Bastille – The National – LIVE Report – Pistoia Blues 2016 – 11/12 Luglio – Indiepercui

Qualche giorno in Toscana e beccarsi anche un paio di concerti al Pistoia Blues, non è da tutti, anzi è una fortuna consegnata in mano a pochi, una possibilità, oltretutto magnifica di viaggiare per terre dove la musica e il buon cibo sono di casa e soprattutto dove le bellezze architettoniche fanno da scenario complementare ai suoni di un palco che per l’occasione nelle serate dell’11 Luglio e del 12 Luglio ha ospitato grandi nomi del panorama musicale internazionale: i poppeggianti Bastille con in apertura i Kelevra, già band recensita su queste pagine virtuali e la sera seguente Father John Misty ad aprire per l’indie rock band americana The National.

Il centro di Pistoia ospita, quest’anno, la 37° edizione di un festival che nel corso del tempo ha saputo intensificare la proposta accontentando vari estimatori di musica, da quella più semplice e orecchiabile,  all’introspezione sonora, fuori dalle canoniche regole del mercato, cercando di avvicinare l’idea di evento a 360° atteso non solo a livello regionale, ma anche e soprattutto nazionale pensando ad un connubio tra musica e arte che solo pochi Paesi nel mondo si possono permettere.

Kelevra – Bastille 11 Luglio 2016 – Pistoia Blues

Serata calda, troppo calda, arriviamo con l’auto, si parcheggia al Cellini, comodo parcheggio ad 1 km dal centro, il tempo per ritirare i pass e mangiare qualcosa e ci fiondiamo nell’area concerti, testa a sbirciare la piazza e con non troppa sorpresa migliaia di adolescenti pronte ad ammirare la band del singolo strappa cori Pompeii.

Ad aprire i Kelevra con il loro pop trascinante e sintetizzato, congegnale alla serata, ma non troppo, in quanto carico di testi mai banali e una capacità di stare sul palco, direi invidiabile per una band così giovane e assetata di futuro da assaporare.

Ore 22.00 salgono i Bastille, band londinese che si è imposta nel corso degli anni grazie a fortunati singoli e pronta a sfornare, quest’autunno, un nuovo disco dal titolo Wild world, che grazie a canzoni di facile appeal, già ascoltate nel live, si dimostrerà capace, senza ombra di dubbio, di farsi strada tra i nuovi tormentoni del momento.

Il set sul palco comprende un efficace schermo dove le proiezioni di ottima fattura scorrono in loop emozionando la platea di giovani e agguerrite fan che si lanciano nei classici: sei bellissimo e we love you dedicati al frontman, tra selfie all’ultimo grido e canzoni cantate a memoria. Musicalmente i nostri sanno il fatto loro, una scaletta breve, un’ora e trenta di concerto, ma allo stesso tempo tirata a dovere, dove classici pezzi come Bad Blood, Laura Palmer e Things we lost in fire sono alternati dalla cover di TLC, No scrubs e da una Of the night, cover di Corona, presente nel loro primo album e suonata nel finale a preannunciare una perfetta Pompeii per un concerto per così dire radiofonico, senza imperfezioni, il disco tale e quale per come si presenta senza aggiungere nulla di nuovo ad una dimensione live che meriterebbe però di essere ampliata.

Is this the reeboks or the nike no cioè This is the rhythm of the night e si torna a casa canticchiando.

 

Setlist Bastille

Bad Blood / Laura Palmer  / Send Them Off / Things We Lost in the Fire / These Streets /Blame / Overjoyed / Weight of Living, Pt. II / No Scrubs (cover TLC) / The Currents / Good Grief / Flaws / Oblivion / Laughter Lines / Lesser Of 2 Evils / Icarus / The Draw / Of the Night / Pompeii.

