Volemia – Eh? (New Model Label)

Volemia è la locuzione sospinta ad arte che imprigiona parte di noi attraverso la durezza di uno stoner tipicamente italiano che nel bene o nel male si scontra ed incontra le produzioni dei bergamaschi Verdena in un flusso concentrico in grado di costruire comunque, attraverso una ricerca originale, un suono che abbraccia la pre Seattle, la fine degli anni ’80 e la culla del grunge in contrapposizione sostanziale all’indie folk moderno e cercando di ottenere da questa produzione una fantastica panoramica grazie ad incrociatori sonori che fanno di questo rock alternativo un punto di partenza per un album davvero notevole e pieno di passione che porta con sé un dichiarato intento di valorizzare soprattutto il live, il palco, il sudore, grazie a canzoni che sprigionano energia vitale registrate in presa diretta, canzoni che entrano come un lampo nella nostra mente e a fatica ci abbandonano. Si parte con la trepidante Mammut si passa poi per L’ebrezza del vuoto, E’ colpa mia fino a Dammi un la in un disco che ha i volti di un rock compatto e potente, fragoroso quanto basta per farci sentire il richiamo concentrico di una ricerca rumorosa che proprio nella parola suono trova il suo punto di valore più alto.

I Paradisi – Dove andrai (Autoproduzione)

Affondare le radici rock per estrapolare una musica che viene dall’anima non è sempre facile, ma I paradisi in questo album  riescono nell’intento di attingere direttamente la loro coscienza musicale nel mood della psichedelia targata ’60 per un disco che ha il sapore metafisico di un ponte sopra l’Oceano Atlantico, tanto grande da contenere dentro di sé una bellezza spaziosa, che si apre e si restringe e sa creare illusioni parallele e veridicità importante e sentita, frutto di un lavoro in sala prove originale e mai scontato; se possiamo trovare resti e rimasugli del rock passato in questo album i colori che si vanno via via definendo sono improntati su di un’essenza di musica più moderna, ricordando Le Vibrazioni dei primi album, quando ancora per approccio erano molto più underground di come le conosce il pop-olo e le sofisticazioni in apnea di band come i trevigiani Public, un album che racconta le vicissitudini della vita scavando nell’oscurità per cercare un po’ di luce, per cercare un motivo unico e valido per poter viaggiare ancora, tra pezzi che si aprono alla James Bond come per Un brutto sogno per arrivare a Strange Days, passando per la bellissima ed evocativa Voli Via il tutto amalgamando dieci tracce che vanno oltre l’idea di classic rock.

Dove andrai sono dieci pezzi che si perfezionano proprio grazie a quel ponte, in equilibrio, tra mondi totalmente diversi e dove la fame di musicalità esplode attraverso ogni percentile di vibrante attesa.

Electroadda – Elecctroadda (Autoproduzione)

Un disco cangiante e roboante che raccoglie la lezione del rock del tempo che fu e lo trasforma in una musica principalmente di sostanza, capace di indagare nelle coscienze e scaraventare al suolo il tempo perduto con capacità espressiva, per un gruppo che di base, ha delle solide fondamenta costruttive ed esigenze che intersecano il tempo perduto tra psichedelia anni ’70 e l’esigenza di sperimentare sempre e comunque grazie all’utilizzo di un’elettronica mai fine a se stessa e che consente alla band, che alla fine è solamente un duo, di sovrapporre substrati emozionali in musica per dare vita ad un wall of sound pazzesco e sentito.

Cinque pezzi che sono il marchio di fabbrica e la carta d’identità per le imprese future, cinque pezzi che si fanno ascoltare e riascoltare, carpendo le sfumature, raggiungendo l’infinito, un labirinto di potenzialità da incanalare per risultati che in futuro, saranno ancora più sorprendenti.

La Suerte – L’Origine (Discipline)

Cantautorato d’ampio respiro che parla inevitabilmente di tutto il mondo che ci gira attorno, soffermandosi su fatti e impressioni, capaci di destare un lampo di genio illuminato, un chiedersi dove sta il confine delle nostre scelte, un domandarsi da dove arriviamo e capire la nostra origine e soprattutto capire il futuro in una società complessa e individualista come la nostra.

Nascere, venire al mondo, si cita già Courbet nella copertina, emblema di nascita e rinascita che si scontra con la quotidianità che tante volte ci vede incarcerati in un qualcosa che ci sta stretto, noi esseri umani, dalle forti aspirazioni che scegliamo unicamente il nostro destino dalle azioni che svolgiamo.

E’ un cantautorato impegnato quello dei La Suerte, lo si comprende sin dalle prime battute de l’Origine, piccolo EP di 4 canzoni che anticipa l’uscita del disco che vedrà la luce nell’autunno di quest’anno.

Quattro pezzi in divenire che si domandano, mescolando il rock alle note più caraibiche in una commistione alquanto inusuale, segnando un territorio ben preciso da seguire, in nome di un’originalità che incrocia Nick Cave a David Byrne, passando per Graziani e Veloso, un equilibrio tra strumenti e voce che ammalia e colpisce.

Piccola chicca di anticipazione ben riuscita che ci fa star qui ad aspettare nuovi e interessanti sviluppi.

Doc Brown – A piedi Nudi (Autoproduzione)

Elettro pop vintage con stile che guarda al futuro con una certa ammirazione e una certa qualsivoglia ironia e fame di sapere che si rapporta al mondo esterno come se fosse un’esperienza da vivere giorno dopo giorno alla ricerca di una fessura, di uno spiraglio su cui dare speranze e sensazioni che vanno ben oltre l’ideale di essenza a cui siamo abituati.

Quattro tracce in tutto che ammaliano grazie ad un italiano credibile e a suoni filtrati che non fanno sentire la sovrabbondanza dei colori, ma che si limitano a percorrere e addentrare un’unica parte emozionale che gradevolmente ci accompagna e ci tiene per mano.

I Doc Brown si presentano dopo il fortunato L’uomo perde l’equilibrio con un EP sobrio, elegante e convincente che fa del racconto di vita un necessario per portare nelle orecchie di chi ascolta sprazzi di risoluta freschezza in un panorama che sembrava, con il tempo, appiattirsi inesorabilmente.

Ecco allora che vengono sfoggiate dal cilindro quattro piccole gemme da riascoltare più volte, assaporando i prati e camminando a piedi nudi, tra echi di Phoenix e letargici Baustelle, un tripudio di colori che si innesca alla sostanza e non lascia via di fuga per una manciata di canzoni che sanno di Primavera.