Il silenzio delle vergini – Su rami di diamante (Resisto)

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Evocativo nome per evocativo disco intessuto di trame chitarristiche e di basso a sciogliere voci che si immolano su testi che lacerano la carne cercando un punto di svolta laggiù dove l’amore sembra essersi fermato, laggiù dove tutto tace e quel bagliore di umanità sembra essersi dimenticato di noi. Su rami di diamante non è un disco di facile appeal, piuttosto è un viaggio in bilico tra incubo e sogno, dentro di noi, un viaggio fatto di sapori e profumi oscuri, un vagare nell’eternità della notte dove a farci compagnia troviamo i fantasmi del nostro passato impressi in pezzi che sono metamorfosi del nostro essere e scoprendo l’apice di questi parallelismi in canzoni come Londra  o nel singolo Amore. Il duo composito formato da Armando Greco e da Cristina Tirella e che per l’occasione vede la presenza di Michele Guberti ad aumentare la caratura artistica, ricerca nelle profondità mancate un punto d’appoggio per scrivere ancora di questa ed altre storie con la lucidità di chi cerca la particolarità nell’ovvietà, scardinando preconcetti e guadagnando respiri ad ogni passo. 


Solaris – L’orizzonte degli eventi (Floppy Dischi)

Deformate architetture si inabissano nella nostra mente costruendo anfratti di una potenza inaudita e disturbante capaci di penetrare e convogliare fino al centro del nostro cuore, dando l’impressione di assaporare il momento in un’esplosione completamente nera di amore e odio, tenebra che avanza e incontrollabile desiderio di sparire. I Solaris ci fanno cavalcare l’angoscia, ci trasportano lungo fili elettrici tesi dal giorno che si trasforma in notte, lo fanno attraverso un rock in distorsione che abbraccia gli elementi dello stoner e del noise degli anni ’90, lo fanno disturbando e comunicando, parlando e confrontando i vetri della nostra inettitudine in un esoterismo di fondo trasportato nella quotidianità che sempre più spesso non convince, sempre più spesso non ripara. Le canzoni come del resto i titoli sono emblematici, da Luna a Specchio passando per il delirio di Erode, i Solaris confezionano un Ep singolare velato da un amarcord d’annata che non brilla di certo per originalità e questo non è un problema perché i nostri tendono ad appartenere al momento di un passato lontano, là dove tutto è cominciato in attesa della prossima esplosione.

LACOLPA – Mea Maxima Culpa (Toten Schwan Records)

Viaggio di sola andata negli abissi più profondi e intermittenti all’interno di un contenitore di oscurità creato apposta per adombrare il nostro interno, il nostro mondo in evacuazione totale, grida lacerate a sorreggere, eterni sospiri a dichiarare la fine del mondo. LaColpa ingaggia pensieri difficili da decriptare, longeve assuefazioni alla noia che in questo disco ritraggono la parte più nascosta di noi, una cattiveria rumorosa che diventa decifrabile sono se apriamo la nostra mente al noise di fondo abbandonando il consueto vivere e intersecando realtà parallele che non conosciamo, ma che facciamo nostre fino alla fine del giorno. Ci sono passaggi naturali in tutto questo e carne in lacerazione costante che abbraccia le tenebre e le sviluppa in tremolii di disorientamento, un cuore che esplode e tutto l’intorno cicatrizza gli attimi di vita vissuta in un concentrato di tre pezzi che resuscitano l’essenziale necessità di splendere nel buio più assoluto. LaColpa è il sostanziale rumore di fondo che esplode quando meno te lo aspetti. LaColpa potrebbe essere stata la colonna sonora per il nuovo Twin Peaks.

