Audyaroad – What is the price? (VREC)

Potenza sonora incontrollata per un classic rock di sicuro impatto scenico che unisce elementi dei ’70 con qualcosa di più moderno che sfiora band come Bon Jovi pur mantenendo una connotazione alquanto personale che fa della band di Milano una sorta di camaleontico quadro in divenire che raccoglie le sfumature di questo e altri tempi per creare architetture sonore che eccentricamente misurano un insieme e si fanno gradazione sopra di un palco luccicante e nello stesso tempo polveroso e disincantato. Gli Audyaroad ci danno dentro e si sente, lo fanno con uno spirito da primi della classe, incorporando visioni e aspirazioni che ben sono rappresentate in questo What is the price? uscito in edizione fisica limitata a cento copie e che trova in pezzi come i singoli Mr. Dynamite e Hey Man dei punti chiari e di contatto con il proprio credo. Il disco in questione è un concentrato di avventure sonore a cui non sappiamo rinunciare e che trova il proprio spiraglio d’apertura passando per la porta principale, quella dell’amore e del sudore per un certo tipo di musica che sembra non trovare fine.

One horse band – Let’s Gallop! (Autoproduzione)

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Disco d’esordio per la one man band milanese, One horse band che sporca le canzoni di un blues atmosferico capace di infondere continuità ad una scia di ripresa cominciata qualche tempo fa che vede come protagonista dello show una chitarra, una vecchia batteria e una voce graffiante in grado di far ripercorrere in un solo istante la storia del blues e le varie influenze che lo stesso ha subito nel corso del tempo, per un disco questo che incrocia il Mississippi ai Navigli e fa diventare un garage rock qualcosa di più compiacente e meritatamente vissuto. Gli spiriti affini sono molti, ma un’essenzialità di fondo la possiamo scovare nei suoni di Tony la Muerte e di Elli de mon ad intensificare momenti di lucidità con assordante desiderio di trasformare il tutto in purezza di rumore dalla dichiarazione d’intenti iniziali Declaration of intent, fino al procedere nel finale di Altare per un disco che racchiude un animo oscuro e in decomposizione, un animo che affronta la realtà a testa alta, senza paura e senza vincoli precostituiti.

Vikowski – Beyond the skyline (Costello’s Records)

Poesia sonora dal gusto internazionale che abbraccia e si posiziona dietro la linea dell’orizzonte e protende le proprie aspirazioni a creare un suono curato, elettronico e sintetizzato quanto basta per dare vita ad un’emozione costante che si respira lungo le otto tracce che compongono questa prove davvero notevole. Un disco capace di incontrare le introspezioni dei The National, passando per James Blake e Bon Iver in sodalizi che vanno oltre le apparenze, concentrando nel testo vissuto e raccontato per immagini un amore nei confronti della solitudine, del tempo che scorre, degli amori senza fine, protendendo un concetto e accarezzandolo fino al calar della tenebre, fino a quella sera che è portatrice di luce buia nel crepuscolo, fino a quel minimale di fondo che parla di sentimenti mai raggiunti e speranze da ammirare per suoni pop che vanno oltre e intascano una gratitudine per la vita che come emblema stratifica il bisogno di maggior musica come questa per vivere in un mondo migliore: una musica pensata e sofferta, una musica che parla di noi.

Psiker – Maximo (Autoproduzione)

Artista visivo che abbraccia l’elettronica d’aspetto e ne protende visioni e speranze in costrutti decentranti e cerebrali, il tutto ad infittire trame e  strutture in stereofonia arrangiata a dovere e prendendo spunto dai contesti di vita che si affacciano direttamente al suono degli anni ’80 intrappolato nella rete della modernità a ricostruire parabole ascendenti verso l’ignoto e soprattutto verso il proprio essere, verso quello stare al mondo che è sì parallelismo coscienzioso, ma anche aspirazione, attesa e volo libero che si respira in tracce come il singolo Metropolitana a studiare i movimenti, i viaggi, le vite delle persone, le vite degli altri, in un colore vintage tipicamente italiano che si innalza a synth pop studiato in pezzi come L’altro ieri, Parla parla parla o nel finale da Attento, per una manciata di brani, precisamente dieci che ricoprono decadi di un tempo che fu e qui rispolverate a dovere nella speranza che ci sia una giusta riscoperta di un genere che in questo disco si riappropria di contenuti e di tanta sostanza, messa lì a sedimentare a comprimersi e a contorcersi, fino all’esplosione finale dove la ricompensa sarà solo un punto di partenza per la strada da seguire e dove le collaborazioni con artisti passati, che hanno fatto la storia di genere, come Francesca Gastaldi degli ZEROZEN, Raffaella Destefano di MADREBLU, Luca Urbani dei SOERBA e Odette di Maio dei SOON, sono fondamentali per entrare nel mondo di Psiker e delle sue composizioni digitali.

