Management del dolore post-operatorio – I Love You (La Tempesta)

Raccontarsi sul filo del rasoio intessendo la trama e andando al fondo della questione con testi che si dipanano tra ombre di chiaro scuro fendenti che fanno subito presa, si contorcono e lasciano ad ogni ascolto un significato nuovo, un significato diverso, nulla è dato al caso anche se può sembrare così, nulla è così diverso da come ce lo aspettavamo, quello raccontato è il nostro Paese e la nostra volontà di rimanere a galla.

Non è l’altro disco, quello per cui vengono ricordati, non lo è di certo, ma i testi sono ancora graffianti, graffianti di quella complicità con un passato che sancisce un’eredità fatta di savoir faire emozionale che, come su di un grande cruciverba, incasella parole dentro a spazi rigorosi.

Luca subisce quindi il passato, ma rincara la dose scrivendo un album più introspettivo, di denuncia sociale, un mondo annichilito dalle radici, un mondo che per essere cambiato ha bisogno di una ricostituzione fondante dal basso, annullando mode, cliché e fotocopie di noi stessi.

Due testi sono di altri autori: Scrivere un curriculum è tratto dalla poesia del Nobel Szymborska, mentre Il mio giovane e libero amore è tratto da uno scritto anarchico del 1921, dove la libertà è un gesto precursore di qualsivoglia insofferenza amorosa.

Un disco che racconta il destino ineluttabile e che canzone dopo canzone, traccia dopo traccia, narra in modo schietto e diretto un’Italia in decadenza: il lavoro che manca nella Patria dove si sta bene, l’indifferenza per gli altri in Le storie che finiscono male, l’incapacità di proseguire nel nostro futuro Per non morire di vecchiaia, tra i molti destini in mano a pochi; e poi ancora un invito a lottare per raggiungere un fantomatico paradiso o inferno in Vieni all’inferno con me , la formula non cambia, un luogo o l’altro è solo un pretesto per sopravvivere, un pretesto per vivere, perché capire come amare la nostra vita è l’unico progetto che abbiamo.

Yakamoto Kotzuga – Usually Nowhere (La Tempesta)

Intrecci sonori contagiosi privi di lirismo, ma che inesorabilmente si fondono a vissuti che lasciano in bocca ambizioni e concetti che vanno ben oltre la realtà che conosciamo, anzi si implementano in vuoti cosmici da riempire fino all’ultimo bicchiere, reso assurdità dal mondo e dal destino ineluttabile.

Giacomo Mazzucato è tutto questo, un’opera ansiogena in divenire che affonda e lotta, si consuma e crea, lasciando da parte l’usuale per comporre avventure soniche tra stranezze celebrative di un tempo che non è poi così lontano.

Questo disco può essere precursore di ciò che verrà, la lontananza non è mai stata così vicina e il sapore che ci lasciano queste 11 tracce non è un sapore legato soltanto alla sperimentazione, ma un qualcosa che va ben oltre il nostro udito, è materia da cui trarre spunto per pubblicazioni future: un suono extraterritoriale tra moti ondosi e calma piatta portatrice di nuove esigenze che esplicano in un bisogno essenziale di continua creazione.

Ecco allora un album da cui partire, su cui fondare il proseguo di genere, una lunga lotta indefinita, ma che pone le basi per ciò che verrà, tra contaminazioni e perfetto stile mai incasellato, ma sicuramente vissuto.

Umbero Maria Giardini – Protenstantesima (La Tempesta International)

Tutti aspettavano questo album, il nuovo di Umberto Maria Giardini, io l’ho ascoltato e vi dico cosa ho sentito.

Ripetuti ascolti mi portano a scrivere quello che ora leggerete, una mia opinione di certo, da  amante della musica e da ascoltatore quotidiano.

Umberto Maria Giardini ritorna dopo La dieta dell’Imperatrice e Ognuno di noi è un po’ anticristo, ritorna per dare all’Italia un’altra perla da coltivare, da mantenere nel tempo e da custodire soprattutto per segnare forse una strada, per esprimere vissuti che vanno ben oltre l’immaginazione.

Sarà così?

La voce c’è, sempre bellissima e coinvolgente, la qualità sonora tocca picchi di immacolata veridicità e gli strumenti fanno la loro parte, con tocco caldo di vintage d’altri tempi.

Le canzoni sono una summa del proprio pensiero anche se i testi alle volte si concedono in rime imbarazzanti che se scritte da un cantautore sconosciuto sarebbero certamente stroncate da critica (v. Latte giovane, coperto dalla panna/La tua bocca inganna; Chi dice il vero/Chi odia il bianco e ama il nero; Tutto il mio mondo è quella luna piena/il mare aperto (gode) la balena).

Il problema di fondo però è che il tutto manca di intensa improvvisazione, tutto è calcolato perfettamente a tavolino senza tenere conto del fattore sorpresa dedicando al suono un sacco di energie che forse potevano essere distribuite in modo più uniforme.

Un disco a mio avviso che è riuscito solo a metà, stupende comunque restano la title track e Molteplici Riflessi, in attesa, forse, che il nostro si lasci andare ad una più umile ricerca, lasciando da parte il personaggio da interpretare che vive in un’aurea di intoccabilità e grazia e riconsegnando a Noi la capacità visionaria del primo Moltheni.

Beatrice Antolini – Beatitude (La tempesta international)

 

Beatrice Antolini stupisce ancora con il nuovo album uscito per la Tempesta, Beatitude.

I suoni si fanno molto più osati e i territori che la nostra esplora si avvicinano di gran lunga ad una sperimentazione sonora che unisce il gusto per le liriche compresse ed ermetiche e l’apertura musicale nei confronti di una mescolanza di generi sempre nuovi.

Rapito e confuso dalla commistione inusuale mi approccio al disco come fossi assorto a contemplare un quadro rock dalle tinte elettroniche dove le cavalcate poderose si assottigliano in note di piano eloquenti e capaci di quella comunicabilità che solo i grandi artisti sono in grado di esibire.

Questo è un disco maturo e compiuto, che lascia il campo aperto a nuovi e veritieri approfondimenti verso ciò che ancora non conosciamo.

Il tutto parte con Spiders are not insects che lascia aperture sognanti a DNA e all’incidere di batteria e chitarra in arpeggi smorzati.

Si prosegue con Dromedarium, un gioco di parole che si comprende fin dal titolo dell’album per spaziare a sonorità alla Danny Elfman fino ad Anyma L canzone in più parti con pianoforti e incursioni sonore alla Bat for Lashes.

Un disco meraviglia, non comprensibile appieno al primo ascolto, ma che ha bisogno di essere assimilato, nonostante questo la classe c’è e tanta e il desiderio di fondere suoni per raggiungere un qualcosa di eterno e senza confini è ormai divenuto il marchio di fabbrica della cantautrice.