Rock emozionale che si inerpica sulle pendici del Monte Meru ad aspettare l’esplosione vulcanica, ad aspettare che tutto ciò che ci portiamo dentro possa passare attraverso i secoli per lasciare qualche particella infinitesimale di noi nell’etere che ci circonda. I Latente ritornano di gran carriera con un disco immediato di rock alternativo che lascia le aperture shoegaze iniziali a canzoni e ballate più incisive e meno sognanti sempre però affidate ad ampiezze che nei ritornelli raggiungono l’immaginazione valorizzando l’uso della parola che conturba e capace di creare immagini in costante cambiamento e alquanto visionarie. Tratti di psichedelia si contorcono dunque ricordando i primi Verdena, pezzi come La mia stanza buia, Nervi, Brace ed Everest ne sono emblema fino a chiudere un disco carico di una naturalezza e forte capacità espressiva difficili da trovare ai nostri giorni. Un album che suona già sopra di un palcoscenico illuminato, un disco catapultato di gran carriera nella nostra quotidianità ed è lì, forse che i Latente vogliamo trovare.