompagna grida di dolore nei confronti di una società che non vuole cambiare. Grida laceranti che in Niente Rimane assumono la connotazione di poesie moderne da cantare tutte d’un fiato, da far assaporare istante su istante all’interno di una scatola chiusa e pronte ad uscire quando meno te lo aspetti. L’Ep dei Breaking the fence, formato da sei canzoni, è la summa di un percorso di ricerca che trova come spiriti affini band della caratura di Ministri e FASK e che nei contrappunti sonori proposti si fa tangibilità esigente da apprezzare soprattutto in chiave live. Le multiformi Che ne sai, Santa Marta aprono ad un finale e ad un intero disco che sa di già visto, di già sentito, ma che non disdegna certo l’immaginazione sempre fervida di nuove strade, preponderanti e personali, da seguire. 


Zagreb – Palude (Alka Record Label)

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I veneti Zagreb sono tornati con un disco che rinfranca le attese e segna un proseguo essenziale con il primo Fantasmi Ubriachi per una band che fa della potenza incontrollata un segno distintivo e che sopra il palco trova una dimensione che come giacca su misura veste a pennello. Palude è bisogno di comunicare in primis uno stato di disagio, un desiderio essenziale di uscire allo scoperto per raccontare le illusioni del mondo, mai con toni semplici o immediati, ma piuttosto ricercando un proprio canale di sfogo e di comunicazione, un facile appeal emozionale che si scopre in tutto il suo necessario volere in pezzi come l’apripista Nel buio e si fa via via più incisivo nella bellissime I tuoi denti, Vile o la finale Anestesia. Gli Zagreb convincono a dismisura in questa nuova prova, lo fanno con il piglio di chi non ha nulla da perdere, in direzione ostinata e contraria e intercettando le solitudini cariche di rabbia di band come i FASK per una proposta nervosa e necessaria, carica di quella essenza che proprio nelle produzioni migliori esce allo scoperto per gridare la propria appartenenza ad un mondo che gira al contrario.  


-LIVE REPORT- Non voglio che Clara + Iasevoli – Mame Club Padova – 13/01/17

Il Mame di Padova si trova nella prima periferia della città, un luogo molto accogliente con un cartellone ricco di proposte della scena indie italiana e non e con occhio attento e un gusto variegato nei confronti delle situazioni musicali attuali capace di accontentare, da quello che ho potuto vedere fin’ora, anche i palati più esigenti. Complice forse la temperatura esterna ieri sera il locale si presentava alquanto freddo, della serie senza cappotto la vedevo dura restarci dentro e forse un bel pentolone di brulè non sarebbe stato del tutto fuori luogo.

Ad aprire il concerto di ritrovo, in vista delle registrazioni del nuovo album del gruppo semi-bellunese Non voglio che Clara, Iasevoli, già recensito sulle pagine di Indiepercui (iasevoli – Bolero! (Lavorare Stanca) e per l’occasione accompagnato da sola chitarra-voce. Gianluigi Iasevoli è un’artista naif puro, un cantastorie di punk tascabile in cui la passione e l’interpretazione personalissima dei brani si sposa con l’esigenza di mettersi in gioco per cercare di comunicare sensazioni già apprezzate in toto nell’album di esordio Bolero, da Atlantico fino ad una creazione improvvisata di gelo e carezze notturne, passando per Un’estate distratta e Tigre del Bengala il nostro ne esce vittorioso intascando gli applausi sinceri di un pubblico attento e interessato.

Cambio palco e via i NVCC con le loro incursioni elettroniche per nuovi apporti che hanno saputo dare un diverso volto al progetto stesso trasformando l’approccio prettamente acustico degli inizi in un qualcosa di maggiormente destabilizzante mescolando una formula di indie rock e musica d’autore, incrociando chitarre pianoforte e sintetizzatori in ascensione e abbandonando quasi le parole stesse in un’esigenza di dare forma e colore alla musica di supporto, così essenziale e così magistralmente suonata da quattro musicisti che hanno saputo, nel tempo, dimostrare il proprio valore in molti altri progetti paralleli (Il teatro degli orrori, Public, Norman, Sara Loreni) e che stasera ritrovano conferma in un live particolarmente curato dove il suono ben differenziato colpisce come pugno allo stomaco in un divenire emozionale carico di quella premura che consola attraverso cavalcate post rock capaci di immagazzinare le poesie introspettive di Fabio De Min.

I NVCC si confermano pionieri di indiscussa classe ed eleganza, raccontando storie al limite, ma raccontando anche le storie nostre e dei giorni nostri dove l’amore è sostanza materica per il giorno che verrà e dove il vivere la calma di tutte le sere ci porta ad entrare in mondi in cui la scoperta del nostro essere interiore si confronta e si scontra inevitabilmente con l’altro ricordandoci che tante volte anche un cuore che si consuma è sempre un cuore.

