Priscilla Bei – Facciamo finta che sia andato tutto bene (Lapidarie Incisioni)

Torna il mondo velatamente pop di Priscilla Bei torna con un disco intero dopo l’Ep già recensito su queste pagine Una storia vera, torna con fare sempre e comunque disincantato anche se l’insieme colorato di mondi raccontati nel primo disco trova una direzione più incisiva, matura e completa in questo Facciamo finta che sia andato tutto bene. Le parole del titolo non sono posizionate a caso, ma piuttosto trovano una certa logica nell’ascolto completo ed esaustivo di queste nuove tracce sporcate da un’elettronica che funziona e convince sin dal brano d’apertura Caos con Valentina Polinori e via via proseguendo con un approccio musicale che incontra il jazz, il reggae e una musica d’autore che non si accontenta, ma che piuttosto scava nei sentimenti umani, nelle relazioni, attraverso i delicati fili che sottendono il nostro infinito vivere. La capacità espressiva della nostra è cosa ben rara e si apprezza in toto nel proseguo dell’ascolto attraverso pezzi come Keplero, Livorno, Doveva Succedere con Lucio Leoni e la finale Autostrada. Il disco della cantautrice romana è un insieme eterogeneo di semplicità e bellezza che di certo non stanca, ma che piuttosto trova inevitabilmente le correlazioni che portiamo al nostro interno, attraverso identità, attraverso i legami indissolubili con questa vita. 


Edoardo Baroni – Il momento di pensare alle cose (Lapidarie Incisioni)

Contrappunti sonori ben delineati che riempiono stanze buie al calare dal solo e scrutano tra le persiane l’arrivo di un nuovo giorno, intenso, sperato, magnetico e compreso tra attimi introspettivi e felicità da raggiungere, da ammirare e da vivere pienamente. Il cantautore romano Edoardo Baroni ci regala una prova che sa di poesia che non c’è più, quel raffinato intendere il vivere del momento attraverso gli occhi di chi non ha nulla da perdere e consegna nel diario della vita un’esigenza di intrappolare il momento, la felicità sperata, l’ingegnarsi per un mondo migliore. Dentro a Il momento di pensare alle cose c’è un universo in espansione che vibra di voce e arrangiamenti scarni, ricopre il cantautorato di un Dalla e di un Battisti migliore per arrivare ai più recenti Tiromancino e sono gli attimi quelli che contano, sono loro a rendere protagonista la nostra stessa storia. L’album si dipana in un’omogeneità di fondo che non stanca, ma aggiunge canzone dopo canzone un tassello importante che ci fa riscoprire la poetica accompagnata da una leggera elettronica di sottofondo, per suoni a tratti vintage e a tratti moderni dove il testo in primo piano è sicurezza comunicativa da qui al giorno che verrà.

Giusy Zaccagnini – Scusate se non mi sento all’altezza dell’idea che ho di me (Lapidarie Incisioni)

Nuvole che si stagliano in un azzurro cielo e fanno capolino a rincorrersi lungo vie infinite e piene di luce, timidezza conclamata, celata da sprazzi di introspezione sonora che rende merito a un acustico disincanto fatto di parole e sogni; sottili armonie piene di speranza.

Giusy corre, inciampa e capisce, comprende che quegli attimi di vita vissuta devono essere ricordati, devono essere impressi dentro ad un qualcosa che la rende unica e diversa dagli altri, l’idea di un album introspettivo, capace di raccontare e raccontarsi, istantanee di una vita vissuta, fotografie di un altro tempo e di un altro spazio capaci di donare un filo di gioia nel colore creato.

Lei è timida , ma dal grande cuore, mette sul tavolo tutto quello che possiede e lo fa con dolcezza e disincanto, si scusa già nel titolo e poi via via a parlare delle sue canzoni, come parti di un corpo da assemblare, che solo prese tutte assieme possono creare ancora quella magia che è il ricordo e l’esigenza di non nascondere nulla, ma di essere se stessi.

Un corpo nudo, e una vita da raccontare, canzoni poesie che narrano un’esigenza di scoprire e di scoprirsi, ricordando, per capacità espressiva, la genovese Neve su di lei, in un vortice autunnale di malinconie da ricordare, visibili agli occhi di chi solo vuol vedere, canzoni d’amore niente di più, amore per la vita e per il bello attorno a noi, attimi di luce prima dell’oscurità.

