Olden – Ci hanno fregato tutto (BProduzioni)

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Olden è tornato è parla della realtà che ci circonda, lo fa con termini diretti e immediati capaci di penetrare la carne e sconfinando tra i generi con una facilità disarmante, tra un cantautorato di inizio millennio e uno sporco garage rock spruzzato da un grunge dei primi ’90 in modo da implementare le sfumature presenti e dando alla luce un disco che parla di noi, di tutto quello che ci circonda e di tutte le imposizioni opprimenti di una società che alla fin fine ci vuole carne da macello per i propri scopi consumistici. Olden però ci insegna ad alzarci, a guardare lontano, ricercando aspirazioni per la creazione di una propria soggettività che farà scuola, oltre le mode del momento, oltre il pensiero diffuso e comune, tra l’abbandonato e tutto ciò che possiamo trovare all’interno di noi stessi; il nostro confeziona un disco che si fa riascoltare e va apprezzato non solo per forma, ma anche e soprattutto per contenuti, implementando una formula già sentita con il precedente, dando spazio e sfogo ad una fantasia che proprio nella realtà raccontata trova linfa vitale per nuovi apporti di sincerità e lotta vissuta.

Nicola Caboto – Hey Caboto (Autoproduzione)

Nicola Caboto è cantautore da peripezie squinternate in grado, con la sua anima blues, di entrarti nelle vene al suono di un rock ‘n’ roll impresso nel tempo, ma proiettato ai giorni nostri in sodalizi che vanno a braccetto con una scrittura che si fa carico di una vita quotidiana capace di parlare con parole semplici e testi cangianti di una realtà quasi ai margini dove i continui traslochi sono fonte di ispirazione per canzoni che saltano di pari passo, in modo quasi strampalato, da un pianerottolo ad un altro alla ricerca di un proprio posto nel mondo dove poter abitare. Nicola Caboto al disco d’esordio strappa un sorriso in faccia a chi lo ascolta e riesce nell’intento di creare quel senso di intimità profonda che abbiamo con le piccole cose di ogni giorno, quello che un po’ riusciva a fare il Dente degli inizi, ovviamente in chiave più soft, per un disco, questo, che attraversa la nostra realtà e proprio dentro a quella realtà si sedimenta cercando radici comuni in intenti preziosi da saper cogliere e assaporare. Tra chitarre e tastiere il nostro ne esce vincitore, in cerca di un posto dove vivere si, ma pur sempre vincitore.

Sixtynine – Denti (XXXV)

Canzoni che parlano della nostra quotidianità cantate in italiano e ricche di pathos emozionale capace di sconfinare oltre la canzonetta pop sanremese e accentrando testi puntuali al racconto dei giorni che avanzano intrecciando sapientemente usi e stili diversi per otto canzoni che non mirano ad essere entità a se stante, ma piuttosto sono brani in grado di ricercare una loro strada da seguire per completarsi e raggiungere obiettivi di comunione d’intenti che convincono sin dalle prime battute grazie a quella Mi sveglio che fa da apripista acustica a forme corali di passione che riesce a raggiungere l’energia sperata in pezzi simbolo come Seropram, passando per Ruggine dove è presente la collaborazione con i The Winstons: Dell’Era al basso e alla voce e Enrico Gabrielli ai synth fino a quella Dentro che racchiude speranze e dona profondità al significato totale di un disco capace di affrontare canzoni che non si sciolgono facilmente al sole, pezzi di noi che portano con sé la solitudine in divenire e il desiderio di cambiare oltre ogni cosa.

Diane Peters/Andrea Ponzoni – cafeAmaro (Autoproduzione)

L’ideale di fondo nel creare costante scambio e intreccio di informazioni per una musica alta e raffinata, strumentale e disincantata capace di proiettarsi nei nostri giorni e nel contempo rituale perpetuato con contrappunti jazz che inglobano stratificazioni elettroniche al suono dell’avanguardia disinvolta e accolta attraversando le esigenze di un’arpa nell’uscire allo scoperto per pro creare musica di altissima qualità, un suono originale da lounge bar notturno dove gli intrecci di amori perduti si raffrontano con il presente e si abbandonano inspirando la solitudine come fosse un quadro di Hopper e un’apertura necessaria a pezzi che creano strutture leggere attraverso l’utilizzo di strumenti in divenire come la viola, il violino, il flauto, la tromba per un suono sperimentale che riesce a cullare nelle ore più buie della notte.