SETLIST:

  1. IL TUO CARATTERE E IL MIO
  2. LA MAREGGIATA DEL ’66
  3.  LE ANITRE
  4. LO ZIO
  5. LA BONNE HEURE
  6. L’INCONSOLABILE
  7.  LE GUERRE
  8. L’ESCAMOTAGE
  9. GLI ANNI DELL’UNIVERSITA’
  10. LE MOGLI
  11. MALAMORE
  12. LA CACCIA
  13. CARY GRANT
  14. QUESTO LASCIATELO DIRE
  15. L’ESTATE
  16. LE ORE (della settimana)

Umberto Ti. – Cielo Incerto (New Model Label)

Umberto Tramonte, cantautore padovano ci regala emozioni da cameretta in un piccolo disco d’esordio di cinque pezzi prodotto artisticamente da Giuliano Dottori e mixato da Antonio Cupertino, un EP che racconta spaccati di vita folk blues che racchiudono le scommesse del tempo e lasciano intercettare parabole di quotidianità che si muovono velocemente e inondano gli anfratti di coscienza con brividi contemporanei a delineare cieli incerti in cui vivere e assorbendo le linee di demarcazione della nostra follia ordinaria con un qualcosa che ci tocca e ci commuove, ci rapisce e si immola ad essere energia per soddisfazioni future, da quella Città affollata, passando per la title track e la riuscita e movimentata Alibi fino a quella AngeliFantasmi ad intessere trame surrealiste in un sogno onirico e felliniano che si fa ricerca contorta di un sentimento che proprio in questo disco si accende, si consuma e ama, senza chiedere nulla la futuro, vivendo l’attimo compresso e meraviglioso.

-LIVE REPORT- Elvis Costello Detour – Gran Teatro Geox – 25 Maggio 2016 – Padova

Un genio inglese approda al Geox di Padova per un tour che lo vede toccare le più importanti città italiane Torino, Milano, Firenze, Bologna, Roma, Brescia; questa di Elvis è una serata speciale, fino a qualche giorno fa l’intera serie di concerti doveva essere annullata per un’infezione respiratoria, ma a grande sorpresa il nostro, è tornato, pronto per ripetersi più volte sul territorio nazionale, facendoci scoprire brani che attingono direttamente dalla sua pluridecennale carriera, in un sodalizio con il pubblico che è cosa rara di questi tempi: l’intimismo sporcato dal folk, rock, blues e jazz ormai ha fatto storia e questa serata ne è la conferma, una serata che si preannuncia essere un racconto in bianco e nero a riconsolare gli animi, tra la meraviglia e lo stupore.

13267910_1088248634546664_3459204119240273830_nIl Teatro Geox di Padova è sempre sinonimo di qualità e presenza sulla scena per essere punto di riferimento nell’intera programmazione del nord Italia e non solo, richiamando l’attenzione di numerose presenze attive agli show, un teatro che si presta a ricreare un ambiente domestico, personale e intimo, poco più di 1500 persone per l’occasione, un ambiente che porta il cantautore inglese a plasmare una comunione con l’ascoltatore che in primis si offre e trascina, un cantautore poeta che trasmette attimi di introspezione narrativa, attraverso aneddoti da primo della classe: scherza sul pianoforte prestato dalla moglie, freccia da lontano Donald Trump, parla del padre musicista e del nonno soldato, aneddoti che fanno comprendere maggiormente la caratura dell’artista che abbiamo davanti e l’importanza della musica che ci lascia da qui al futuro.

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Le meraviglie sonore non tardano ad arrivare e lui solo, con le sue innumerevoli chitarre vintage, perlopiù acustiche, prese in prestito da un’altra epoca, conquista e prende il sopravvento, grazie anche alla presenza di una base effettistica che si trascina talvolta in distorsori tonanti che portano corposità a ciò che potrebbe sembrare insipido e noioso, un suono scarno, ma al contempo ricco di quelle sfumature capaci di penetrare e non farsi dimenticare, quelle sfumature essenziali per comprendere un repertorio che pesca tra pezzi conosciuti, meno conosciuti e cover in un contesto ricreato nel mirare l’essenza stessa della musica, quella musica che rapisce e si fa storia, non come punto d’arrivo però, ma piuttosto come esecuzione da ricordare, che raccoglie il momento irripetibile e scuote rumorosamente il cuore nel cogliere di sorpresa l’ultima nota ancora vibrante nell’aria.

