Moruga – Gallardo (IndieBox Music)

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Sensazionali e compositi i Moruga confezionano una prova oltre le aspettative percependo dagli influssi personali generi e commistioni in grado di combinare indipendentemente corpo, istinto e anima attraverso un suono a profusione ben ponderato. Gallardo è una creatura multiforme, uno spazio angusto che si fa lontano e che pian piano si riavvicina contrastando le energie del momento incanalando la mente in nuvole di polvere e vibrazioni senza fine. La band bergamasca costruisce un suono partendo dal funk,  contaminandolo con il metal e con il dark in un sodalizio che esplode attraverso una poesia che lascia spazio a divagazioni ben sopra le righe. In questo insieme mistico di composizioni ci sta il bisogno di comunicare un fuoco interiore che non smette di bruciare, un fuoco che alimenta con costanza la sensazione profonda e notevole che questa band ha creato un piccolo gioiellino contemporaneo. 


Devil Whitin – Not Yet (Autoproduzione)

Potenza ossessionata e fuori controllo nel primo disco della super giovane band bergamasca Devil Whitin, un album graffiante che mescola elementi del passato con quelli di un presente che vede alternarsi nelle influenze gruppi come Iron Maiden passando le sonorità più attuali dei tedeschi Rammstein in un conflitto luce oscurità che impressiona per potenza espressiva e rarità da cogliere e far proprie. Not Yet non presenta nulla di nuovo sotto il sole, ma quello che già c’è è fatto bene davvero in un’esaltazione interessante che richiama energia correlata alle situazioni di vita e rende l’approccio di questo gruppo di sicuro impatto e dal forte potenziale intrinseco pronto ad esplodere in un eventuale full length. I nostri sono dotati di carte in regola per comunicare condizioni esistenziali da poter assaporare nella maturità condivisa e questo album resta comunque un grandissimo punto di partenza.

Folkstone – Ossidiana (FolkstoneRecords/Universal)

Mutare forma, inventarsi, captare le sfaccettature dell’ossidiana, vetro vulcanico in divenire che racchiude al proprio interno le ere, il passato, il tempo che fugge, si consuma, cambia. I Folkstone ormai hanno raggiunto un livello musicale e di maturità invidiabile tanto da poter imprimere nella scatola dei ricordi bellezze sopraffine di un qualcosa che comunque resta ricerca, tentativo, ambizione per un disco, il loro nuovo che non chiude la porta al passato, ma la amplifica rendendo i racconti di vita presenti all’interno delle tredici canzoni un punto d’ancoraggio sicuro e condiviso. I testi e la voce sono in primo piano e le contaminazioni presenti si fanno sempre più tangibili e reali, canzoni come l’apertura scoppiettante di Pelle nera e rum, passando per la potenza di Scintilla o la storia di Anna, la bellissima Asia e il finale affidato alla title track sono solo alcuni episodi importanti di uno spaccato esageratamente preponderante e che non passa sottotono. I Folkstone si confermano una realtà alquanto florida nella nostra penisola, un gruppo che riesce ad incastrare le peripezie del metal con la melodia del folk in un abbraccio mutevole che sa perennemente di rinascita.

Syncage – Unlike Here (Bad Elephant Music)

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Syncage fin dal primo ascolto significa complessità, forse abusata, ricercata, ma sicuramente voluta in un vortice di sensazioni che si inerpicano attraverso le montagne della nostra anima e affondano i vissuti in un sostanziale bisogno di entrare in comunione con forze apparentemente lontane da noi. Syncage è la la natura sprigionata e attraverso Unlike here si può comprendere la potenza espressiva e del tutto controllata di un alternative rock mescolato al metal, al prog, al jazz in una fluttuante sensazione di connubio tra passato e presente dove le forze in campo si scontrano e incontrano in pezzi cosmici e stellari come l’apertura affidata a School, passando per Skyline Shift e poi via via intessendo trame ardite in pezzi come Redirect e la stessa title track che chiude il disco. Unlike here è un disco assai lungo, più di un’ora e dieci di musica per un totale di dieci canzoni, minutaggio necessario per far comprendere una complessità di certo non banale, ma piuttosto radicata su un territorio grande quanto il mondo che ci circonda. L’evoluzione dei Syncage parte da ciò che erano i Rising Horizons, un’evoluzione necessaria che in questo disco trova un punto di incontro, un punto di contatto tra i grandi del passato e una modernità sempre più sospinta che avanza, pur mantenendo di fondo un’importante dose di originalità necessaria nel garantire simili risultati.

A total wall – Delivery (Autoproduzione)

Potenza di fuoco che si staglia negli anfratti abissali che contengono, corrodono ed esplodono consegnando una prova caustica come la soda, corrosiva e lampante che rende ancora più vicina la discesa verso gli abissi, verso un mondo lacerato e squarciato, in costante ricerca di una luce da seguire. Sono tornati gli A total wall, sono tornati concentrando un suono pesante metal al djent dei precursori Periphery implodendo risultati in un muro di suono totale che stupisce per brutalità raccolta e concetti mai lasciati al caso, ma piuttosto entrando di prepotenza all’interno di melodie darkeggianti e cupe a ristabilire emozioni e respiro internazionale per una prova carica di aspettative e risultati. Necessità quindi di sviluppare un modo di pensare dall’iniziale Reproaching Methodologies fino a Pure brand passando per pezzoni come Evolve, Maintenance o la stessa title track in un condensato rosso scarlatto in rovina che ritrova il gusto per l’ampiezza di campo e la concentrazione sperimentale che gli ha visti nascere, proseguendo la via del ritrovare quel qualcosa perso lungo la strada e ora stretto tra le mani.