MusicaManovella – Chiedi all’orizzonte (iCompany)

Ballare riflettendo o riflettere ballando, questo è il motto dei MusicaManovella che con la loro nuova prova continuano il percorso di esternazione quasi magica e dal grande senso di appeal che consente all’ascoltatore di entrare in un mondo fatto di impalcature stabili e valori universali capaci di scardinare ogni qualsivoglia forma di inutilità quotidiana per arricchire la nostra testa di costrutti sedimentati da tempo e che hanno solo il quieto bisogno di uscire allo scoperto per farci assaporare ancora l’aria di novità, l’aria sbarazzina che caratterizza questo tipo di produzioni, inglobando diversi stili, ma consentendo al pop di fare la propria entrata di scena per liriche che difficilmente passano inosservate e danno la possibilità di far parte di qualcosa di grande e universalmente condiviso.

Sono dieci pezzi, per un un album che alterna momenti frenetici ad altri più quieti, inseguendo l’onda del movimento, inseguendo quella parte di noi che vuole gridare al mondo la propria diversità e nel contempo il proprio senso di appartenenza, portando a conoscenza racconti di vita che altrimenti rimarrebbero rinchiusi nel cassetto della memoria e che invece per l’occasione si fanno pagine reali di questo esistere.

Miss Stereochemistry – Harlequin Ep (Spleen-Prod/rock & pop factory)

Continua la via della sperimentazione per Karla Hajman, in arte Miss Stereochemistry, una via sperimentale di profusione acustica, che abbandona, per certi versi, la strada dell’elettronica leggera per entrare in punta di piedi verso lidi più intimi e appartati, per un EP che è continuazione di un percorso iniziato nel passato, un EP che nasconde tracce remix e collaborazioni che si accavallano e lasciano comprendere la potenza espressiva di questa cantautrice dalla forte personalità e dalle ottime potenzialità, per un disco multietnico e multiculturale che incrocia Barcellona, Istanbul, Belgrado e Berlino, un suono cosmopolita di periferia che invita a lasciare in disparte pregiudizi di ogni sorta per un pensiero comune che deve andare oltre le barriere precostituite e deve farsi carico di un’esigenza essenziale che è racchiusa prepotentemente nella vita stessa, oltre i confini della vita e della morte, per una tavolozza di colori a ridisegnare quell’arlecchino goliardico segno dei tempi che stanno cambiando.

Tra le quattro tracce originali proposte, c’è una bellissima reinterpretazione di Smells like teen spirit dei Nirvana, un omaggio all’odore pregno di gioventù, un profumo quasi mistico che si abbandona in altri cinque remix che sondano le strade anche del trip hop per un eterogeneità mai conclamata, ma piuttosto ben studiata ed esposta.

Un disco che è pura anima di una cantautrice in divenire che sa sorprendere con delicatezza ad ogni uscita, un album che osa nel profondo alla ricerca di una narrazione spontanea e nel contempo vicina a tutto ciò che possiamo chiamare vita.

Statale 35 – Azrael (Estasi Records)

Cupezza d’animo interiore e oscurità ottenebrante per il nuovo lavoro, dopo l’EP sulla breve distanza ES, degli Statale 35; già passati sulle pagine virtuali di Indiepercui, i nostri riconfermano la capacità di esprimere, grazie ad una poesia sofferta, attimi di vita vissuta che esplodono in rabbia, in un’arcana ricerca nei confronti delle angosce sempre presenti che caratterizzano una vita apatica e talvolta, ma solo raramente pervasa da attimi di soddisfazione e gioia, che non punta però, ad un qualcosa che si mantiene nel tempo, ma piuttosto questo nostro essere entra in collisione con la dura realtà, mostrando la vera sostanza di cui noi siamo fatti.

Ecco allora la trasformazione in lupo, noi essere infinitamente piccoli, ci troviamo quotidianamente a combattere contro i dolori della vita, pensando in qualche modo di poterci salvare, ma ciò che ci resta nella trasformazione è soltanto un ricordo amalgamato e compresso, un ricordo debole e flebile, che passa si per l’essenza delle cose, ma che si scorda inesorabilmente di ciò che siamo fatti; tra rimpianti e nuove aspettative, gli Statale 35 ci portano a scoprire la finitezza dell’essere e del suo mondo imploso.

