Amandla – Non ci pensare (Autoproduzione)

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Poppettino ben condito a dovere che non disdegna gli approcci elettronici e alternativi a ricucirsi un ambito addosso che cerca nella marea delle produzioni italiane un piccolo posto dove abitare. Amandla è un disco d’esordio che si può definire acerbo, ma nel contempo è un album affascinante, niente è troppo esacerbato, ma piuttosto il tutto trova una propria collocazione, un proprio ambito d’interesse che si esprime in canzoni intriganti capaci di parlare di modernità e di giorni ad umori alterni. Niente di nuovo sul fronte occidentale, anche se i nostri ci mettono impegno e determinazione e si sente in queste otto tracce a tratti distorte, a tratti più riflessive. Canzoni che parlano di un mondo in dissolvenza, un mondo che non sa comunicare con le generazioni, un mondo statico nella sua perenne evoluzione. Non ci pensare sembra quasi un monito, una visione d’insieme in grado di ambire ad una ricerca minuziosa, ad una strada da seguire che nell’incontro riesce a conoscere e a ritrovare un proprio stile di sicuro interesse e facile appeal. 


Priscilla Bei – Facciamo finta che sia andato tutto bene (Lapidarie Incisioni)

Torna il mondo velatamente pop di Priscilla Bei torna con un disco intero dopo l’Ep già recensito su queste pagine Una storia vera, torna con fare sempre e comunque disincantato anche se l’insieme colorato di mondi raccontati nel primo disco trova una direzione più incisiva, matura e completa in questo Facciamo finta che sia andato tutto bene. Le parole del titolo non sono posizionate a caso, ma piuttosto trovano una certa logica nell’ascolto completo ed esaustivo di queste nuove tracce sporcate da un’elettronica che funziona e convince sin dal brano d’apertura Caos con Valentina Polinori e via via proseguendo con un approccio musicale che incontra il jazz, il reggae e una musica d’autore che non si accontenta, ma che piuttosto scava nei sentimenti umani, nelle relazioni, attraverso i delicati fili che sottendono il nostro infinito vivere. La capacità espressiva della nostra è cosa ben rara e si apprezza in toto nel proseguo dell’ascolto attraverso pezzi come Keplero, Livorno, Doveva Succedere con Lucio Leoni e la finale Autostrada. Il disco della cantautrice romana è un insieme eterogeneo di semplicità e bellezza che di certo non stanca, ma che piuttosto trova inevitabilmente le correlazioni che portiamo al nostro interno, attraverso identità, attraverso i legami indissolubili con questa vita. 


State Liquor Store – Nightfall and Aurora (Libellula)

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Tuffo nel passato per il primo disco dei State Liquor Store, atmosfere cupe e quasi desolanti si scontrano con un cantautorato fatto di pochi oggetti a riempire le stanze, oggetti importanti, cose preziose da non lasciarsi fuggire. Gli State Liquor Store conoscono la lezione dei grandi che furono, incrociando le densità di Neil Young e di band folk che hanno contribuito a dare un senso diverso al new di folk che avanza inesorabile. La band di Asti infatti predilige un approccio classico, ma comunque incisivo e ben strutturato dove le divagazioni sognanti si immedesimano nella realtà quotidiana, quasi ad inseguire un sogno tra le strade polverose della vita. L’omogeneità delle canzoni permette di creare un cerchio concentrico di bellezza rarefatta e l’arte del sogno riprodotta si staglia come pagina aperta da scrivere e implementare giorno dopo giorno. Da Dreamsleeper fino a Lazy morning on the shore i nostri intascano una prova convincente che porta con sé il colore di un notturno tramonto di rara intensità.