Father John Misty – The National 12 Luglio 2016 – Pistoia Blues

Ben altro livello musicale la sera seguente, dove a calcare il palco del Pistoia Blues, troviamo due tra le più rappresentative band americane in circolazione, entrambe di passaggio in Italia, Father John Misty per un set anticipato, conteso ed elettrico, spruzzato dal folk e dal blues, in un itinerario complesso di musica targata ’70, ma proiettata al futuro, un fascino indiscutibile e una capacità che si consuma e rinasce, che si apre e si chiude tra pezzi come When you’re smiling and astride me , il capolavoro Bored in the USA, passando per le perle di True affection e il finale di Ideal husband, il pubblico è numeroso, molto numeroso, risponde e si sente, ad incrementare il calore già presente nell’aria.

Puntuali alle 21.30 i The National, spigolosi e concentrici lasciano la grandezza della loro carriera alle spalle per consumarsi in un live di due ore commosso e sentito, visibilmente fragile e dimesso, con Matt Berninger che cammina grattandosi la testa sul palco, pensando, riflettendo, in una narrazione musicale che strappa applausi sinceri, un’unica data nel nostro Paese che ha tutto il sapore della magia e delle cose migliori, gavetta e riconoscimenti, sudore e adrenalina, tra canzoni tratte dai numerosi dischi alle spalle e altre attraenti novità, fino alla fine, fino al bagno tra la folla con Terrible love e poi ancora in acustico l’ultima indissolubile Vanderlyle crybaby geeks, con tutto il pubblico di Pistoia a cantare nel lasciare la propria casa, cambiare nome e vivere la propria vita da soli; un live che porta con sé il sapore di un altro tempo per una band più commossa di noi nel partecipare a tutto questo splendore.

Oggi si scollina per la Porretana, da Pistoia fino a Bologna e poi autostrada fino a casa, qui nell’Alto vicentino; salendo la cima del colle, ogni tanto giro la testa e guardo Pistoia che si rimpicciolisce ai miei occhi, fino a diventare un piccolo puntino, sorrido.

Father John Misty Setlist
Hollywood forever cemetery sings / When you’re smiling and astride me / Only son of the ladiesman / Nothing good ever happens at the goddamn thirsty crow / Chateau Lobby #4 (in C for two virgins) / Bored in the USA / Holy shit / True affection / I’m writing a novel / I love you, honeybear / Ideal husband

The National Setlist
Dont swallow the cap / I should live in salt / Sea of love / Bloodbuzz ohio / Sometimes I don’t think  / The day I die / Hard to find / Peggy-o (Grateful Dead cover) / Afraid of everyone / Squalor Victoria / I need my girl / This is the last time / Find a way / The lights / Slow show / Pink rabbits / England / Graceless / Fake empire / About today

Encore

I’m gonna keep you / Mr November / Terrible love / Vanderlyle crybaby geeks

Foto: Gabriele Acerboni / Marta Colombo

Testi: Marco Zordan

-LIVE REPORT- Elvis Costello Detour – Gran Teatro Geox – 25 Maggio 2016 – Padova

Un genio inglese approda al Geox di Padova per un tour che lo vede toccare le più importanti città italiane Torino, Milano, Firenze, Bologna, Roma, Brescia; questa di Elvis è una serata speciale, fino a qualche giorno fa l’intera serie di concerti doveva essere annullata per un’infezione respiratoria, ma a grande sorpresa il nostro, è tornato, pronto per ripetersi più volte sul territorio nazionale, facendoci scoprire brani che attingono direttamente dalla sua pluridecennale carriera, in un sodalizio con il pubblico che è cosa rara di questi tempi: l’intimismo sporcato dal folk, rock, blues e jazz ormai ha fatto storia e questa serata ne è la conferma, una serata che si preannuncia essere un racconto in bianco e nero a riconsolare gli animi, tra la meraviglia e lo stupore.

13267910_1088248634546664_3459204119240273830_nIl Teatro Geox di Padova è sempre sinonimo di qualità e presenza sulla scena per essere punto di riferimento nell’intera programmazione del nord Italia e non solo, richiamando l’attenzione di numerose presenze attive agli show, un teatro che si presta a ricreare un ambiente domestico, personale e intimo, poco più di 1500 persone per l’occasione, un ambiente che porta il cantautore inglese a plasmare una comunione con l’ascoltatore che in primis si offre e trascina, un cantautore poeta che trasmette attimi di introspezione narrativa, attraverso aneddoti da primo della classe: scherza sul pianoforte prestato dalla moglie, freccia da lontano Donald Trump, parla del padre musicista e del nonno soldato, aneddoti che fanno comprendere maggiormente la caratura dell’artista che abbiamo davanti e l’importanza della musica che ci lascia da qui al futuro.

