Marydolls – Tutto bene (Autoproduzione)

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Deriva utopistica che intasca la lezione del tempo e ingloba ad arte i pensieri dei giovani di adesso, parlando con la voce di chi vive nella quotidianità e per la quotidianità annienta qualsivoglia forma di menefreghismo e si lancia a capofitto nelle costante ricerca di valori da far comprendere, da poter capire per instaurare, attraverso un tessuto sociale disteso, un rapporto, un legame capace di creare continuità con lo spazio in cui ci troviamo parlando una lingua comprensibile, schietta, diretta e senza mezze misure in una sostanziale ammirazione per il rock sintetizzato e una ricerca contestuale che si fa soggettiva proprio nei pezzi che compongono questo nuovo lavoro dei Marydolls, ban bresciana capace di comporre un album che ha grinta da vendere e sogni e speranze da mantenere, intrecciando musicalmente la lezione di band simbolo come Ministri e Verdena e facendo assaporare miscugli di tempeste in musiche ben studiate che si aprono con il tormentone Voglio essere giovane fino a lasciarci con La parolina giusta, passando per pezzi importanti come il singolone Berlino in una continua destrutturazione di forme e parole in grado di dare senso tangibile ad una proposta che non ha nulla da invidiare a produzioni odierne più blasonate.

Velodrama – L’eticAmorale (Latlantide)

Esordio roboante per il gruppo romano che imbandisce una tavola non propriamente addobbata per le feste, ma una tavola spartana, con i colori della nostra bandiera, la casa che si trasforma in teatro di sangue, la nostra casa, la nostra terra sempre più imbavagliata e compressa, derubata dai potenti di turno, una tavola dove tutti hanno diritto di mangiare, ma che non hanno la capacità di raggiungere il poco cibo rimasto.

La sostanza di l’EticAmorale è racchiusa dal vivere quotidiano, è racchiuso da una rapidità di intenti e di denuncia, dalla continua ricerca di un posto di diverso dove vivere e gridando al mondo intero un disagio che si protrae per tutta l’esistenza, tra marcati squilibri e giorni in cui non ci ricordiamo da dove veniamo e che cosa ci poniamo come obiettivo, un obiettivo per rendere migliore la vita di tutti.

Un po’ come in E’ colpa mia del Teatro quando ad un certo punto Capovilla canta: Figlio mio, lo pensi un giorno, tutto questo sarà tuo; allora i Velodrama si domandano e si chiedono che cosa resterà di tutto questo, di tutti gli anni andati e lo fanno con l’energia dei FASK e la poetica dei Ministri, lo fanno mettendo in campo un sapere maturato sui palchi, un tiro degno della velocità drammatica di cui facciamo parte.

Questo è il disco che racconta il nostro tempo, è un disco di disincanto, ma è anche un disco di rabbia, quella rabbia che ci attanaglia, quella rabbia che anche se solo per qualche secondo, ci fa sentire più vivi e reali.

L’introverso – Una primavera (RuggitoMusic)

Influenze di un oceano passato sdoganato tra navi e uccelli in volo capaci di tramutare la marea e condensare quel poco che avanza in pioggia sovrabbondante a ricoprire i campi, a sperare in un raccolto migliore e a disegnarci diversi almeno per una volta.

L’introverso è una band milanese che al secondo disco esplode, esplode di rabbia e malinconia per ciò che mai saremo e si trasforma in un qualcosa che prende forma lungo l’ascolto degli undici pezzi presenti, tra un rock d’oltremanica che abbraccia gli anni ’90 in modo appariscente, quasi copiato, ma che si appropria di uno stile unico quando parte la voce; il cantato convince raccontandoci di un mondo opulento visto dalla periferia, sottolineando le proprie radici e le proprie aspirazioni, ben lontane dai mondi patinati dei giornali e della Milano bene.

Un disco che racconta di come la vita sia accompagnata dalle distorsioni quotidiane abbondandoci di inutilità svelata che dobbiamo con forza, ogni giorno, cercare di lasciarci in disparte.

Prodotto artisticamente da Davide Autelitano dei Ministri, il disco apre con la bellezza sopraffina di Tutto il tempo per avanzare sempre più fino al gran finale di Una primavera, alla ricerca di tutte le cose perse, del tempo perduto e di quelle emozioni dell’indole umana che sono parti vitali di qualsiasi infinito.