Clorosuvega – Clorosuvega (New Model Label)

Evoluzione del metal in ferrose cospirazioni abbondanti suono dove la forza concentrica di questa metamorfosi dona al progetto spazi vitali per addentrare il proprio essere in una miriade costante di contrapposizioni buio luce dove la potenza lascia anche un po’ di posto alla ricerca e dove le ombre del passato sono abbandonate per una prova matura e composita ricchi di rimandi ad un alternative esuberante, ma nel contempo soppesato, dove la batteria dominante è contesto essenziale per l’arrivo di chitarre laceranti e corpose ad incupire suoni di voce e basso che per l’occasione colpiscono al segno in pezzi che sono l’esemplificazione vitale di una morte in vista dove il Rifiuto e Frattura sono le genesi per l’apocalisse ad occhi e orecchie aperte e dove le sonorità collimano con i costrutti di geometrie iperboliche che trasformano il passaggio dall’adolescenza all’età adulta in un qualcosa di tangibile e pronto a raccogliere i frutti sperati.

Bioscrape – Psychologram (OverDubRecordings)

L’idea di collegare il nostro mondo, la nostra comunicabilità con esseri che vivono in un’altra terra, in un altro pianeta è un’idea alquanto innovativa, una capacità, che si fa volere prima di tutto, di dare un senso alla comunicazione, alla nuova comunicazione, oltre le barriere conosciute e intersecando lo spazio psicologico e dell’intelletto con il desiderio di gridare al mondo e non solo, la propria presenza.

Loro sono i Bioscrape e grazie ad un suono violento e diretto tendono all’infinito, alla ricerca di una coscienza nuova e impenetrabile, capace di mettere in contatto mondi lontani e allineare sonorità del passato con l’elettronica del domani, un concentrato che si fa spartiacque nell’incedere che è sostanza di fondo, che è materiale fondamentale per comprendere questo quartetto che non si fa ingannare dagli orpelli del già sentito, ma ricrea esso stesso un genere che sa di invenzione sonora non sempre immediata, ma di sicuro effetto.

Dieci tracce divise in quattro capitoli, una manciata di canzoni pronte a farci partire verso mondi lontanissimi e concentrici, verso ciò che non conosciamo, verso il lato oscuro della nostra stessa Terra.

GC Project – Face the odds (SlipTrickRecords)

Generi che si amalgamano e si fondono dando vita ad un’opera che ha il sapore della letteratura moderna, varia e intricata, ma sempre leggibile da più punti di vista e costantemente ricercata, di quella ricerca che non è un semplice mettere in mostra le proprie capacità o attitudini, ma è un vero e proprio smarcarsi dai preconcetti e dal già sentito per unire le corde dell’animo e dare vita a qualcosa di nuovo ed esaltante.

Giacomo Calabria nel suo progetto ci regala tutto questo, ci regala l’ambizione del tempo passato e la voglia di mettersi in gioco tra un hard rock sincero, passando per un prog a riscoprire le bellezze italiane degli anni ’70 fino ad arrivare ad una fusion in costante equilibrio con un blues sporcato di heavy metal.

Profondamente legati, tutti questi stili si concentrano nel rievocare i fantasmi di un tempo, nel passaggio chiaro scurale di una notte che è buia e misteriosa, da Hold on a Never again ci sono deserti di solitudini a ricreare una costante ricerca con il nostro io, tra tecnicismi assoluti e tanta, vera sostanza.

 

Colonnelli – Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (Resisto)

Grida di dolore laceranti materia grezza che scompongono lame ferrose e non lasciano traccia nemmeno questa volta, substrati di memoria che se ne vanno, componendo pezzi di abile fattura e intersecate dal mondo disilluso e vorace, capacità intrinseca di stabilire i confini nella medesima posizione e lasciar al tempo un domani migliore, pronto a stupirci ancora.

11 tracce di puro trash metal urlato, ma cantato in italiano, un gusto oscuro per una deliziosa pietanza che reprime gli istinti e lascia aperta la voragine della vita che risucchia l’anima e le nostre più recondite speranze.

Da Grosseto questi ragazzi spaccano di brutto, ne fanno sentire delle belle, sottolineando una prova dal sapore anni ’80, di forte impatto emotivo, emozionale, dove a raccontarsi sono queste canzoni fatte di morte, riscatto e vendetta.

Un trio spaziale che regala l’ultimo bacio prima di andarsene, regala quel copioso insieme di lacrime miste pioggia e fango, che non vogliamo nascondere, tra le grida di dolore e il buio che presto arriverà, ancora una volta, forse ora più che mai.