Desuite – Desuite Ep (Autoproduzione)

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Impianti sonori attrezzati e permissivi che non vengono incasellati in forme lineari, ma piuttosto si concentrano nel raccogliere vari pezzi di mondo sonoro aggrappandosi alla sfida di un rock elettrico ricercato e ambizioso, scavando nelle profondità dark e new wave degli anni ’80 per un duo, quello formato da Marco Grazzi voce dei Sinezamia e Claudio Mori batterista dei sopra citati fino al 2010, capace di consegnarci una prova composta da soli quattro brani abrasivi dove la presenza di Nunzio Bisogno alle tastiere, già con Il nero e Lef incrementa un valore aggiunto preponderante e di sicuro effetto, da Iceberg fino all’Ultimo respiro passando per Natura morta e Specchio i nostri dipingono a tinte forti un panorama amalgamato e stratificato dove il bisogno di gridare al mondo la propria presenza è tassello fondamentale per la riuscita di questo primo biglietto da visita da consegnare ai giorni che verranno.

Plastic Light Factory – Hype (Autoproduzione)

Rock and roll sbarazzino che si scontra con la quotidianità senza chiedersi troppo, per un suono che fa muovere il culo e sorprende degnamente intrecciando riff chitarristici e astute trovate per generare un’apertura graffiante e tagliente, tra i glitter sprigionati e la fantasia ribelle che incontra Miss Chain & the Broken Heels e l’uso delle tastiere; complice di tutto questo anche un basso ben sincopato, dal ritmo deciso e serrato, scuotimenti da pista quindi per i Plastic Light Factory, band mantovana rumorosamente attiva tra il rock psicotico e lo shoegaze, per brani messi in evidenza da un collettivo che vuole occupare l’idea di arte a trecentosessanta gradi, una crisalide che prima o poi esploderà e in parte così tanta bellezza la possiamo percepire in queste cinque canzoni nate di getto, tra la bellissima iniziale Colour of the morning trasportatrice di viaggi lisergici fino a Jakiteko, espressione massima di un coinvolgimento senza limiti, ancora una volta in grado di dimostrare che la musica si staglia ben oltre le apparenze e regala, come in questo caso, una soddisfazione personale di stampo sessantottino.

Marco Biasetti – Quadri d’autore (MB01)

Pennellate di una musica passata che incontra i grandi mostri sacri del tempo che fu in rivisitazioni silenziose, a tratti impercettibili, di una costante atmosfera vibrante che regala emozioni circoscritte nella scelta di pezzi storici in chiave jazz, rimodellati, pensati e arrangiati dal cantautore mantovano Marco Biasetti coadiuvato, per l’occasione nel disco, da Marco Vavassori al contrabbasso, Paolo Garbin al pianoforte, Enrico Smiderle alla batteria e ad Enrico Bentivoglio al sax.

Un album che si compone di otto cover e due brani inediti che si amalgamano, direi in maniera egregia con il tutto, brani che acquistano un significato preponderante nel cammino artistico del nostro, la prima Quadri e nel finale Ma poi non tornava più, si fondono con Era di Battisti/Mogol, Stelle di stelle di Baglioni, La Nave di Mia Martini e l’immensa Te lo leggo negli occhi di Endrigo lasciando spazio a Rita Pavone e a Neffa per una tavolozza di colori che ricopre cangianti stati emotivi sempre pronti a stupire, sempre pronti a ricreare la giusta atmosfera cromatica proiettata nel moderno e arricchita da contrappunti sonori da primo della classe, esercitando il fascino del tempo attraverso le sue innumerevoli sfumature.

Vincenzo Fasano – Fantastico (Eclectic Circus)

Entrata dirompente che si inerpica pian piano fino alle urla malinconiche che lacerano il cuore e colpiscono per originalità della voce e commistione con il cantautorato anni 0 targato Brunori, Nicolò Carnesi e Vasco Brondi tra un panorama italiano offuscato e ancora grandi stelle da illuminare nel cielo.

Andare al mare, sta arrivando la siccità, il diluvio universale al contrario, ci credono corpi senza ali tutto questo è il mondo, l’universo di Vincenzo che racconta la tragicità della vita vissuta, tra monolocali rinsecchiti e le speranze annientate da una televisione che sempre più sovrana domina le menti fumose del nuovo popolo italiano.

E allora bisogna lottare con impeto e gridando i propri pensieri al vento che trasporta e accarezza e solo attraverso il lento scorrere si instaura nell’animo di chi sa ascoltare di chi sa concepire un’idea diversa di universo lontana da tutto questo, lontana dai corpi feriti, dalle guerre del cuore, dalle solitudini e dalle introspezioni: una ricerca personale della felicità che va assaporata attimo dopo attimo.