Mantovani – Sogni lucidi (Autoproduzione)

Viaggi cosmici interiori che ci portano a scovare attraverso il tempo una parte vitale del nostro continuo divenire in grado di portarci a correre lungo sentieri inesplorati, sentieri nascosti, perpetuati dal singolo momento e dalla costante ricerca di una bellezza interiore che si fa arte proprio in queste canzoni, pezzi di noi del nostro passato e del nostro divenire, incrociando il cantautorato di decenni fa con qualcosa di più prezioso, qualcosa di più concreto e cioè la ricerca di una nuova via che riesca ad andare oltre alle nuove forme d’autore per immolarsi come ponte tra passato e futuro, per nove canzoni che hanno il sapore delle cose fatte bene, il sapore di un viaggio eccitante, un viaggio che si concretizza con Andrea Viti, ex bassista degli Afterhours, l’aggiunta della stratificazione emozionale e sonora di Fabio Mercuri alla chitarra, uscito da poco con un disco personale e davvero notevole, da Alex Canella alla batteria, Alessandro Rossi alle percussioni, Simone Rossetti Bazzaro alla viola e violino fino a Silvia Alfei ai cori e co produttrice dell’intera opera.

Da questo disco ne esce un suono curato e riscoperto in trame fitte e sospese, ricordando un Franco Battiato dei tempi migliori, in sperimentazioni d’autore che hanno il gusto e la capacità intrinseca di donare linfa vitale ad un genere da riportare nelle orecchie di tutti, per sogni lucidi e pezzi onirici di un’esistenza cangiante.

HAZAN – KAISERPANORAMA (Habanero Factory)

Suoni diretti che arrivano fino alla fonte della musica, per un tutto che suona come una vibrante attesa pronta ad esplodere e incorniciare al meglio l’alternative rock dei lombardi Hazan in un EP dai toni odierni che parla di modernità e lo fa con piglio sfrontato e ribelle, intascando la prova del tempo e sfruttando l’insegnamento di mostri sacri quali Clash incrociati al suono e agli umori post duemila di band come Ministri e Majakovich, il tutto arrangiato in chiave rock per cinque pezzi che raccontano e si fanno raccontare, brani che parlano del tempo che ci sfugge tra le mani e di generazioni che non hanno più una boa di salvataggio per poter guardare ancora una volta in faccia il sole.

Pezzi come Sulla pelle sono pugni in faccia alla consuetudine, si passa poi a Qui dove sto dove è presente Davide Lasala già co-produttore del disco, per poi volare diretti verso la title track e Visionario apripista conclusiva alle manie quotidiane di Un altro vizio, per un disco, questo, che riesce a raccogliere l’istante in modo consapevole e prezioso, un album di genere ben suonato e impattante quanto basta per tenerci compagnia ancora per un po’ di tempo.

Aftersalsa – Chances (Autoproduzione)

Quattro pezzi che segnano il bisogno di andare lontano, oltre le luci della ribalta, in luoghi sperduti, dove l’entrare in comunione con il proprio pensiero, con il proprio stato d’animo potrebbe essere l’unico appiglio necessario e inevitabilmente utile per affrontare la dura realtà, tra l’alienazione, la noia e l’abbandono si muovono i milanesi Aftersalsa, riuscendo nell’intento di confezionare un mini disco, ben amalgamato e strumentalmente ineccepibile, con pezzi che si fanno ascoltatore e lasciano il segno, pezzi che hanno il colore della migliore new wave sintetizzata dalla modernità, un prisma caleidoscopico che filtra e lascia filtrare l’abbondanza e la generosità di questo quartetto che si muove da White Collar, la title track, Haldol e I wanna; così puramente reali nel muoversi tra la sostanza del momento e i sogni nel cassetto da far esplodere ardentemente.

