Genoma – Mostri, paranoie e altri accadimenti (New Model Label)

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Viaggi edulcorati a dovere in accadimenti introspettivi che si fanno conoscenza attraverso un itinerario di scoperta che nella musica dei Genoma trova appiglio in una proposta di certo originale che ingabbia il pop sconclusionato del momento tentando di comunicare significati che vanno oltre il già sentito in una formula a tratti bizzarra per arrangiamenti a tratti vicina a quello che portiamo nel cuore attraverso testi che si fanno racconto del nostro essere reali. Mostri, paranoie e altri accadimenti ci fa comprendere le fragilità umane grazie ad una musica popolare condensata alla new wave in un viaggio attraverso sintetizzatori in primo piano che creano un tutt’uno con la bellezza da esplorare e che possiamo ascoltare in pezzi come Strade, l’esemplare Ciao Anima, Cose personali, fino a quella finale Heroes che omaggia Bowie trasformando un disco d’insieme in una perla mai banale e sconclusionata, ma piuttosto in una spaziale atmosfera di substrati che pian piano vengono a galla e ci fanno comprendere il senso dell’attesa e dell’importanza di tutte le cose. 


Genoma – Stories (New Model Label)

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Suoni che vengono da lontano quasi da sott’acqua ad incupire gli attimi e i bagliori di luce che si respirano in questo esordio targato Genoma che ha il sapore della carezza in bellezza che si affaccia nei confronti di un mondo in decadenza attraverso ballate che si aprono ad atmosfere intrise di significati reconditi e passionali dove la componente pop si mescola ad un suono meno agevole con echi di new wave non troppo celata, notevole la cover di Atmosphere dei Joy Division, per suoni capaci di tessere melodie attraverso un basso pieno e coprente, un piano, un violoncello, una batteria leggera e dipinti di vita che affrescano una voce melliflua pronta a condurci nelle architetture degli Amycanbe più oscuri o dei vicentini Nova sui prati notturni, per un esordio questo che ha tutte le carte in regola per far parlare di sé per molto tempo, almeno fino all’uscita di un vero e proprio full length.

Per info sul disco:

  genomaproject.com

Newdress – Falso negativo (VREC)

Suoni sintetici che inglobano l’atmosfera di luci e ombre attingendo direttamente dalla wave anni ’80 una capacità di ricreare elettronicamente atmosfere che ben si sposano con il repentino cambio musicale odierno in una ricerca che in fin dei conti si fa novità nella stesura, ma anche nel suono, ad arricchire ciò che prima era già di per sé punto di partenza importante per una band che ha un forte debito nei confronti di gruppi come Joy Division, ma anche nei confronti di una serie di modernità acclamate internazionalmente come gli Editors in un dissertazione musicale fatta di bianco e nero, una contrapposizione costante che si respira lungo tutte le nove tracce che fanno parte del disco in un sali scendi di intenzioni che soprattutto nella prima parte si concede ed emoziona altamente grazie ad un’ispirazione che sembra non sfuggire, facendo presa sull’ascoltatore in modo da ricreare un ponte tra passato e futuro, un ponte di ricerca che possiamo assaporare nelle prime note della riuscita Attico Narcotico, ricordando Bluvertigo fino a quella Sorride a tutti, ineluttabile finale a sancire una buona prova ben costruita e pronta a ricordare ciò che è stato proiettandolo nel quotidiano nero vivere che ci accomuna.

The last project – Pyrotechnic (Autoproduzione)

Futuri passati imbrigliati nella materia grigia degli anni ’80, insaporendo il tutto con chitarre squillanti e tamburi battenti in grado di rendere più chiaro un disegno perduto nella notte dei tempi, per una band che strizza l’occhio al passato, ma lo fa accelerando a dismisura e accaparrandosi un pezzo di storia per reinventarla e accenderla di nuove fantasie e spessore, direttamente inforcando il pop moderno con la new wave passata per una formula che brilla di un certo fascino visto i richiami consapevoli già dalle prime battute con Promise fino a W.W. a ristabilire un certo qualsivoglia ordine interiore, che ha il sapore della rinascita, ma anche delle cose migliori che se ne vanno.

Ecco allora che il quartetto pavese sfodera otto pezzi ben congegnati e rodati, dopo due anni di sale prove e live, dopo aver incanalato la rabbia e l’introspezione del momento per rigettarla avanti, verso un mondo ancora ignoto, tra Editors e The National, tra le città in sfacelo e quell’essere se stessi che diventa sempre più precario.

Bebawinigi – Bebawinigi (StratoDischi Notlabel)

Bebawinigi è cantante, polistrumentista, attrice, ideatrice di colonne sonore per film e soprattutto è pura stratificazione di stati d’animo che si intersecano con l’apparire in un’opalescenza che tende al cristallino, segno dei tempi di cui facciamo parte, segno di un mondo che è in evoluzione e questo è il puro tentativo di intrappolare dentro ad un disco una sensazione di trasformazione che ci accomuna e ci rende simili con il nostro essere ideale.

