Niggaradio – FolkBluesTechno’n’Roll…e altre musiche primitive per domani (DCave Records)

Suoni multiformi che sanciscono l’importanza dei colori e delle sfumature, quel cantato di strada che si affaccia sul Mediterraneo e la voglia, quasi bisogno essenziale di sperimentare, di mettersi alla prova per un disco che ingloba una poesia che non ha nessun legame con gli ascolti odierni se non per l’interesse, che lega i Niggaradio, per la scoperta e il profumo di nuovo, di originale, ma allo stesso tempo concreto.

Africa, America, l’Oriente alle porte, generi completamente opposti che si attraggono e formano un arcobaleno di legami e speranze capaci di farsi sentire già nell’apertura affidata a U Me Dirittu, il blues chiamato in causa solo per attitudine e poi via via i testi che parlano dell’immaginaria concretezza di essere umani in questi tempi altamente strani e destabilizzanti.

La musicalità della Sicilia aiuta nel dare vita a poesie da testa alta, come aiuta di certo la presenza di Cesare Basile; obiettivi ben precisi e rassicurazioni sul domani, un futuro da costruire quasi fosse un puzzle che parla della nostra vita e che cerca speranza dove questa si nasconde.

David Ragghianti – Portland (Caipira Records/Musica Distesa)

David Ragghianti è un cantautore disteso su di un prato notturno ad ascoltare le cicale e a guardare le lucciole addentrarsi nella notte più scura, aspettando l’alba, tra il crepuscolo che ci possiede e scompare vibrante lasciando spazio alla luce, al colore dominante, un ritornare all’essenza partendo dal giorno, l’inizio di tutto, l’inizio nostro che ci appare in una splendida visione giovanile.

Un disco di cantautorato puro, pochi se ne ascoltano ai giorni nostri, di matrice deandreiana, ma allo stesso tempo racchiuso da tesi post moderni che raccontano vie di fuga necessarie, quasi a raccogliere l’eredità di un tempo migliore e lasciarla li perduta a incanalare i semi più pregiati, per migliorarsi e per migliorare la nostra vita.

Portland è un disco sul ricordo, è un disco di racconti, cesellati dalla perfezione musicale di Giuliano Dottori che lo si vede alla produzione artistica e alla cura dei suoni con interventi di chitarre, pianoforte, mandolino, percussioni e batteria, a completare il tutto la presenza di Mattia Pittella, Nico Turner, Mauro Sansone e Neith Pincelli; un gruppo capace di creare piccoli capolavori d’arte senza mai osare troppo, arrangiamenti raffinati, concisi, abbandonando lo sfarzo di una belle époque e abbracciando la tradizione che vive nel contemporaneo.

I prati che cercavo riassume egregiamente il pensiero principale per poi spingerci in cerca di Amsterdam, Dove Conduci il movimento dei brani legati da un filo invisibile che li accomuna e poi via via la bellezza nel Tema del filo che ci accompagna a Pause estive e 300 anni, per concludere con gli applausi di Raffiche di fuga a raccontarci che forse domani ci sarà neve e ci saranno strade da sistemare, cose da riporre al proprio posto, persone da cambiare.

Ecco allora che il suono si fa ancora più accogliente, infantile racconto naif di un’epoca che fu lontana, tra il trascorrere delle giornate, giocando a palla, la semplicità della vita, quel campo lungo cinematografico su distese di prati infiniti.

Alessandro Viti – Talea (VG Edizioni Musicali)

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Talea racconta della vita, una vita intrappolata che è pronta a nascere da un momento all’altro, che è pronta a disorientare e a comprimersi a dare un senso al tutto destreggiandosi tra le incapacità di concludere e di portare a termine, ma con gli occhi protesi in avanti a segnare un’ancora di salvezza per un nuovo futuro.

Il cantautore Alessandro Viti ci regala una prova sincera e onesta, ricca di sfumature che toccano il cantautorato d’altri tempi per portarci con la mente a ricreare nel nostro interno sensazioni lontane legate dal filo del ricordo e dallo scorrere della vita, tra la terra, l’acqua e il fango, il seme che nasce si sviluppa e muore in un circolo che non ha fine, ma che si trasforma in modo elegante e coinvolgente.

Gli arrangiamenti sono ben calibrati e il tutto si muove tra una mistura congegnata di sapori per il gusto classico tra violini e sintetizzatori a ricreare un’atmosfera delicata e soppesata che non ha passato ne presente, ma che guarda al futuro in modo emblematico e coinvolgente, segno di capacità espressiva fuori dal comune.

8 pezzi in bilico tra un cantautorato di riflesso tra Lucio e Battisti e Nomadi, guardando alle introspezioni di Capossela e Luigi Tenco ricreandosi giorno dopo giorno.

Talea è strumentale d’ingresso che si amplia a dismisura per accogliere Sotto la tua stessa luna, per passare alla bellezza de l’Essenza e poi via via con Il segreto e Ho fatto Naufragio, concludendo con Talea, in una nuova terra.

Un disco pieno e carico di melodia che racchiude l’essenza di un animo poetico, Viti racconta la vita e non possiamo che ammirarlo con stupore.

Piano Che Piove – In viaggio con Alice (Autoproduzione)

Tutto calibrato pesato e soppesato, un viaggio chiamato amore direi io, parafrasando il nostro Campana, un percorso introspettivo sospeso tra la quiete del tenero inverno, accarezzando melodie autunnali, in quieto divenire, forse punto di partenza per nuove strade e nuove esperienze.

In viaggio con Alice racconta la storia, una storia, quella di Alice, che potremmo essere proprio noi, una poesia in musica fatta di fotografie in lontananza sbiadite dal tempo e consumate dagli attimi di amore verso ciò che si fa, l’eterna incostanza della vita che, racchiusa da un petalo di un fiore, dona quell’attimo da cogliere giorno dopo giorno.

Melodie ritmate da sprazzi di bossa nova e jazz palpando il blues con mano e toccando vertici di altissima concretezza tra Patrizia Laquidara e Sylvia Telles in momenti di soffice meraviglia vissuta.

Questi sono i Piano Che Piove e contagiati dal cantautorato italiano dei ’70 si concedono in una prova ricca di sfumature dove a farla da padrone sono spazzole di batteria, chitarre in arpeggio e un contrabbasso pieno ma mai invadente.

Un disco da ascoltare in auto, rilassati, tra i sedili di un’eterna Primavera che stenta ad arrivare.

Loris Dalì – Scimpanzé (Autoproduzione)

Cantautore torinese che con un gusto alquanto sottolineato per la musica d’autore italiana si cimenta in una prova completa, intima e veritiera.

Un disco in presa diretta per sottolineare l’eleganza e l’entusiasmo di un progetto che vede la collaborazione di numerosi musicisti, suonatori di strumenti come il violino e l’udu, lo scacciapensieri e il basso tuba, fino ad arrivare alla fisarmonica: una commistione di generi che intinge le radici nel De André più introspettivo per raccontare come si vive in Italia.

Un racconto fatto di pensieri e di speranze racchiuse da 12 preziosissime perle che alle volte fanno riflettere, altre invece fanno sorridere, perché Loris conosce molto bene il significato della parola disincanto e la sa utilizzare al meglio in ogni occasione.

Un disco quindi quasi autobiografico, ma che potrebbe narrare tranquillamente la storia di tutti, tra disillusione  e perdita del lavoro, tra conformismo e inutilità del materiale.

Un album magistralmente suonato e inusuale che si avvicina di molto, soprattutto nei live, al cabaret, sognando di amori impossibili e stelle da raggiungere, senza forse sapere che tutto questo alla fine è dentro di Noi.