Cinque uomini sulla cassa del morto – Blu (Autoproduzione)

I cinque uomini sulla cassa del morto sono giovani friulani che amano divertirsi infarcendo di aggiunte vocali ed energia pop folk un concentrato di canzoni davvero impressionante per un esordio, un album che conosce la misura delle distanze da percorrere e trasporta l’ascoltatore in un mondo colorato di blu dove l’avventura è principio primo per conoscere amori e disillusioni in una prova corale da apprezzare fino in fondo che si esprime al meglio dopo numerosi ascolti, percependone sfumature e architetture in divenire. La band friulana è un incrocio tra la musica irlandese, gli Of monsters and men e gli italiani Eugenio in via di gioia solo più anacronistici, lontani dal già sentito e capaci di incasellare una produzione fuori dagli schemi a cui siamo abituati dando originalità, sudore e passione all’intero disco. Un violino variopinto crea melodie e armonie incalzanti accompagnando una bellezza autentica che possiamo scovare in pezzi simbolo come Bon, Blu, La danza della luna senza dimenticare la bellissima suite sonora in due parti, nel finale, intitolata Il piccolo aeroplanino blu. L’album dei nostri è un concentrato di amori e speranza, una musica che pur attingendo nel presente e nel passato risulta finalmente fresca e originale, una band da osservare attentamente nelle sue prossime evoluzioni.

Sintoh – Ciao sono ciao (Autoproduzione)

Approccio naif e disincantato per l’esordio discografico di Sintoh, personaggio strampalato che parla di una realtà che ingloba usando l’ironia come arma tagliente, pungente e affilata, una realtà dove il pensiero discostante si fa punto di contatto all’interno delle canzoni del nostro e dove pensieri in dissolvenza qui prendono colore, forme e risultati. Ciao sono ciao è un disco esageratamente pop, ma del resto chissenefrega perché in qualche modo riesce a toccare temi attualissimi senza scadere nella troppa banalità, anzi Sintoh cavalca il margine, il confine sottile tra tutto ciò che può essere di cattivo gusto e ciò che invece rende l’ascolto e la forma canzone incisiva quanto basta per raggiungere l’obiettivo sperato. Otto tracce dove persone, realtà, storie e vite si intrecciano per creare un quadro d’insieme davvero unico e divertente, canzone dopo canzone il nostro ci accompagna all’interno di un mondo così sorprendentemente vivo che un tuffo in questa triste vita è d’obbligo per ribadire il concetto, per ribadire l’impresa di andare contro, ancora, all’ennesimo mulino a vento chiamato reale.

Daniele Maggioli – La casa di Carla (Hoollapeppa Dischi)

La casa di Carla è un ambiente decorato ad arte dove sinuose rappresentazioni della realtà aprono ad un mondo di per sé metafisico e dilatato, privo di barriere ideologiche, ma carico di quell’appeal emozionale che riempie, consuma ed accende speranze in un concentrato di vita che assume le connotazioni di una poesia in musica capace di emozionare. Il disco di Daniele Maggioli, componente attivo del Duo Bucolico è un piccolo EP dove la forma canzone abbraccia un velato cantautorato ricco di atmosfere e suggestioni in grado di entrare in comunione con un pensiero che si esprime già nella bellissima apertura affidata ad Architetture per trovare il proprio completamento nella title track che lascia il posto a speranze da ricucire nel passato scovato ad occhi aperti di Madame. La casa di Carla è un disco raffinato e concettuale, una stanza di ricordi dove l’assenza e l’abbandono riempiono come mai prima e dove il vuoto assume una connotazione lontana, quasi fuori dal tempo.

Il colle – Dalla parte dello scemo (Autoproduzione)

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Adrenalinici con poesia Il colle rassicura con testi che ci toccano da vicino e nel contempo dipanano le ombre del passato con una musica fresca e genuina, capace di far penetrare le parole e le storie da raccontare in un saliscendi vorticoso che spazia e sa cambiare facilmente di registro, maturando idee, sperimentando concezioni di vita. Il colle, provenienti da Empoli, con questo loro primo disco dalla forte attitudine punk si fanno portatori di un suono particolare che porta con sé delle vibrazioni malinconiche ed introspettive capaci di fondersi in modo del tutto naturale con le prose in musica proposte, senza il bisogno di raggiungere la rima facile per esprimere un concetto, ma piuttosto facendo della ricerca una chiave costante che li accomuna a band come Diaframma o a realtà più scanzonate come la Bandabardò. Le dodici tracce proposte sono l’eco naturale dei nostri giorni e arrivano ad intensità importanti in canzoni come Con in tasca la morte, nel non sense del singolo di Io ti amo Calimero (Parigi), nelle passioni di Alessandra o di L’albero di cedro. Un disco che suona completo sotto molti punti di vista, brani in grado di analizzare la nostra realtà con occhio panoramico, con sguardo pop di sicuro interesse e con la voglia di mettersi in gioco con attenta leggerezza.

