Violacida – La migliore età (Maciste Dischi)

Indie pop che abbraccia i canali d’oltremanica per ritmi serrati e ben congegnati che assaporano il tempo perduto e ci rendono partecipi di una costante ricerca, affinata per l’occasione da Manuele Fusaroli, in grado di trasformare il già sentito in qualcosa di personale, qualcosa che possa squarciare l’atmosfera come la bellissima intro affidata a Canzone della sera che apre la strada ad un disco fatto sempre più da sali scendi emozionali, capaci di penetrare la quotidianità in maniera del tutto naturale, attraverso un lirismo mai banale e testi concentrati a ricomporre le speranze per un futuro migliore.

Canzoni come Temporale e via via procedendo con Contraccettivo e Sentiero ci fanno comprendere l’importanza della proposta che viaggia attraverso il tempo e viaggia attraverso lo spazio, Varanasi su tutte è quella che ricopre la maggior distanza alla ricerca di un costrutto necessario per poter vivere ancora grazie ad un disco impattante, grazie ad una prova che sa di rimpianti, che profuma della migliore gioventù, ma che nel contempo è pronta a trasformarsi e maturare, lasciando dietro alle spalle il bozzolo della propria memoria in invettive pindariche dal forte sapore di vita vissuta,  una vita in cui credere ancora, che non smette di dire: siamo finiti, perché tutto scorre, persino Il fiume e noi con lui.

Pollio – Humus (Maciste Dischi)

Io?Drama lasciati alle spalle e il desiderio di rinascere proprio da una terra d’origine che non lascia scampo, ma fruttuosa si contende una nuova vita per contemplare un cantautorato che copre dichiaratamente e musicalmente i vuoti che troviamo nell’era moderna e si innesca a miccia pop proprio quando i territori battuti verso queste aspirazioni si livellano ad un’uniformità di base che nel primo disco solista di Pollio trovano motivo di apertura in stato di grazia, cesellando a dovere le introspezioni passate e consegnando un disco che richiama l’attenzione attraverso un sound brillante che si snocciola e convince sin dall’apertura di Oggi è domenica personalizzando nove brani in un concentrato di follia espressiva ben dosata e insaporita da trovate semplici, ma genuine, cariche di quel qualcosa che forse si chiama amore per la vita o più semplicemente porta con sé l’esemplificazione di nostalgia che in tutta l’ispirazione del momento trova un buon motivo per esistere, per un disco, questo, capace di confondere e spiazzare, un album in grado di far riflettere sull’incostante ricerca di uno spazio di cielo infinito dove poter vivere, ricordando il legame indissolubile con la terra, fertile sviluppo per esigenze future.

Siberia – In un sogno è la mia patria (Maciste Dischi)

Pensare di vivere in un sogno dove tutto sta crescendo, dove tutto è in procinto di trasformarsi, noi esseri strani, divincolati dal buio della notte, cerchiamo la luce in un posto nuovo, noi che siamo parte di un tutto proveniamo dalla terra e alla terra siamo destinati, un angolo di mondo che può essere la patria, non mero territorio delimitato da confini, ma capacità di dare un senso e un nome a chi ci troviamo davanti.

I Siberia sono per metà stranieri e conoscono nel profondo il senso del termine che da valore al disco, lo apprendono giorno dopo giorno attraversando le barriere virtuali che caratterizzano il nostro vivere e lo fanno con una dimestichezza pop da primi della classe, incrociando in modo delizioso rimandi di tipi Baustelliano fino alla tradizione sonora di Endrigo, la wave mescolata alla musica d’autore, per un sodalizio che attinge le proprie radici in un vortice che non sa quasi mai di tensione, ma di territorio inesplorato, onirico e sensazionale.

Undici pezzi che sono lo sfondo dei racconti di ogni giorno, partendo con Patria e finendo con Una speranza, quasi un richiamo ancora, quasi il desiderio di convincersi che la fuori tutto ancora può cambiare, che anche  il più piccolo seme dentro di noi, un giorno germoglierà per tornare da dove è venuto, noi cenere di alberi eterni sempre pronti alla sconfitta.

Grandi navi ovali – All you can hit (Maciste Dischi)

Dentro al gioco di parole delle Grandi navi ovali si nasconde il titolo del loro nuovo disco, All you can hit, un album affascinante per molti versi che riesce ad inglobare un suono fresco, moderno, capace di prodezze non solo fuori area, ma direttamente dagli spogliatoi con un appeal sincero e diretto, elettronico e malinconico, forse verso un mondo che non esiste o che speriamo possa esistere dentro ai nostri occhi.