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Le meraviglie sonore non tardano ad arrivare e lui solo, con le sue innumerevoli chitarre vintage, perlopiù acustiche, prese in prestito da un’altra epoca, conquista e prende il sopravvento, grazie anche alla presenza di una base effettistica che si trascina talvolta in distorsori tonanti che portano corposità a ciò che potrebbe sembrare insipido e noioso, un suono scarno, ma al contempo ricco di quelle sfumature capaci di penetrare e non farsi dimenticare, quelle sfumature essenziali per comprendere un repertorio che pesca tra pezzi conosciuti, meno conosciuti e cover in un contesto ricreato nel mirare l’essenza stessa della musica, quella musica che rapisce e si fa storia, non come punto d’arrivo però, ma piuttosto come esecuzione da ricordare, che raccoglie il momento irripetibile e scuote rumorosamente il cuore nel cogliere di sorpresa l’ultima nota ancora vibrante nell’aria.

Si parte con Green Shirt per arrivare alla melanconica Tripwere, passando per bellezze come Church underground e I Want you senza dimenticare la scrollata elettrica di Watching the detectives per una scaletta che ripercorre un tempo infinito e dilatato.

13241197_1088248661213328_8459246833536449540_n[1]Elvis cambia spesso di posizione, sa divincolarsi egregiamente con il piano e utilizza i megafoni al lato del palco per cantare e per battere il tempo, istanti liberatori e personali che lo vedono dimenarsi, nell’ennesimo cambio di posizione, proprio all’interno di quella scatola televisiva che lo ha visto protagonista nel corso degli anni: lui così lontano da certi schemi, ma allo stesso tempo così vicino da subirne il fascino.

La voce non è delle migliori dopo la lenta ripresa, la gola ne risente, beve spesso, parla molto, ma il talento è un diario aperto, una confessione dopo anni di soddisfazioni, un esempio tenace di costanza maturata; Costello non dà consigli, ma racconta, alternando ironia e introspezione, prendendosi meritati applausi da buon poeta solitario, questa sera un po’ meno pop, questa sera un po’ meno commerciale, questa sera più umano e naturale, di quella naturalità che ha il sapore del tempo perduto, del tempo che passa e che trasforma ogni cosa.

Live Report: Marco Zordan / Indiepercui

Foto: Natascia Torres / Zed!

SETLIST

Green Shirt
Mystery Dance
I Can’t Turn It Off
(The Angels Wanna Wear My) Red Shoes
Ascension Day
Stella Hurt
Church Underground
Clubland
Come the Meantimes
Shipbuilding
A face in the crowd
Walkin’ My Baby Back Home
Ghost Train
She
TV Is the Thing (This Year)
I Want You

ENCORE

Pump It Up
Alison

ENCORE 2

Side By Side
Everyday I Write the Book
Jimmie Standing in the Rain
Watching the Detectives
Tripwire

Damien Rice – 30/07/15 Villafranca (VR) – Live Report

UN PALCO VUOTO E LA TESTA PIENA DI STELLE

Il Castello Scaligero di Villafranca dal 1200 segna il tempo sugli abitanti del veronese, rendendolo location affascinante per qualsivoglia concerto di musica internazionale e non, a ristabilire il contatto tra passato e futuro, in un’immacolata concezione di stabilità e gusto, un sussurro di maestosità e grazia, pronta ad ospitare quello che è considerato il cantastorie più emozionale dell’epoca musicale contemporanea.