Simone Lo Porto – Un viaggio nel magico (VREC193)

Prendi la tua chitarra e vai oltre l’orizzonte conosciuto, gettati dalle scogliere e ammira il mare da lassù, senti l’acqua che scivola e abbandona i corpi ad asciugarsi al sole di una spiaggia oltre la vista, oltre qualsivoglia forma di conoscenza, viaggia e sii padrone di te stesso, la conoscenza è caparbietà di scoprire e il bisogno di non accontentarsi mai, il gusto per l’avventura intriso di significato e per l’occasione valorizzato da queste tracce, dalle canzoni di Simone Lo Porto eterno cantautore avventuriere che grazie a questo disco incrocia il mondo e lo trasporta in un luogo onirico e carico di suggestioni, di ricordi, di realtà mescolata alla finzione, tra Venezuela, Cile, Perù, Bolivia, Ecuador: l’America latina, i suoni, gli odori e le immagini colorate, cariche di vita e di sensazioni, da Il bacio del Colibrì, fino alla citazione La fine è il mio inizio come direbbe Terzani, il nostro intasca una prova che sa di world music e di profonda conoscenza nei confronti di un mondo complesso e emotivamente diversificato, ma accomunato dalla stessa sostanziale sete d’amore.

Merkel Market – La tua catena (Prismopaco Records)

Diciassette pezzi contro un sistema malato, un album che scorre le infinite possibilità della vita annientando il superfluo e denunciando una realtà spesso opprimente e discostante, garantendo un punto friabile di roccia che scivola da una ripida montagna alla ricerca di un suolo dove infrangersi e distruggersi, un punto di contatto fatto di bassi pesanti e cantato a squarciagola pronto ad assicurare l’esigenza  dei Merkel Market di parlare di prodotti di consumo, di merci e capitalismo sfrenato, senza mezze direzioni o punti fermi, dove la violenza umana è realtà tangibile, è ciò che subiamo giorno dopo giorno, è memoria che si fa carne presente per una band che sa parlare, attraverso un post hardcore d’annata, delle esigenze di intere generazioni, afflitte dalla ripetuta presenza di stereotipi viventi da abbattere, per non subire ancora e soprattutto per essere responsabili appieno delle nostre, brevi vite.

Sono pezzi rapidi e hanno l’odore del fuoco che brucia tutto ciò che possiamo vedere davanti ai nostri occhi, da Il dittatore fino a Asesino i nostri ci convogliano all’interno del loro girone dantesco, cercando, tra le fiamme, una nuova via da seguire, emblema di questo tempo abbandonato al confine per una generazione che non conosce futuro.

Dan Cavalca – Cinematic (Autoproduzione)

Cinematic_fronte_1440E’ un viaggio onirico quello di Dan Cavalca, è un viaggio fatto di intenzioni e mutismo da sciogliere per imprimere sonoramente virtù esagerate che si accendono lungo i binari di un suono cosmico, che sembra non avere direzione, ma si fa portatore dei sentimenti della galassia; un ambient regalato a dovere, che punta al cuore della creazione e non stanca, anzi, permette all’ascoltatore di entrare in profondità con un io interiore ancora da scoprire.

Dan Cavalca è un polistrumentista a tutto tondo, che dopo una borsa di studio al Berklee College e dopo aver condiviso il palco  con personaggi del calibro di Annie Lennox e Carole King, si tuffa in un’avventura meditata e meditativa, in grado di rappresentare al meglio l’idea sovradimensionale che abbraccia tutta la sua intensa e sentita produzione, indistintamente, senza tralasciare nessun pezzo e valorizzando ogni singola perla confezionata per l’occasione, da Life time lapse fino a Blues in E (lectronic), per sette pezzi che sono il risultato di un percorso che emoziona grazie ad una capacità artistica da non sottovalutare e grazie anche alla capacità del nostro di tuffarsi nel buio delle produzioni strumentali, alla ricerca della sonorità perfetta, di quella che resta, di quella in grado di illuminare.

 In bilico tra jazz, ambient e colonna sonora per il cinema, Dan Cavalca segna una nuova tappa importante nel suo cammino di artista, raggiungendo una poliedricità invidiabile.