Si parte con Green Shirt per arrivare alla melanconica Tripwere, passando per bellezze come Church underground e I Want you senza dimenticare la scrollata elettrica di Watching the detectives per una scaletta che ripercorre un tempo infinito e dilatato.

13241197_1088248661213328_8459246833536449540_n[1]Elvis cambia spesso di posizione, sa divincolarsi egregiamente con il piano e utilizza i megafoni al lato del palco per cantare e per battere il tempo, istanti liberatori e personali che lo vedono dimenarsi, nell’ennesimo cambio di posizione, proprio all’interno di quella scatola televisiva che lo ha visto protagonista nel corso degli anni: lui così lontano da certi schemi, ma allo stesso tempo così vicino da subirne il fascino.

La voce non è delle migliori dopo la lenta ripresa, la gola ne risente, beve spesso, parla molto, ma il talento è un diario aperto, una confessione dopo anni di soddisfazioni, un esempio tenace di costanza maturata; Costello non dà consigli, ma racconta, alternando ironia e introspezione, prendendosi meritati applausi da buon poeta solitario, questa sera un po’ meno pop, questa sera un po’ meno commerciale, questa sera più umano e naturale, di quella naturalità che ha il sapore del tempo perduto, del tempo che passa e che trasforma ogni cosa.

Live Report: Marco Zordan / Indiepercui

Foto: Natascia Torres / Zed!

SETLIST

Green Shirt
Mystery Dance
I Can’t Turn It Off
(The Angels Wanna Wear My) Red Shoes
Ascension Day
Stella Hurt
Church Underground
Clubland
Come the Meantimes
Shipbuilding
A face in the crowd
Walkin’ My Baby Back Home
Ghost Train
She
TV Is the Thing (This Year)
I Want You

ENCORE

Pump It Up
Alison

ENCORE 2

Side By Side
Everyday I Write the Book
Jimmie Standing in the Rain
Watching the Detectives
Tripwire

Green green Artichokes – Treasure Hunt (Indiemood)

13162402_1094776287256386_1714717622_nLa caccia al tesoro è partita, pronta a riservarci nuove e gustose sorprese, in cerca di nuove sperimentazioni ed esperienze, in cerca di un motivo e un’esigenza che ci permette di far musica, senza chiedersi troppo e soprattutto custodendo l’ideale di libertà che caratterizza questo pazzo duo, i Green green Artichokes di Padova, che per l’occasione ci regalano un disco fatto principalmente di sostanza sonora, non legata tanto agli orpelli, ma all’essenziale, che si denota già nella ridotta formazione a duo, chitarra e batteria, per un indie rock da scoprire e amare.

Non serve altro, come dicono loro, la forza è racchiusa nelle canzoni e in questo album  non mancano di certo, è un’essenzialità che scava nell’indie pop ben congegnato, che unisci con un filo sottile Blur, Travis e Starsailor per pezzi che si dipanano tra cantautorato intimista e aperture chitarristiche più brillanti, partendo con Be an alien fino a A bottle in the sea, un messaggio forse di speranza o forse un pezzo del nostro tempo racchiuso dentro ad una bottiglia trascinata dalla corrente?

Paolo e Stefano confezionano una prova che ha il sapore degli anni ’90 e la capacità di restare reali, nell’essenzialità della proposta, la strada è ancora lunga, ma iniziare il cammino è necessario, tra le insidie del tempo e la luce di domani.

Zagreb – Fantasmi ubriachi (Foresta Fonica Records)

Rock tirato ed esistenziale che non si ferma alle apparenze, ma stupisce per sostanza ponendo l’accento su considerazioni che vanno oltre il quotidiano e l’idea che ci siamo fatti della vita.

Questo, della band stanziata tra Padova e Treviso, è un lavoro ricercato e qualitativamente buono che intasca la prova dei tempi che furono, soprattutto del suono italiano dei primi 2000, per rielaborare il tutto con originalità e grande maestria, coadiuvati per l’occasione da Manuel Fusaroli e Federico Viola; un album che vuole parlare all’Italia e denunciare un modus vivendi che ci affligge e ci rende immobili davanti alle difficoltà quotidiane il tutto impastato da sonorità che ricordano I Ministri su tutti e qualcosa dei primi Zen Circus, in un vortice di tensione che esplode in multiformi energie da domare.

Nove pezzi che raccontano dei nostri giorni, lo fanno con verità e normalità, senza essere disimpegnati e tantomeno pesanti, anzi la peculiarità di questa prova sta proprio nel fatto si saper raccontare un momento della nostra vita così delicato in naturale sintonia con i nostri pensieri, creando un ponte visibile tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.