Damien Rice non è una creatura sovrannaturale è una persona qualunque che sale su di un palco e canta l’amore, quegli amori relegati all’angolo di una strada buia e plumbea, quegli amori di terre verdi e trasparenti dove guardare l’infinito sulle scogliere e non chiedere nulla al futuro, sostanza e introspezione, il tono dimesso da menestrello vissuto con gli occhi di chi sa regalare emozioni ascolto dopo ascolto in un interesse collettivo che si fa applauso senza mezzi termini, uno scrosciare disteso di mani a cercare altre mani, lì, tra il cambiamento e un’acusticità imprevedibile, spoglia, nuda e cruda, dove i suoni sono sempre in funzione del racconto, suoni stabili, leggeri che hanno il colore dell’oro, un vortice continuo di intenzioni non troppo lineari a fare da sfondo al mondo che ci circonda.

Damien canta canzoni in cui ci rispecchiamo, canta la giovinezza che fa parte di noi, canta del passaggio della marea e di quell’acqua che cancella il passato, cancella ogni qualsivoglia forma di finzione per renderci naturali, come foglie di albero maestoso pronte a rinascere con la nuova stagione.

La naturalità negli intenti si evince sul palco come nella vita, definito incoerente io aggiusterei il tiro con reale, una persona fuori dal coro che fa parte di ognuno uno di noi, quel Damien che tanti anni fa partiva da Dublino con una Mini per vedere il suo gruppo preferito, i Radiohead, 11 giorni di viaggio imponendosi di scrivere una canzone al giorno per poi tornare e aprire i concerti di Cohen, un Damien pauroso della vita, ma che la affronta con noncuranza, la sfida e ne esce vincitore.

Damien su quel palco il 30 Luglio ci è salito e ha raccontato la sua storia, a tratti, soprattutto nella prima parte del concerto un po’ freddo, relegato al suo mondo intriso di misticità e in grado di comunicare non sempre alla perfezione, poi grazie alla loop station e a improvvisazioni sonore ha trasformato la sua chitarra acustica in qualcosa di elettrico e distorto, mandato in progressione artificiale, rendendola partecipe di qualcosa di più grande.

Suoni non sempre calibrati rendono l’ascolto a tratti troppo distorto, soprattutto nelle retrovie, anche se il risultato complessivo è buono, grazie alla capacità del menestrello di stare sul palco e di intrattenere il pubblico ironicamente.

A parte la nota stonata di una Britney Spears di turno chiamata sul palco da Damien per cantare Volcano le perle scorrono ininterrottamente e si lasciano ammirare Delicate in apertura così dal nulla, Coconut skins, Woman like a man, l’harmonium di Long long way, la sempre affascinante Amie fino alla bellissima My favourite faded fantasy dell’ultima fatica, toccando la bellezza in The great bastard e lasciarsi andare alla perfezione in moto perpetuo di It takes a lot to know a man.

Bis affidati a Cannonball, Nine Crimes e nel finale tutti sotto al palco a rendere omaggio con Blower’s daughter, diventata ormai classico senza tempo.

Niente foto per questo live report, ne circolano ben troppe in rete, voglio ricordarlo così, un palco vuoto e la testa piena di stelle, l’esigenza iniziale di spegnere i telefonini, gustarsi lo spettacolo, cosa che in gran parte il pubblico educato ha fatto, nel rispetto della bellezza sfiorata; un palco vuoto e lui forse dopo poche ore fuori, con il pubblico, in un aftershow ancora più emozionante, un cantautore plasmato non per le masse, ma solo per chi sa riconoscere al primo sguardo chi trasmette ciò che la stragrande maggioranza degli artisti odierni sa solo immaginare.

Marco Zordan – IndiePerCui

SetList

  1. Delicate
  2. Coconut skins
  3. Woman like a man
  4. The box
  5. Long long way
  6. Volcano
  7. Amie
  8. MFFF
  9. Elephant
  10. I remember
  11. The greatest bastard
  12. The professor e la fille danse
  13. It takes a lot to know a man

Encore

Cannonball / Nine crimes / The blower’s daughter

Carmen Consoli: il canto del cigno – Live Report – Sherwood Padova – 3 Luglio 2015

