Cosmetic – Paura di piacere (To lose la track/La Tempesta)

Paura di piacere

Suoni diretti in divenire che inglobano precipitazioni atmosferiche in grado di uscire dalla musica in simultanea da cameretta per consegnare al suolo un disco fatto di melodie, pop degnamente scritto e suonato e tanto, tanto bisogno di condensare l’attimo per raccontarlo. Tornano i Cosmetic con il loro settimo lavoro. Un disco che suona veloce. Un disco che suona bene. Sono canzoni mai dilatate che ricercano nel fragore delle chitarre da sottosuolo di emergere a vita nuova, di lasciare da parte il passato per consegnarci una prova davvero meritevole di attenzioni. Bellezza diretta e immediata quindi. Bellezza che odora della migliore gioventù anni novanta. Aquila, Balena, La luce accesa, Morsi, Colpo di teatro sono tra i brani che più incarnano lo spirito di una band che riesce a lasciare nuovamente un segno, passaggio su passaggio. Lunga vita ai Cosmetic.


Moltheni – Senza eredità (La tempesta)

Ritrovare i cocci del passato e sintetizzarli all’interno di un disco emblema capace di catturare fotografie in bianco e nero in grado di accogliere la bellezza del tempo che passa e la sostanza metaforica del nostro essere vivi. Ritorna, dopo dieci anni, lo pseudonimo Moltheni a riempire di lirismo elevato una somma concentrata di episodi leggeri pescati nello scatolone del tempo e registrati e suonati con l’aiuto di musicisti importanti come Riccardo Tesio, Egle Sommacal, Massimo Roccaforte, Carmelo Pipitone ad impreziosire la scena. Ciò che ne esce è un album di buone canzoni. Ieri, Estate 1983, Nere geometrie paterne sono solo piccole parti di un disegno complesso che forse non riesce a prendere forma completamente, ma che nell’insieme regala una qualità intrinseca davvero invidiabile. Umberto Maria Giardini ritorna come fantasma di una vita passata per dare voce a quella parte di sé indimenticabile attraverso una sentita visione di ciò che è stato, di ciò che è.


Black Snake Moan – Phantasmagoria (Teen Sound Records/La Tempesta)

Sciamaniche visioni psichedeliche incontrano un rock in evoluzione fatto di carne, sudore e sostanza pronta ad abbagliare ad ogni singolo ascolto. Il disco del one man band Marco Contestabile è la cosa, tra le più sorprendenti, del panorama musicale dell’ultimo periodo. Un disco sopraffino capace di fare il giro del mondo tra salotti indiani e sponde del Mississippi toccando le scogliere spigolose di una musica che affonda le proprie radici nel rock di fine sessanta in una sensazionale e vorticosa ricerca di un posto migliore dove vivere. Phantasmagoria è prima di tutto un viaggio mentale per fuggire dalle costrizioni di questa triste realtà. Un viaggio di sola andata abbagliato da una sostanza mistica concentrata in un caleidoscopio persistente e in simultanea con le movenze cangianti di questo nostro vivere. Da Lotus fino a Night of stone passando per la stessa title track, Kaleido, Coral il nostro giovane musicista riesce ad assemblare una meravigliosa prova matura e viscerale.


I hate my village – I hate my village (La tempesta)

Super band nata dagli incroci sonori di Fabio Rondanini, Adriano Viterbini, Alberto Ferrari e Marco Fasolo capaci di sfoderare un suono tribale che incontra generi differenti per dare senso tridimensionale ad una realtà che affonda le proprie radici nel ritmo africano e nelle sperimentazioni d’avanguardia. I hate my village è un concentrato in primis di grande capacità musicale che si snocciola canzone su canzone incalzando energia che via via apre a cantati maturati e improvvisi per un suono d’insieme che ricorda per certi versi quel The king of limbs dei Radiohead tanto ricco di sperimentazioni quanto pregno di contenuti e bisogno di comunicare. I hate my village, rigorosamente registrato su nastro, si snoda lungo strade polverose a tratti funk, a tratti psichedeliche; dal singolone Tony Hawk of Ghana fino alla title track e passando per pezzi come Location 8 o Bahum il collettivo I hate my village mescola le carte in tavola per dare vita ad un disco voodoo ed esoterico incastonato, come perla, in questi tempi oscuri. 


Bruno Belissimo – Ghetto Falsetto (La Tempesta/Stradischi)

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Musica da terrazze ricostituite e rinvigorite per l’occasione, approccio elegante, sofisticato, malizioso e mai banale per un concentrato di house sporcata dai beat elettronici in secondo piano che in questa nuova prova sedimentano chitarrine funk oserei dire geniali e capaci di spruzzare l’etere di risveglio post’ 70 in una bellissima e avvolgente lezione di stile che ricopre a dismisura i canali delle nostre convinzioni. Con Ghetto Falsetto Bruno Belissimo ritorna a far ballare a manetta. Dopo più di cento date in Italia e all’estero il nostro prosegue una propria ricerca stilistica che non ha eguali concedendosi sprazzi alternativi veicolati dal suono, dalle impressioni che sentono il desiderio di uscire, dall’intrinseca visione atmosferica di procedure analogiche in loop alquanto digitale e altamente contagioso. C’è un potente marchio di fabbrica in tutto questo, c’è la profonda convinzione di aver fatto qualcosa di veramente essenziale, di veramente unico e strabiliante, ma nel contempo c’è di fondo la semplicità di una persona che attraverso impulsi sonori riesce a smuovere qualcosa dal di dentro che non ha confini. Bravo davvero. 