Petrolio – Di cosa si nasce (Etichette varie)

Petrolio lo senti avvicinarsi da lontano, da sotto i piedi che avanza in veste elettronica e sradica preconcetti per porsi nei confronti di un assoluto morente ad intessere trame di abbandono, di dolore, di buio che circonda una prova dove il silenzio o la calma di un pianoforte sono maggiormente discostanti di tutto quello che ci gira attorno, una prova solista quella di Petrolio moniker di Enrico Cerrato, un prova che trasuda potenza che si esprime in modo esemplare passando da un industrial ad un ambient d’ampio respiro, quasi fossero i suoni della terra, le ombre discostanti assuefatte dalla paranoia collettiva e quella strana sensazione di vita che viene via via ad esaurirsi, ad incombere nell’incedere spassionato di tempeste e fulmini cercando una via d’uscita nel labirinto della nostra ragione, ma scoprendo alla fin fine che siamo fatti di molecole pronte a disgregarsi al suolo, tra la materia e l’infinito ecco Di cosa si nasce a fare luce dove luce non c’è.

Palmer Generator – Discipline (Astio Collettivo/Torango)

Disco in famiglia che abbraccia i tempi migliori in lisergiche ambientazioni di paesaggi marini pronti a subentrare ad una terra in grado di cambiare ad ogni movimento e soprattutto in grado di comprendere le costruzioni del tempo tanto da valorizzarle in attimi elettrici e fotovoltaici attraverso una psichedelia stratosferica che si rispecchia molto nel post rock degli Explosions in the sky per un disco completamente strumentale che abbandona territori conosciuti per farci addentrare in un mondo inquieto e capovolto dove l’uomo deve uscire dal legame con la macchina per auto costruirsi un’identità fondante e autonoma in grado di comprendere i meccanismi che vanno oltre l’ingranaggio e si affacciano al pensiero con costanza e forza cangiante, da Persona fino a Domain, in mezzo abbiamo l’evoluzione di una società in un concept atmosferico in grado di sottolineare, ancora una volta, l’importanza dell’impatto emozionale su tutto il resto, intensificando un lavoro che si esprime soprattutto in chiave live, tra sudore e intensità, tra speranza e decandentismo evolutivo.

Angelo Sava – Addio Pimpa (Autoproduzione)

C’è la furia dell’urlo nella malinconia della vita in questo disco di Angelo Sava, c’è il bisogno sostanziale di rimettere le cose apposto dopo la tempesta, di ricucire il mondo oltre ogni aspettativa tra le onde del cantautorato e il noise distorto a ricoprire ogni forma di speranza per una vita migliore, una manciata di canzoni nascoste tra i lamenti dell’anima che impazzano gli abbandonati colori per entrare e farsi vedere, uscire allo scoperto, non aver paura di dimostrare la propria appartenenza ad un altro tipo di vita; Addio Pimpa è una scritta indelebile su di un muro, è l’abbraccio solitario con il passato che si consuma, attanaglia, stringe al cuore, Ritornerò su tutte è il pezzo più rappresentativo di questo lavoro, una Pesaro rumorosa che si fa sentire oltre il buio che avanza, oltre le grida laceranti di dolore, c’è un uomo, Angelo Sava che ripercorre i fili sottili della propri anima gridando al nuovo giorno che verrà.

Morkobot – Gorgo (SupernaturalCat)

Il post futurismo è alle porte e la potenza devastante dei Morkobot si fa sentire in questo nuovo album, che abbandona in parte l’oscurità del passato, per tuffarsi in un genere strumentale compresso e dichiaratamente distorto, pronto ad affilare le lame della coscienza per esplodere in bisogno esistenziale di ricerca apocalittica fino a farti sanguinare le orecchie, nell’esigenza di ritrovare una musica composta e composita capace di discernere le dimensioni, evidenziando la capacità dei tre di creare sovrastrutture cosmiche che inglobano e pungono profondamente, oltre la materia e i tecnicismi fini a se stessi, ma piuttosto incarnando uno stato, un modo di vivere, che li vede protagonisti della scena noise math, dove il basso è essenza che disturba, scompone e si aggrappa ad una batteria gigante e di impatto che rinvigorisce la formula dando una prosecuzione naturale al percorso iniziato nel 2005 con Morkobot, un percorso che ha la sua piena e devastante ambizione grazie a live paurosi e impattanti.

Registrato da Giulio Ragno Favero al Lignum di Padova, questo nuovo capitolo musicale, concede ampi spazi di produzione nella desolazione del momento e si immola ad essere creatura cangiante in grado di percepire un flusso di modernità veicolante nuove forme sonore.