Sherwood festival al Park Euganeo di Padova è sempre una garanzia in fatto di qualità e offerta dei live proposti, con l’aggiunta di un contorno fatto da incontri, bancarelle artigianali e non e quell’idea che si percepisce solo qui: far parte di un mondo diverso, una città nella città dove la comunanza di intenti vince contro qualsivoglia forma di mercificazione della proposta in atto, facendo da capofila a molti altri festival italiani.
Con difficoltà si comprende la grandezza della folla accorsa per vedere dal vivo l’aggraziata rocker siciliana, data la grandezza del luogo e la presenza di persone non solo sotto al palco ma anche nella zona antistante, popolando i tendoni/ristoranti e i vari punti d’incontro.
Ad aprire la serata la vicentina Elli De Mon che con chitarra dobro e sonagli, scuote la gran cassa facendo tremare palco e oggetti attorno, sporcando di blues la sua timidezza e incrociando l’India con sitar e musicalità d’altri mondi.
Una musicalità che trae ispirazione soprattutto nel delta del Mississippi, un genere contaminato dal punk che sa osare senza chiedersi troppo.
Buona prova tra nuovi e vecchi pezzi, conditi dall’attenzione di un pubblico numeroso e partecipe.

IMG_0556Puntuale alle 22.00 entra Carmen Consoli.
Gonna nera, maglia bianca, chitarra rosa e tacco alto, lei davanti a tutti, lei davanti al mondo, poche note e via via il suo stare sul palco cambia, è mutevole, ritrae i colori di un quadro rock perfetto che vorremmo continuare ad ammirare, Geisha, Mio Zio, Sentivo l’odore e poi la title track dell’ultimo album L’abitudine di tornare, finalmente la meravigliosa Ottobre e La Signora del Quinto Piano, i toni si incupiscono in vorticose parabole elettriche con Matilde odiava i gatti per viaggiare nel lontano oriente con il ritmo di Per Niente Stanca.
Il concerto si muove molto su tonalità che non lasciano tregua, soprattutto nell’ ascolto dei vecchi pezzi come Fiori d’arancio, Contessa Miseria, Venere per un finale che vede alternarsi l’esuberanza di AAA Cercasi ai classici Parole di Burro e al solitario epilogo nel secondo bis affidato ad Amore di plastica.

IMG_0581Carmen ama i Sonic Youth e ama alla follia gli Smashing Pumkins si percepisce quella carica e rabbia malinconica che è pronta a tagliare il bambino dentro di noi, quel bambino che con forza si ripropone in ogni momento della nostra vita lasciando le tracce per la scoperta, per il costruire, per l’abitudine di tornare.
Altre due donne sul palco con lei, Melissa Auf … no scusate Luciana Luccini al basso e la dirompente Fiamma Cardani alla batteria, praticamente un nome, una garanzia.
Un trio al femminile che non ha bisogno d’altro e che fa scuola, dirompente e preciso più che mai.

IMG_0621Carmen non fa più suonare i violini dal vento, ha un volto nuovo, più elegante e quasi immacolato, una grazia che esplode in elettricità compressa e la timidezza e la naturalità che la rincorrono nei momenti di pausa è ben bilanciata dalla forza portante nei momenti più rock del concerto, una veste acustica che non esiste più, lasciando i suoni a rincorrersi come farfalle, in un pop alternativo ben confezionato che vede la voce della nostra, profonda come non mai, penetrare nei sogni di Orfeo e vaneggiare ancora una volta lungo sentieri sincopati, tra le sue Jaguar taglienti in un continuo andare e venire, concitato e rarefatto, atteso, ma mai accolto con forza.
La sostanza c’è e anno dopo anno quella totale capacità espressiva che si esemplificava in testi e musiche da lasciare il segno, ma troppo ammiccanti e sentimentali, lascia il posto a vissuti narrati che vedono come protagonista una società che non cambia e non vuol cambiare.
Carmen si lascia raccontare come in un libro aperto, ripercorrendo una carriera che la vede ancora protagonista dopo 20 anni a segnare e ad insegnare la strada: dalla polvere di Catania ai grandi palchi italiani e non, una garanzia in fatto di professionalità, capacità espressiva e savoir faire emozionale, caratteristiche assai difficili da mantenere nel tempo, ma che la nostra coltiva giorno dopo giorno come fiore raro da proteggere.

