Dance with the bear – Disco di platino (Autoproduzione)

 

Incrociatori tappezzati di sonorità dance che amplificano a dismisura un suono che colpisce allo stomaco, che spacca di brutto e diventa irrequieto nella bellezza di testi diretti che non lasciano scampo, ma proprio attraverso una semplicità di fondo riescono a penetrare grazie a refrain memorabili e di sicuro effetto in grado di scardinare in modo egregio il pop italiaco con una formula assai strampalata che mette assieme il nordico Gunther con gli MGMT, passando per Bloody beetroots e la disinibizione di Francesco-C per suoni e attitudine che ricorda il punk più crollato trasportato però nel 2016 implementato quindi da una cura elettronica che non vede fine in nessun pezzo, ma anzi fa da filo conduttore per le nove tracce proposte in un altalenante discesa/ascesa dentro ad una società da interpretare e alquanto lontana dalle forme di comunicazione usuali.

I Dance with the bear con questo nuovo album entrano a far parte di un progetto alquanto interessante, dopo il buon successo di I love you Bears cesellano con astuzia canzoni tormentone che non si interrogano sulla qualità della proposta e di qualità ce n’è tanta, ma piuttosto incanalano tutte le loro energie nello sputare in faccia alla realtà un disco destinato, in primis, a far muovere il culo e questo, di certo, non è poco.

 

 

Pop James – Super Power, Super quiet (Doubledoubleu)

Quartetto allucinato di invenzioni paraboliche in grado di raggiungere arcobaleni colorati e vellutati trasportando il tempo in dichiarazioni esplicite, senza usare le mezze misure e costruendo impalcature sonore impressionanti e fuori da ogni schema prestabilito per un disco che strizza l’occhio alla scena dance ed elettronica dei ’70 andati per abbracciare  i più attuali MGMT senza dimenticare l’omaggio nel nome a Bob James, per ritmi che si fondono con le coste latine in grado di far ballare, ma nel contempo ricreare una sorta di passaggio ultraterreno che fa vibrare le speranze, abbandonando le consuetudini, alla ricerca di un simulacro esistenziale che è radice stessa di un’esigenza di creare passione sincera e spiritualità, per otto pezzi che sono un trip di emozioni, da Afromoon fino al viaggio lunare di Da Space, rincorrendo i suoni e ricercando una perfezione musicale da primi della classe, scavalcando barriere e donando agli ascoltatori una bellezza nuova ad ogni ascolto, per lisergici attimi di meditazione da assaporare su di una scogliera che si affaccia direttamente sul mare. Questo è il vero disco dell’estate.

Be a Bear – Push-e-Bah (La Sete Dischi)

Siamo entrati nella tana dell’orso per vedere di che cosa è capace, siamo entrati per scoprire il suo mondo e ne siamo stati colpiti, quasi scaraventati al suolo dalla potenza di questa forza elettronica digitale che si immedesima con un essere naturale, ma che di naturale ha gran poco, se non l’idea di colpire, l’idea di quella grazia vintage che ricompone egregiamente questa musica che sa di evoluzione e procedimento alquanto certosino, una natura che in primis non si percepisce, ma ascoltandola a fondo si può sentire il rumore della neve, della pioggia che cade e dei torrenti di montagna a ricoprire gli strati di una realtà che ci circonda e si siede accanto a noi.

Filippo Zironi ci consegna un disco realizzato con un IPhone, si proprio con un telefono, un album d’avanguardia e allo stesso tempo influenzato da musicisti internazionali di pregevole fattura come Moderat, Radiohead, MGMT, per ricucire sonorità incanalate dentro alle dieci tracce, canzoni trasportate da un’avanguardia in divenire, capaci di sostanziali cambiamenti e sorprese, capaci di colpire ulteriormente anche attraverso l’uso della voce segnando un punto di rottura con il passato, forse, o più semplicemente sentendo nelle vene della quotidianità la strada da seguire, certo del fatto che riserverà numerose soddisfazioni.

GattuZan – Dolcevita! (Astio Collettivo/Phonika/JapPeru)

Ascoltare un disco di questo livello nel 2015 fa solo che gridare al miracolo, una prova osata e ricercata, un insieme di canzoni, ben 32 per un doppio, che non stanca, ma che ti fa entrare in mondo capace di comprendere il substrato che ci appartiene, il posto da cui veniamo, conforto quotidiano e miscelato a dover in una formula bizzarra, ma che acquista veridicità nei continui ascolti, un loop emotivo capace di distogliere gli sguardi verso ciò che più non ci appartiene per concentrarsi nell’essenza stessa del vivere, facendo della sperimentazione una base di appoggio per partire, scoprire, crescere e trasformarsi in qualcosa di diverso; mutevole anfratto negli abissi,  che cambia con il passare delle stagioni.

Loro sono i GattuZan e nonostante la freschezza del progetto i nostri sono stati i vincitori dell’Arezzo Wave Live Band del 2015 e band italiana all’EUROPAVOX, un concentrato di energia pura che si sprigiona in modo esponenziale sul palco, luogo di risalto e portante per una band in continuo divenire come questa.

I GattuZan mescolano in modo perfetto elettricità del rock, alla forza dell’improvvisazione sporca e ruvida del punk, senza tralasciare la componente caraibica e acustica, un accostamento agli MGMT che per coraggio non sfigurerebbe.

I sei umbri però hanno molta sostanza e molte capacità da sfruttare, portano i colori nelle tasche e riescono a capire quale gradazione dare al nuovo giorno che verrà, si concentrano sugli elementi e si lasciano trasportare dalla forza prorompente di un’onda che è simbolo di vita.

Due dischi quindi Roog Garden e Hollanguilakillah per una band che conosce la strada da seguire, senza se e senza ma, sentiremo ancora parlare di loro perché questo Dolcevita! è qualcosa che lascia il segno: sicuramente uno degli album più esplosivi dell’anno.