 

Entrofobesse – Sounds of a past generation (Seltz/Viceversa Records/Audioglobe)

Corpi che si aggrovigliano e rilasciano al tempo un’ondata di aspettative che non si concretizzano, in un’oscurità celata dal profondo della nostra anima, dalla necessità di dare un senso a tutto quello che ci circonda, noi miseri esseri umani alle prese con substrati di energia da imbrigliare ed essenza viva da far propria per ritornare alla base, ritornare ad essere quello che non siamo stati mai.

Quello di Entrofobesse è un album che porta con sé carattere da vendere, raccontando di eventi immaginifici, affondando e ritornando dall’aldilà permettendo al nostro essere di cercare di dare un senso a quello che stiamo per fare, tra buchi neri e riempitivi, dopo sette anni dall’ultima uscita di Behind my spike, i nostri sono tornati più lisergici che mai incrociando sapientemente psichedelia cosmica a tanto rumore con ritratti ben delineati di un amore per la musica targata ’70, sia per approccio che per suoni utilizzati.

Ne esce un disco straordinario, che ci fa catapultare la mente dentro ad un altro mondo, un mondo che può essere diverso, in grado di cambiare la nostra mentalità, spazzare via l’inutilità del momento per dare un senso maggiore al nostro vivere; in queste tracce c’è tutta la nostra capacità di uscire dal buco di vita a cui siamo relegati per ambire ad orizzonti da osservare con occhi luccicanti.

RIJGS – The Rijgs Ep (Astio collettivo/Black Vagina Records)

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Un quadro emozionale dal colore bianco e nero che apre a profondità inusuali e si concentra sulla sostanza in divenire racchiusa da forme concentriche e minimali in una psichedelia che prende vita ascolto dopo ascolto, nella vibrante attesa che non ci possa essere un domani per un suonare che è prima di tutto sentirsi vivi, un suonare per sentirsi liberi.

  I Rijgs, quartetto di Bologna, raccolgono le lezioni del tempo per un piccolo disco, due pezzoni strumentali completamente diversi tra loro, Comet e Tauromachy, due lati della stessa medaglia che si aprono a sonorità spaziali e ricercate, passando facilmente di genere in genere fino ad un noise sperimentale che affonda le proprie radici nella scena americana; due soli tappeti che sono sferzata di vita pura prima del respiro finale.

Una musica non di massa che trova nel formato ridotto una chiave per aprire la porta del live d’impatto, una band che conosce la formula migliore per far volare le certezze lontano da occhi indiscreti, per una purezza d’intenti che porterà alle giuste soddisfazioni.

Joan’s Diary – Tsuchigumo (Toten Schwan Records)

E’ il passaggio dalla luce alle tenebre è quel ricomporre incerto le contraddizioni della vita cadendo all’interno di un buco/vortice dal sapore metallico che si improvvisa in un secolo fatto di poche speranze e ingenuità da conquistare.

Loro sono liguri e dopo la prova ben confezionata dello scorso anno, Hello, bloody sister, incrementano la dose di follia e ci inoltrano in territori cupi dove il ragno gigante Tsuchigumo è pronto a richiedere il proprio pasto.

Metafora allegorica di una società malata, la nostra, che viene usata dai nostri come trampolino di lancio per incursioni noise, post punk e industrial, dall’attitudine lo-fi, strizzando l’occhio a gruppi come Preti Pedofili e i capostipiti CCCP in un grido di agonia lacerata solo dal tempo che sa ricucire le ferite in un continuo migrare, un soliloquio  dannato e mutevole che ci immerge completamente in un’atmosfera rarefatta e mai scontata, dove le continue citazioni rimandano ad un inferno dantesco che si affaccia proprio di fronte alla nostra porta di casa.

Diciotto tracce per altrettanti incubi onirici, una continua miscela che stupisce e rende reale tutto ciò che ci sta attorno, lo rende tangibile, La morte incaricata di aprire le danze, a chiusura quel ragno malefico e Yorimitsu eroe epico che destato dalla vita e invecchiato si accorge che tutto quello che ruota attorno a lui è soltanto una gabbia di ragnatele creata dalla più grande illusione esistente: la vita.