La battaglia per conquistare il fantastico è appena cominciata e porta con se i ritagli delle ribellioni i ritagli del tempo perduto che deve essere ricomposto per creare meraviglia, quella meraviglia che si può ascoltare lungo i dieci brani che compongono questo concept sulla vita e sull’importanza di lottare per credere ancora a qualcosa, credere nel futuro per combattere gli errori, errori che si trasformano in orrori, quell’incedere della vita che ci analizza e non lascia scampo.

Ecco allora che il tutto vira a suoni più intimi e sensuali pensando a Barcellona e al finale Verso l’infinito e oltre dove un cantautore si interroga su ciò che verrà, su ciò che può accadere se non abbiamo il coraggio di alzare lo sguardo per lottare ancora una volta, senza mezze misure e con negli occhi una nuova speranza.

Sinezamia – Decadanza (Autoproduzione)

Il loro nome racchiude un concetto, l’essere senza anima in un mondo in decadenza e allora come fare a ritrovarla, dove cercare? Cosa pretendere da chi ogni giorno ci illude, da chi ci vive attorno?

La band mantovana in questa nuova prova non risparmia nessuno e evidenzia particolarmente in questo disco, lo stato di abbandono in cui imperversa un’Italia da cui è difficile sfuggire se non con il pensiero che vola lontano.

Il loro è un rock ben calibrato, una voce che si libra nell’aria regalando numerose sfumature di genere e si lascia alla ricerca dello sperato in una continua forma di lieve universo che implode ed esplode dentro di noi.

Un rock classico, dal sapore primordiale, reso ancora più oscuro dal concetto che i nostri vogliono a gran voce proclamare, dopo dieci anni di carriera vissuti con intensità e splendore.

Un live quindi che raccoglie ciò che di meglio la band riesce a donare più una finale Warsaw che Ian Curtis sarebbe felice di ascoltare, tra new wave oscuramente ammaliante e chitarre in distorsori looppati che scardinano ogni convinzione che possa essere tale.

Un ripercorrere quindi la carriera di questa band, in una formula sicuramente di forte impatto, per capire, in modo diretto, la forte connotazione che questi ragazzi possono avere e donare.

Ale Mask – Buongiorno (VREC)

Il Buongiorno si vede dal mattino…e la risposta non arriva, ma sarà comunque un buongiorno.

Non è una para mattutina, ma il nuovo, primo disco di Alessandro Bernini, in arte Ale Mask, che mescola capacità espressiva, ironico savoir faire e tanta, tanta esperienza accumulata nel corso degli anni con i precedenti progetti Salambò e Arycara.

Ascoltare Alessandro è come immergersi in una vita in cui noi poveri illusi tentiamo di arrancare o di essere qualcuno senza fare i conti con i contraccolpi e le occasioni mancate, i fattori esterni e le pubblicità che ci costringono ad essere, relegati ad un cappotto con la firma e privi di spessore caratteriale.

Buongiorno è un disco che ci introduce in una realtà scoperta, quella di tutti i giorni, che non ha bisogno di presentazioni, ma che si fa sfondo per la narrazione di vicende confezionate da un cantautorato estivo sulla soglia della maturità, in continuo mutamento, che grazie a testi, a tratti disillusi, ci regala attimi di ilarità racchiusi da un sorriso a denti stretti, in un vortice da cui non poter uscire.

Pensare a pezzi come l’affanno di una corsa, indifferente o il cantautore ci fanno presto capire il pensiero di questo menestrello, davanti all’enormità della vita, una montagna da scalare per raggiungere il cielo.

Ecco allora che il cerchio si chiude, arriva sera anche quest’oggi e noi da questo domani che deve arrivare, che cosa impareremo?

Quarter Past One – The Ballad of Reading Gaol (Autoproduzione)

Ballata dal carcere di Reading parafrasando Oscar Wilde e componendo un concept ispirato allo scrittore tanto caro alla band e alle generazioni che fanno dell’estetismo romantico una complessa via per resistere agli urti della società.

Un disco di indie pop che mancava, qui da noi, accomunato da melodie semplici quanto geniali e capacità esperessiva e buon gusto che di certo ai Quarter Past One non può mancare.

Bellissimi gli intrecci di chitarra che suonano suadenti richiamando un brit pop d’annata che compie un’evoluzione intorno al globo cercando quell’attimo divino e perfetto che ci porta a scoprire nuove prospettive, che ci porta fuori dalle sbarre, spiccando un volo da pettirosso, dimenticando per un attimo lo stato angoscioso e le pareti oscure della prigione in cui viviamo.

Un album composto e composito, immagini che non si dimenticano tanto facilmente, un vissuto che crogiola resistenza verso l’ingiustizia e l’ignoranza.

Le canzoni parlano da sole e spicca su tutte il singolo Oh Moaning Wind portavoce di quella ricercatezza che non ha mai fine.

Una manciata di carte, fogli bianchi su cui scrivere, lettere indirizzate a tutti noi che non siamo niente senza un domani.