Intercity – Laguna (Orso Polare Dischi)

album Laguna - Intercity

Pezzi di suoni moderni scaraventati al suolo in un impasto di bellezza costante che esce fuori da questo tempo e si conquista uno spazio vitale di preponderanza oserei dire essenziale per un disco dal sapore passato e nel contempo quantomai attuale. Gli Intercity sono tornati con un doppio album, al momento solo digitale, ambizioso quanto basta da valorizzare una band alquanto sottovalutata nel panorama della musica italiana. Il rock spruzzato dal pop di Campetti e soci riesce a dirottare l’ascoltatore in un viaggio oltremondo fatto di galassie, territori lontani e memorabili immagini in divenire dove l’omogeneità di fondo dei costrutti architettonici proposti è parte essenziale per un suono personalissimo e pieno di energia che si scontra costantemente con un poesia in cui le parole sono forme uniche per un flusso continuo e perennemente canalizzato. I singoli usciti in questo tempo come Notturno, L’indiano, Veracruz sono solo piccoli tasselli di un quadro più complesso che merita più ascolti, ma che già dall’incipit riesce a dire qualcosa di maledettamente profondo e reale. Laguna è un disco che si discosta in modo deciso dalle produzioni moderne e va ad occupare, assieme a davvero pochi altri, un posto d’onore tra i migliori album di questi nostri ultimi anni.

Intercity – Amur. (Orso Polare Dischi)

Amur è un disco che tutti vorrebbero fare, è un disco sul pensiero di ognuno di Noi, quell’abbraccio su cui si può contare, girando il mondo, vedendo cose, costruendo insieme.

Gli Intercity fanno ancora centro con questo nuovo album e dopo i cambi di formazione, acquisendo una maturità stilistica davvero invidiabile, che folgorante come un fuoco vivo d’inverno, ci trasporta verso terre lontane; il tema portante l’amore, quell’amore a cui non possiamo rinunciare, quell’amore che converge al centro di ogni cosa e non lascia scampo, il fiato al cielo e gli occhi al mare.

Dall’Himalaya all’infinità, dall’Australia mi penserai, fino agli Urali mi troverai canta Fabio in cerca di una forma di riscatto, in cerca di occasioni perse, ma mai abbandonate: un substrato di coscienze sottili, uno strato di ghiaccio polare che ci fa capire Come siamo lontani anche se vicini, a volte silenziosi, a volte premurosi, luoghi dove Qui convive il silenzio e non si parla più e ancora l’esigenza di incontrarsi in Teatro sociale, i ricordi dispersi lungo strade senza uscita di Indiani Apache e poi le atmosfere di Kyoto e gli addii di Kill Bill per chiudere il cerchio, un percorso senza fine che riparte con Le avanguardie: Da qui io partirò.

Malinconia di fondo che abbraccia Amor Fou e Baustelle, immaginarsi una terra desolata di frontiera dove un bambino corre con il suo aquilone in cerca di una meta senza trovarla, è un disco prettamente indie rock con venature pop, dodici pezzi che fanno il giro attorno al globo, innescano vortici letterari e di citazionismo e si concentrano su di un tema apparentemente banale, ma in questo caso affrontato con forte capacità visionaria e coscienza, il descrivere attraverso immagini istantanee una poetica di vita vissuta dove i ricordi e i momenti reali sono ancora vivi; immaginarsi il nuovo che avanza osservando le città in rovina.

Si chiude il cerchio, il sipario cala sulla scena e ancora quella nostalgia ci assale per un disco che sa di perfezione da qui all’infinità.