TWEE – Mango (Autoproduzione)

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Suoni estivi per una produzione che guarda al passato e nel contempo al futuro con il sorriso e con la caparbietà di chi sa curare fin nei minimi particolari i suoni colorati che provengono da una dimensione terrena fatta di verismo musicale e approccio costante nell’uso di stratagemmi per coordinare ritmo e pensieri al suono di una musica piena di coinvolgimento e di facile appeal. I Twee con la prova Mango, loro disco d’esordio, confezionano un album davvero eclettico sotto molti punti di vista, un album che lascia correre dentro di sé il sapore dei parallelismi con una musica fresca e nel contempo sporcata dal blues, dal jazz e dall’indie folk fatto con ukulele e chitarrine da spiaggia il tutto condito con salsa rinfrescante e produttiva, mettendo da parte malinconie autunnali e lacrime facili all’angolo della strada. Ciò che ne esce è un disco curato dove tutti i pezzi proposti hanno una loro omogeneità d’insieme da Swng It fino a Cold Monday per dieci brani che non si prendono troppo sul serio, ma nel contempo fanno della serietà cesello essenziale per arrivare a notevoli e interessanti risultati, davvero bravi.

Marco Kron – Sfere (Autoproduzione)

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Cantautore eclettico di stampo elettronico capace di protendere la realtà verso spazi infiniti e incanalare un’energia di fondo che si disperde e si contorce in sodalizi essenziali e necessari con la canzone d’autore incastonata in contesti asettici, ma pieni di sfumature, capaci di compenetrare la sostanziale ricerca del nuovo e le basi di fondo per una produzione geniale e mai banale. Marco Kron, cantautore e matematico milanese dà alla luce il suo primo album, Sfere, disco composito e mai lineare che si perde e poi si ritrova tra la luce e l’oscurità, tra ciò che è stato e ciò che deve ancora avvenire, partendo da basi di composizione digitale e portandoci delicatamente in un mondo trasformato dove qualcosa attorno a noi è più forte e sfida la morte. Sfere è un disco elegante e conturbante che parla della nostra società, che parla della nostra esistenza e lo fa senza scadere nel banale, ma piuttosto cercando una propria via d’azione che in pezzi come la stessa title track iniziale o la finale Agrodolce ci fa comprendere un punto di vista esigente capace di coniugare ed assemblare gusto, tecnica e sostanza; una prova quantomai figlia dei nostri tempi, una prova intima e simultanea alla realtà.

Kamal – 2017. Aborigeni Italiani (Kamalicus Records)

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Camaleonte delle storie raccontate con piglio sbarazzino e pieno di spunti su cui fondere un pensiero condivisibile ed eccentrico in grado di rappresentare al meglio la nostra Italia, le sue mancanze, le sue debolezze, intrecciando un insieme indissolubile di generi che vanno dal folk, al rock passando per la musica d’autore e il pop per un album, il secondo di Kamal, all’anagrafe Carlo Bonomelli, co-prodotto da Giuradei e ricco di spunti riflessivi che aiutano nella ricerca di un mondo migliore dove poter stare, dove poter vivere. Un insieme di canzoni dal piglio psichedelico e spensierato che però sanno guardare al microscopio ciò che veramente ci opprime, senza risparmiare nessuno e soprattutto analizzando da vicino le mancanze in pezzi come la stessa title track, Distanze o la finale La pillola anticrisi 2017 per un album davvero poliedrico e ben suonato, ammantato da un’aurea surreale che unisce storie d’amore alle storie di tutti i giorni, quelle storie così necessarie che ci riguardano da vicino.