Omosumo – Omosumo (Malintenti/Edel)

Progetto in bilico sulla voragine della vita tra atmosfere sognanti pop e desiderio elettronico di fondere il cantautorato con la necessità moderna di cambiamento, ad imbastire attimi lucidi di verità da cogliere negli occhi, da cogliere nell’istante, abbandonando il limite stabilito e cercando una naturalità di fondo che comprime aggraziata, si sposa ad arte e si veste di nuovi colori, magnifico esemplare di creatura da mantenere e preservare che trova una prosecuzione naturale con questo disco immaginifico e assurdamente bello che colpisce per acquarelli non troppo interiorizzati in attimi di luce brillante, perché Madre blu è solo il preludio per farci innamorare, poi arrivano le parole da In cielo come gli angeli e giù giù fino all’alchimia profonda tra i legami della natura con quella Sulle rive dell’Est che si fa trasporto e traghettatrice per esperimenti tra il vento del cambiamento e il bisogno di accarezzare l’intangibile e toccare lo sperato in un disco che porta con sé la bellezza delle cose migliori incrociando un’amalgama musicale difficile da incasellare, un po’ come ascoltare i La Crus intersecati a Mango che suona ad un concerto di Caribou per una musica che di certo non si ferma alle apparenze e che ha trovato nel trio delle meraviglie: Sicurella, Cammarata e Di Martino attimi di bellezza sudata e suonata, vissuta e contemplata.

Nicolò Carnesi – Bellissima noia (Malintenti Dischi)

Con Nicolò Carnesi si fa sempre volentieri un tuffo nel passato, un passato in cui la canzone d’autore viene supportata da un’originalità musicale di fondo e dove tutto, dagli arrangiamenti alle linee vocali, non risulta scontato, ma anzi consolida la qualità della proposta rendendo unica la registrazione nella sua interezza, confluendo nella personalità dell’artista e rendendo proprio quel disco, un punto fermo da cui partire, un punto da ricordare.

Bellissima noia è proprio questo, un disco maturo, completo, che non spicca per pezzi decisivi e incisivi, ma piuttosto crea continuità in un flusso magnetico introspettivo che incrementa le onde del tempo e si lascia trasportare nella fluidità dei testi accompagnati da arrangiamenti musicali in un pop psichedelico che trova naturale prosecuzione con i suoni più elettronici di Ho una galassia nell’armadio e fonde, confonde, grazie alla marcata propensione di Nicolò a dare un senso alle parole, in poesie dal gusto onirico che trovano ampi spazi di elaborazione mentale e di certo non danno nulla per scontato, anzi, si solidificano proprio nell’interpretazione stessa, nell’arrangiamento di nove canzoni che parlano di noi, noi alle prese, quotidianamente, con un mondo asettico, un mondo da cui trovare una via di fuga e inevitabilmente quel profumo di speranza a cui aspiriamo ci accompagna nel costruire un qualcosa di buono all’interno di scatole e mondi artificiali, quel costruire che, a pensarci bene, per acquisire un significato profondo, ha bisogno della parola condivisione.

Nove canzoni che trovano come apripista la riuscitissima title track per passare alle bellissime Fotografia, Il lato migliore e Cambiamento fino a sorprenderci con la suite sonora, da un mondo lontano, M.I.A., per un disco, il terzo del cantautore siciliano, che riesce ad imbrigliare attimi di luce solitaria da poter scaraventare in un mondo che ingloba e che annulla, guardando la realtà con occhi nuovi in un continuo divenire.

Persian Pelican – Sleeping beauty (Trovarobato/Malintenti Dischi/Bomba Dischi)

La bellezza sta dormendo, ma non in questo caso, racchiusa da capogiri esistenziali dove il vortice emozionale è importante quanto la valorizzazione del sogno e del suo farne parte, in una realtà che è possibilità tangibile di ricreare l’onirico nel quotidiano, dando forma e speranza alle situazioni del domani.

Persian Pelican, all’anagrafe Andrea Pulcini, è tornato, confezionando un terzo disco di purezza cristallina che abbandona le esigenze più introspettive e malinconiche del precedente How to prevent a cold per dare un senso maggiore alla bellezza che si cela nell’elettricità e nelle melodia, divincolata dal suono acustico che lo caratterizzava, per compiere un salto ancora più luminoso nel mare delle produzioni nostrane.

Il carattere e lo stile che lo contraddistingueva, legato al desiderio di sperimentare, non manca e in qualche modo il nostro regala vita ad un concept reale sull’irrealtà e il linguaggio dei sogni, non mascherando le illusioni del vivere, ma riuscendo ad attingere direttamente dai vissuti un senso maggiore che completa il tutto.

Sono tredici pezzi di una bellezza disarmante, difficile sceglierne uno, gli episodi appartengono ad un tutto inscindibile e importante; esempio ne è l’apporto del cantautore statunitense Tom Brosseau che grazie alla sua voce rende l’idea di Orphan ancora più reale, in un disco che sa di maree e di sogni lucidi, ad occhi aperti, senza la paura di scoprire, qualcosa di più, dentro noi.