Kaufman – Le tempeste che abbiamo (Irma Records)

Abbracciare frontiere, un turbinio appartenente al vortice di quell’indiepop fatto e suonato bene che conquista al primo ascolto; parole ricercate si divincolano in modo preponderante in una tempesta atomica di polvere di stelle.

Le sciagure sono elencate, le sciagure però non abitano nella musica dei Kaufman, tutto suona impreziosito nell’etere, un passaggio obbligatorio verso mondi lontanissimi e che ti accarezzano piano piano.

Note di un piccolo armonio da cucina,  preso in prestito dai ricordi più nascosti, dove i pensieri si alzano e si contraddistinguono, vivono e crescono di luce propria.

La presenza di Alessandro Raina (Amor Fou) si sente nell’intera fase di produzione anche perché il suono si colloca molto facilmente vicino all’opera I moralisti di quest’ultimi: intelligente modo di trasportare l’essenzialità in un progetto di gran respiro.

I pezzi poi parlano da soli, in bilico tra un Graziani (Ivan) dei tempi migliori e di un Umberto Giardini ancora nel sensato Moltheni, accarezzando rose di un colore intenso e delicato, petali che si sovrappongono per insegnare a vivere ancora un volta.

Alieni disorienta delegando il passaggio dell’abbandono a Modigliani, crisi di certezze poi in Il manifesto struggente di giovani vampiri che cerca esigenze compiute di mondi lontani in Astronauta per passare alla ballata emozionale  Santa kryptonite.

Ancora i passaggi temporali in un Aprile immaginato lasciando ciò che resta nel country di La mia piccola rivoluzione francese, coronando il finale con Gotham: la loro oceano di gomma.

Un band di carattere che con grazia conquista al primo ascolto, chitarre mai gridate e voci sussurrate per l’ennesima conquista dei Kaufman, tra sortilegi dei primi ’90 e la classe cristallina di chi vive nel mondo di oggi.