Moonerkey – 2014 (Lapidarie Incisioni/Terre Sommerse)

Il bel canto e la tradizione cantautorale che si sposano e vanno a braccetto con la capacità rockeggiante di regalare emozioni suadenti e conturbanti, incanalate in un turbine di pensieri che si fanno racconti di vita e di generazioni che devono ancora arrivare tra un alternative non delirato, ma sapientemente usato per far da sfondo ad un quadro di pensieri, vissuti e sapori del tempo.

Moonerkey gioca con i suoi lavori e si diverte incasellando il tutto in un buon indie rock di matrice fine ’90 post 2000 dove alle esperienze di vita, alle volte ingenerose, si alternano vere e proprie storie che potrebbero essere quelle di ognuno di noi.

Ecco perchè è difficile scrivere e cantare in italiano, perchè fondamentalmente, per tradizione, il comunicare qualcosa è sempre stato alla base del nostro background musicale e unire parole ai suoni soprattutto con una lingua come la nostra non è sempre facile.

Il nostro però ci riesce egregiamente, trasfromando la voce in un veicolo di speranze e attenzioni per il futuro.

Si parte con l’intro acustica che d’impatto si apre Luce e Particolare, per alternarsi in chiaro scuri Caravaggeschi che ti portano all’inesorabile finale Chissà se vedi adesso.

Un chiaro intento quindi, vedere dove non c’è luce, respirare la stessa aria nell’oscurità e trasmettere emozioni che di certo non finiscono con l’ultima traccia, ma che continuano nel vivere quotidiano.

Marco Mati / Stefano Morelli – Split (Lapidarie Incisioni)

Gli album come una volta, un’amicizia che non è divisione, ma condivisione, due lati in un disco; una volta c’erano i vinili ora ci sono supporti moderni che risultano essere essenziali nella loro unicità.

Due ragazzi, due persone molto diverse, accomunate dalla voglia e dalla necessità di fare qualcosa di vero e puro, di innovativo nel panorama della musica indipendente italiana.

Il tutto ha il sapore del vintage appena sfornato, contornato da stupende delicatezze che si assaporano maggiormente nella buona stagione che sta per arrivare.

Il primo, Marco Mati, è portatore di un suono legato al Soul e all’R&B con contaminazioni Reggae infarinato da una buona dose di coraggio che rende i sei pezzi, la sua parte, molto variegata e intrisa di quel sapore internazionale che lo contraddistingue.

Stefano Morelli invece fa dell’introspezione una via di fuga dove far crescere i propri pensieri che sono in continuo divenire abbracciando Kings of Convenience, Tom Waits e le solitudini immaginifiche di Thom Yorke.

Un piccolo gioiello che suona come purezza nella sua essenzialità, come viaggiatore errante in cerca delle proprie origini, un mondo in 12 tracce che sono state regalate per essere scartate lentamente una a una, fino all’arrivo di un nuovo giorno.

Ilaria Viola – Giochi di parole (Lapidarie Incisioni)

Nella mia piccola casetta ultimamente arrivano delle maledette buone cose.

Tra gli ultimi cd trovati nella cassetta della posta spicca Ilaria Viola, cantautrice romana, che dopo numerose esperienze come la creazione del collettivo “L’Orchestra del Condominio” si lascia andare verso mondi diversi e ricchi di sfaccettature confezionando un disco d’esordio, contaminato da influenze extra italiane ed extra europee toccando principalmente quel genere legato ad una bossa – nova/samba e dal folk più cantautorale e indipendente.

Otto sono i brani che si snocciolano in modo sapiente come l’interno illuminato di una sala prove circondata da maestosi alberi che riparano dal sole e ricreano le istantanee per un sicuro avvenire.

La cantautrice confessa di aver creato questa perla musicale perché in qualche modo ne aveva bisogno, lo sentiva dentro di sé, quel sé che si appresta ad esplodere così vero, essenziale, contagioso: un flusso continuo di parole che rende autobiografico ogni passo nel cammino segnato.

Ci sono echi di Vinicio Capossela, ma anche il ritaglio di una voce inconfondibile quella di Petra Magoni che ispira il cantato di Ilaria per farla ascendere verso nuove altitudini in divenire.

Pezzi che si fanno facilmente ricordare sono certamente “Le buone intenzioni” e la visionaria “Come d’estate”.

Un disco per tutte le stagioni, sperimentale quanto basta per portare ondate di freschezza continua.

Perché alla fine sono i giochi di parole quelli che ci fanno sentire vivi e che ci fanno comunicare nuove cose, nuove idee e nuove sensazioni. Grazie Ilaria.