Nashville and Backbones – Cross the River (Autoproduzione)

Un suono che arriva da terre lontane e si innesta tra svariati generi e dimensioni in una sperimentazione che va oltre il country come si potrebbe pensare dalla copertina e dal nome della band, un suono che spazia egregiamente dal folk al blues, fino al rock accennato e alle spruzzate reggae che intercorrono a ricreare una sintonia di immagini evocative che rendono il pensiero dei Nashville and Backbones, un pensiero più tangibile, ma allo stesso tempo onirico, tra territori inesplorati del Nord America fino alle latitudini meridionali della nostra terra, per una musica che non chiede di essere al centro di un pensiero soggettivo, ma piuttosto entra a pieno diritto in un progetto lontano dall’individualismo, in nome di una partecipazione attiva senza confini.

E proprio di confini che non esistono si parla in questi 14 pezzi, si parla di libertà da raggiungere ed esigenza nel ricreare una comunione, un legame con la nostra terra e con le nostre aspirazioni, un legame che ci concretizza prendendo spunto dai grandi della musica come gli America, gli Eagles, i Counting Crows fino raggiungere il folk d’oltreoceano dei nostri giorni.

Un disco per ballare e per riflettere, canzoni che permettono di fare un giro rapido del mondo, comodamente seduti sul divano di casa, in cerca della libertà sperata che attende oltre la nostra visione di civiltà.

Dario Margeli – Mente (Autoproduzione)

Viaggio verso mondi lontanissimi che sono specchio della nostra anima in una continua ricerca sostanziosa e sostanziale di paesaggi mistici ed elaborati che attraverso parole che parlano direttamente al nostro cuore, si concentrano sulle profondità che ancora devono essere svelate, per guardare con occhi nuovi un mondo che ci circonda, per guardare con un senso diverso l’attimo fuggevole che potremmo in qualche modo cogliere e fare nostro.

Dario Margeli è un poeta atipico, che incontra le geometrie di Battiato e Sgalambro mettendo in energia rock contesa e vissuta un’elettronica sotterranea, ma ben studiata, che evidenzia un timbro vocale alquanto strano, ma originale e che denota un’inflessione americana, dovuta ai trascorsi negli States caratterizzata dall’incedere energico dei brani che filosofeggiano sul nostro vivere quotidiano, tra buddismo e domande sul vivere quotidiano, intersecate da un funk e un blues che si rincorrono tra i pezzi proposti.

Un album che dedica la sua parte finale ad un remix  dei primi pezzi presenti, ad aggiungere qualità e spessore alla proposta già di per sé originale, per un incontro con la nostra parte più nascosta che ha il sapore delle buone cose, quelle che rimangono, da assaporare nei nostri viaggi cosmici, giorno dopo giorno.

Lenula – Niente di più semplice (Beta Produzioni)

I Lenula ci vanno giù pesante con uno sporco blues tinteggiato dal rock che proviene direttamente dai bassifondi sporchi dell’anima, dove il nero come colore predominate, lascia accenni di un cuore bianco in sospensione cosmica, quel battere della gran cassa sincopato che ammalia e costringe l’ascoltatore a lasciarsi trasportare sulla via opposta a quella di casa, là lungo il fiume, dove tutto ha inizio, in una dimora di legno abbandonata allo scorrere dei giorni.

Nuovo disco quindi per la band di Brindisi, che dopo l’esordio Profumi d’epoca, si concentra confezionando una prova che richiama ancora il passato ma in modo perentorio, in modo diverso, lo fa attraverso undici pezzi che sono la summa del proprio pensiero, canzoni sporcate da un’attitudine dal tiro deciso, ma allo stesso tempo romantico, undici brani che si ascoltano nel susseguirsi dei pensieri che inondando la testa, ricevendo il giusto quantitativo di sangue per poter sperare ancora.

Irrequieti e allo stesso tempo disincantati, sognanti e carichi di desideri reconditi, i nostri fanno scivolare pezzi – manifesto del loro intendere la musica da Senza stanze per nascondersi fino a quella magnifica Sogni di sempre, che non è altro che volontà sperata nell’essere diversi, partendo da noi, partendo dal principio e cioè dalla nostra anima dannata.