VonDatty – Madrigali (Autoproduzione)

Un cantautore di un altro tempo, di un altro spazio, che si concede una capacità, un intuito sopraffino per gli arrangiamenti e le prove in grande, per creare un disco complesso stilisticamente, ma essenziale nella propria essenzialità.

Stiamo parlando del disco di VonDatty, eccentrico cantastorie in rock che si accomoda tranquillamente in una poltrona di velluto rosso, con tanto di cappello a cilindro e baffo alla Dalì, per raccontare storie di vita vissuta, attimi raccolti in mani che sono pronte a rendere vero ciò che non è reale.

Ascoltando VonDatty sembra quasi di stare in un sogno, pensiamo di aver compreso tutto della struttura di una canzone, ma ci stupiamo, ci stupiamo per l’uso degli arrangiamenti sempre innovativi e che conferiscono al tutto un eco di un passato lontano.

Onirico quanto basta il nostro chiede attenzione all’ascolto, quasi fossimo noi gli spettatori all’interno di una rappresentazione che è la vita, fatta di amori, morte e illusioni.

Dieci tracce, tra cui le collaborazioni con Giorgio Baldi e Tommaso Di Giulio, che parlano sostanzialmente di Noi, bellissima l’apripista Il fantasma della porta accanto, per concedersi poi in quasi tutto il resto del disco sprazzi di indie sostenuto; chiusura affidata all’introspettiva Dal tramonto all’alba.

Meraviglia sonora che incanta, questa di VonDatty, un concentrato di cantautorato e rock che stupisce e si discosta da quello che siamo abituati ad ascoltare, un osare senza strafare, un raggiungere il bersaglio con stile e poesia.

Leo Folgori – Vieni Via (Betaproduzioni)

Album d’esordio per Leo Folgori, che riesce a mescolare in modo magistrale e con una certa raffinatezza sonorità legate a territori deserti, indiscutibilmente eterni e privi di
confine.
Un tuffo nella concretezza dove le parole sono usate quasi fossero un distillato
di acquavite da custodire per i momenti mgliori, quel connubio perfetto che interseca
il Morricone d’annata con il cantautorato di Bubola e Dino Fumaretto: a ricreare una stanza  nascosta dove un pianoforte e la chitarra sono portanti per una serata che non vuole finire, il tutto accompagnato da una leggera batteria che si fa strada tra assoli di violini e fisarmoniche in dissolvenza.
Un cantautorato in vibrante solitudine che ci accompagna lungo le 12 tracce, una canzone
di protesta che si avvale di un racconto esaustivo di storie che sempre non hanno
un lieto fine, ma si caratterizzano per essere costanti ricerche di un mondo diverso
dove stare, dove vivere.
Il ballo del serpente sintetizza le atmosfere lasciando il rilassamento post singolo
nelle tracce seguenti fino a raggiungere sprazzi di nuova animosità in Oltre la strada
e toccando apici di cura stilistica in canzoni come Vita.
Un disco pieno di racconti da narrare dove l’approccio diretto al folk si mescola molto
bene alle radici di un vissuto in cerca sempre di una propria strada da seguire.
Un grande inizio, per questo solitario cantautore, che raccoglie i cocci e li reinventa
dando un senso alla composizione, un nuovo oggetto che si trasforma in emblema.