Marco Zordan – IndiePerCui

IMG_0664Setlist:

  • Geisha
  • Mio zio
  • Sentivo l’odore
  • L’abitudine di tornare
  • Ottobre
  • La signora del quinto piano
  • Matilde odiava i gatti
  • Per niente stanca
  • Fino all’ultimo
  • Bonsai #2
  • Sintonia perfetta
  • Stato di necessità
  • Esercito silente
  • Fiori d’arancio
  • Contessa miseria
  • Venere
  • Oceani deserti
  • Parole di burro
  • Confusa e felice
  • AAA Cercasi
  • Amore di plastica

Kaiser Chiefs – Padova – Geox Live Club 18/10/14

Andare ad ascoltare i Kaiser Chiefs è come fare un pieno di energia a pochi km da casa, un rifornimento che porta con se le giuste aspettative e che non delude, forse, nemmeno questa volta.

Per la quarta data del mini tour italiano, la band di Leeds, sovrasta, nel vero senso della parola, il piccolo palco del Geox Live Club o Geoxino di Padova, a sorpresa di molti che pensavano di vedere i nostri, come del resto il sottoscritto, salire sullo stage principale.

Ricomposte le membrane cellulari dopo questa piccola delusione, si entra nel club alle ore 21.00 e puntualissimi partono a suonare i Ramona Flowers, band dal buon suono complessivo, ma che non colpiscono appieno vuoi per il poco potenziale sfruttato vuoi per il cantante non del tutto convincente nelle sue pose plastiche dal sapore fittizio.

La loro musica è un misto tra U2, soprattutto nel cantato e sonorità più alternative legate al mood brit – rock d’oltremanica in una commistione che regala, solo a tratti, forti emozioni.

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Ore 22.00 e qualche minuto sale sul palco Ricky Wilson accompagnato dalla ormai prode ciurma, pronta a far scatenare i circa 500 corsi ad applaudirli.

ima2Il frontman della band è un vero e proprio animale da palcoscenico, non smette di muoversi e come un fiume in piena si distrugge e si ricompone in pochi attimi, quasi fosse il concerto della vita, quasi fosse l’ultimo concerto a cui può partecipare.

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Gli altri elementi della band si muovono appena, defilati, impostati, quasi fermi, c’è intesa e si vede, ma i riflettori sono puntati solo su un’unica figura che si dimena continuamente tra pubblico e palcoscenico.

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Dopo i primi quattro pezzi è tempo di togliersi la camicia per Ricky e mostrare quel sudore che deve essere segno distintivo per qualsiasi rock-star che intrattiene e coinvolge, quasi fosse un bisogno necessario, innato, quello di far parte del pubblico, di farlo partecipe dello spettacolo, in un unico grande esempio di savoir-faire che solo pochi grandi gruppi di genere riescono ad ottenere.

Le canzoni poi parlano da sole, Education, education, education & War, a mio avviso sottovalutato, è portatore di un suono completo, energico e potente e dal vivo i pezzi si fanno umani, quasi terreni, bellissime le versioni di Modern Way o One more last song, praticamente un inno da stadio, come del resto il singolone Coming Home o la circense Misery Company tra i pezzi finali.

Degna di nota My life, rallentata rispetto alla versione originale e costruttrice di un appeal sincero e percepito anche tra il pubblico.

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 In mezzo a molti pezzi dell’ultimo album si snocciolano in modo naturale canzoni cardine della discografia del quintetto, un’energica Ruby, un’impertinente Everyday I love you less and less e come non notare una The Angry Mob direttamente cantata dal bancone del bar?

Tra tutto questo si trova il tempo anche per festeggiare il compleanno di Simon Rix il bassista e cofondatore della band, tra domande del pubblico e tanto di torta con candelina consegnata dal tastierista Peanut.

ima7Una band che si fa notare, ma con garbo, coinvolge senza strafare e che ha la fortuna di avere un leader carismatico e pronto a tutto per conquistare chi lo ascolta.

Un concerto potente e reale: questo mi sono portato a casa!

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Genuini e non leziosi, i Kaiser Chiefs dopo poco più di un’ora e un quarto di live non vogliono insegnare agli altri come si fa della buona musica, lo fanno e basta e questo vi sembra poco?

Voto: 8+

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