Loro sono dalla provincia di Alessandria, provinciali di provincia, ma che amano questa etichetta, anche se di etichetta non parliamo, ma solo e soltanto di gran buona musica con il giusto apporto di sintetizzatori a solcare i mari dei doppi sensi e le interrogazioni sulla vita burrascosa e continuamente in bilico tra forze a cui non sappiamo dare un nome, risultati però dal nostro pensiero globalizzato che non sempre premia, anzi molte volte delude.

Ecco allora che i nostri, miscelando sapientemente Macromeo, I cani e il cantautorato degli anni che furono, divagando sull’importanza della vita, interrogandosi scherzosamente su ciò che ci resta da assaporare, magari lasciando qualcosa per gli altri, magari trasformando la nera realtà in qualcosa di stramaledettamente  pop e fiorito, qualcosa che lasci il segno, in un cammino in cui tutti Hanno ragione, per sempre o almeno per Questa notte e per altre cento.

The Please – Here (Maciste Dischi)

Dispersi nel deserto psichedelico dei sogni dove i The Please vogliono portarci con la loro nuova prova, ci imbattiamo inesorabilmente in costruzioni non lineari,  attraversando spunti di riflessione per poter comprendere l’origine di questa musica senza tempo e priva di confini che attinge l’idea stessa del rock e del folk in un luogo remoto e inaccessibile, penetrante e al contempo lisergico, quasi acido che si immola e concede ricordi targati ’70 e una voglia di sperimentare alla Justin Vernon su tutti, in un cantautorato luccicante e brillante.

Una fotografia che mantiene ancora i colori di quello che è stato, a ribadire le proprie origini, tra Jefferson Airplane e toccate del White Album per un disco che tutto possiede tranne che un’italianità scopiazzata, questa è una prova con l’anima di quelle sentite e rilasciate a chi verrà, in un sostanziale avvicinamento al passato che tanto ha reso importanti le prove dei gruppi moderni che ancora calcano la scena, che ancora vogliono parlare di sé.

I nostri ci regalano una prova di respiro internazionale, intensa, dove la parola QUI non significa tempo, ma significa casa, un qualcosa che va oltre le concezioni per una musica che non ha età, ma che ha trovato la propria dimensione nel condividere; poi dentro c’è tutto il resto: i rapporti che si aprono e si chiudono e la vita che prende il colore che le vogliamo dare.

Voina Hen – Noi non siamo infinito (Maciste Dischi)

La realtà sbattuta in faccia, la realtà che squarcia le giovani generazioni e le protende ad un ineluttabile destino, in cerca di appigli dove potersi aggrappare, dove poter sperare, in contesti fuori da ogni schema di logica comune e altrettanto disadattamento per i pensieri, quelle molecole che fanno funzionare le nostre vite e ci rendono forse ancora più liberi.

I giovani Voina Hen sanno che cosa vogliono e sono alla costante ricerca di tutto questo, ci raccontano di un’Italia che non funziona e parlano delle aspirazioni dei ragazzi di oggi, lo fanno con rabbia, rabbia contro il sistema, una rabbia però costruttiva che si confessa e ci rende partecipi dello sfacelo, partire da quell’idea di fondo che noi non siamo nulla, noi non siamo infinito, noi non siamo quello che gli altri vorrebbero che fossimo, siamo tutti diversi e soprattutto non vogliamo una vita fatta di cliché e di banalità che ci sommergono.

Ecco allora che dal punto di vista musicale i nostri incrociano i Ministri passando per i FASK e condividendo quella protesta vissuta in piazza che deve essere il segno del cambiamento, non un semplice lanciare messaggi, ma una vera e propria presa di posizione verso una cieca sovranità nazionale.

Prodotti dalle menti contorte, ma efficaci, di Manuele Fusaroli e Marco di Nardo i Voina Hen confezionano undici pezzi di puro indie rock nostrano, partendo dall’elettrizzante tempesta e concludendo il tutto con la fine/inizio del tutto Il funerale; undici brani di grande spessore che parlano di fallimento e di rinascita, di scoperta e di amore per quel qualcosa che si chiama vita.