Queste tracce sono sperimentazioni narrative di intersezioni sonore che si dipanano tra i chiaro scuri della new wave, passando per l’industrial e lo stoner, raggiungendo quote psichedeliche fino ad abbracciare i territori del punk jazz, del blue e del folk in una sorta di anfratto da scovare e comprendere, in una sorta di allegoria della vita che è dipinta con tratti non precisi, ma che lasciano spazio all’immaginazione e al pensiero libero, quasi futurista; una ruota che si chiama vita e noi scesi nel baratro per essere richiamati a diversi destini.

C’è molta ribellione in tutto questo, un uscire dagli schemi che porta l’ascoltatore a scoprire nuovi ed emozionanti quadri sonori, dove il buio vince e dove la cupezza dell’animo è sinonimo di resurrezione.

FermoImmagine – Frammenti (Autoproduzione)

I frammenti dei FermoImmagine costituiscono i pezzi vitrei di una vaso che affonda le proprie radici più di trenta anni fa, quando facevano capolino nella musica leggera i primi sintetizzatori per affermare una base di elettronica pronta a divincolarsi lateralmente e letteralmente da tutto il punk che si stava affacciando di prepotenza, dando un senso ambient maggiore ai costrutti che si alternano negli anni a venire.

I nostri FermoImmagine sono intrappolati in quegli anni, anni di sperimentazione e al contempo capacità sonora di intrecciare il testo, le parole, la poesia con qualcosa che di per sé risultava nuovo e d’altra parte sostanza essenziale, il cantautorato che si fonde in modo esemplare con l’elettronica che si apre ad incursioni sonore mai osate, delicate e ricercate in una spazialità che prende forma e unisce l’attesa con un qualcosa che ancora dobbiamo valutare e comprendere.

Si ascolti con efficacia pezzi come l’apertura La gabbia e poi via via Nebbia, la riuscita Pugile fino a 40 anni, quasi un testamento, che si conclude con 11.12.13 remixata a dovere per dare un nuovo volto a qualcosa di precedentemente già sentito.

Un disco che si affaccia all’orizzonte e raccoglie le parti perse di ognuno di noi; inconsapevoli insiemi di particelle e di materia, tra certezze non ancora raggiunte e il tempo che scorre e non si ferma, tra i santo Barbaro e quel pizzico di cantautorato sospeso a creare immagini oniriche che sono parte di Noi.

Il Fieno – I Vivi (Autoproduzione)

 

Il Fieno

Il fieno continua il proprio percorso alla ricerca della canzone perfetta.

Il fieno ci regala finalmente il primo full legth dopo i primi due ep di qualche anno fa.

Prodotto da Paolo Perego, I Vivi è un disco di materiale scottante, che parla della dura realtà che dobbiamo affrontare e di quell’eterno equilibrio a cui siamo sottoposti giorno dopo giorno, istante dopo istante quasi fossimo noi protagonisti apatici di una vita che non ci appartiene.

E forse il fulcro del tutto parte proprio da qui, dalla necessità di creare qualcosa per noi che sia bene e in questo Il fieno ci aiuta  a trovare la strada, a smuoverci dalle comodità della televisione per renderci partecipanti attivi del mondo in cui viviamo.

Le otto tracce presenti hanno il sapore dolce-amaro di una pop song targata ’90 proiettata però negli anni in cui viviamo, dove a costringerci a restare a galla sono i pochi ricordi che ci appartengono.

Una commistione quindi di sonorità che si amalgamano in modo egregio e spettacolare e ci fanno sentire un qualcosa di già sentito nel singolo Del conseguimento della maggiore età, rafforzando l’idea dominante e colpendo dritto al fondo.

Un disco che fa e che farà centro sulle nostre realtà, sulle nostre paure e sulle avversità da affrontare, un album per chi resterà, per noi Vivi in attesa di compiere il salto nel vuoto che ci attende.

A modern way to die – Pulse and Treatment (Seahorse Recordings)

Strane visioni si accendono nei miei occhi come inquietudini di un tempo passato portato a raccogliere frutti acerbi, ma pure essenziali e riconducibili a quel vulcano in eruzione che attende e strappa, che attinge il meglio della scena ’80 e lo riversa quasi con spontanea naturalezza in un mondo fatto di automobili inarrestabili e umani, sovra umani irriducibili che si sentono super eroi.

Un cantato con un eco lontano fa da ponte, da tramite, alle circostanze che cambiano, che si fanno vive e più mature, riconducibili alla moderna creazione di una musica che non ha età ne confini, ma è solo un fatto di sopravvivenza e i nostri, di fatto, per sopravvivere se la cavano bene.

Oserei dire che se la cavano egregiamente anche perchè parlare di new wave nel 2014 significa riportare l’attenzione, il focus, il centro ad una considerevole voglia, quasi un bisogno di sperimentazioni sonore che in questo caso si divincolano in modo ottimale lungo le otto tracce della nuova fatica, dopo l’ep di esordio.

Questo Pulse and treatment è un album dove la sperimentazione è di casa, ascoltare Misanthropy per credere, un disco fatto di surrogati dove la materia prima è illuminata di luce propria da faville emozionali pronte a riaccendersi ad ogni sguardo.

8 tracce cariche, sentite e immortalate in una fotografia, quasi fosse mutevole immagine vintage da conservare negli anni a venire.