LIM – Higher Living (La Tempesta International/Factory Flaws)

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Evoluzioni sonore stranianti e atmosferiche involuzioni elettroniche capaci di perpetuare ad arte capacità, bellezza, incanto in una formula del tutto particolare che attraversa il lounge bar all’interno della nostra mente per calarsi nel pubblico e nella performance sempre più evidente di Sofia Gallotti in arte LIM, una musicista importante, una persona in grado di captare le esigenze disturbanti e malinconiche di un giorno qualunque trasformandolo in un qualcosa di davvero interessante, di davvero unico e imprescindibile. Dopo il successo dell’Ep Comet, il nuovo Higher Living vibra ancora di bellezza autentica e sostanza da mantenere nel tempo. All’interno di questo mini LP possiamo sentire gli echi di James Blake e dei Lali Puna, ma la concezione materica del tutto è sviluppata su più piani elettronici che rendono un’idea di composizione davvero unica e permette alla musicista di raggiungere apici introspettivi che fanno presa fin dal primo ascolto. YSK è l’apertura coinvolgente che prospetta un proseguo naturale in Rushing Guy e via via discosta e scopre nuovi mondi in pezzi come Wet Gold o Let it be per un album dove la sperimentazione è parola principale e dove l’armonia suadente prende il posto di ogni cosa.

Stella Maris – Stella Maris (La Tempesta Dischi)

Difficili da descrivere queste scintille che appaiono nel firmamento musicale come regalo di Natale anticipato e che di certo non delude, ma piuttosto illumina di infinite possibilità e attimi un bisogno essenziale di ritrovare un certo tipo di musica, un certo tipo di sostanza approdata nei meandri e dal nulla esplosa in tutta la sua conturbante bellezza. Stella Maris è una super band formata da Umberto Maria Giardini, Ugo Cappadonia, Gianluca Bartolo de Il pan del diavolo, Emanuele Alosi de La banda del pozzo e Paolo Narduzzo degli Universal Sex Arena, un gruppo che esce dagli stilemi dei singoli elementi per dare voce e vita ad un progetto interessante e sospeso tra il passato, quello degli anni ’80 degli Smiths per intenderci passando per un certo cantautorato moderno che incrocia le poesie di Benvegnù e si definisce all’interno di un disimpegno impegnato. Nonostante la cifra musicale sia spesso scanzonata i testi sono sempre legati ad un certo interesse per gli ossimori e per le prese di posizione in questa società malata. Intenzioni quindi e aria vintage proclamata che si fa sentire in una maturità di fondo esemplare capace di caratterizzare pezzi come il singolone Eleonora no, senza tralasciare canzoni come Rifletti e rimandi, Piango Pietre, Coglierti nel fatto o la parvenza di suite sonora finale Se non sai più cosa mangi, come puoi sapere cosa piangi?.  Stella Maris è un disco folgorante, strutturalmente impeccabile che insegna alle giovani leve e non solo che un certo tipo di musica è ancora possibile in questa aleatorietà disturbante.

Giovanni Succi – Con Ghiaccio (Ala Bianca/La tempesta dischi)

Poesia ammaliata di precaria presenza dove le luci della sera fanno capolino e si insinuano lentamente nelle tristezze malinconiche di un giorno che sta per venire. Ombre e passione quindi, morte incombente e aleatorietà del caso si fanno costrutti essenziali per comprendere il nuovo progetto solista di Giovanni Succi già con Bachi da pietra, Madrigali magri, La morte in un eterno divagare verso l’oscurità che si fa presenza ammaliante e possibilità di racconto, possibilità irrequieta di creare, custodire e inventare nuove forme di comunicazione caratterizzate queste da una voce importante che di certo non passa inosservata, ma anzi dona profondità al campo e altrettanti spiragli alternati da dove poter raccontare l’Italia vissuta, l’Italia piegata dai vizi e dai continui deturpamenti, tra l’abbandonato e le possibilità da cogliere, ancora, una dopo l’altra. Quel che ne esce è un disco crepuscolare, profondo e intenso, un album che non chiede, ma costruisce ricordando per certi versi le cavernose presenze di Nick Cave o Tom Waits in un’adesione demoniaca musicale inconfondibile e difficile da paragonare se non per il gusto e il bisogno di mantenersi fedele ad una linea controcorrente e di certo ispirata.

Tre allegri ragazzi morti – Inumani (La Tempesta Dischi)

Gli allegri morti son tornati, ma a dispetto del loro canonico tre perfetto, questo disco sembra un agglomerato di culture e stili differenti, un concentrato che va oltre la trilogia che si presta a concludersi; dopo infatti Primitivi del futuro e Nel giardino dei fantasmi questo Inumani porta dentro l’esigenza di segnare un passaggio importante nella loro e nella nostra storia musicale.

Undici tracce che coronano l’immaginario di Pordenone e riempiono i pezzi vuoti lasciati nel tempo, quasi fosse una degna conclusione di un percorso fatto di immagini e al contempo di fumetti, un omaggio a Jack Kirby e non solo, l’idea dominante, che caratterizza da sempre le produzioni di TARM e cioè di dare una connotazione sociale alla proposta pur sapendo di nuotare nel panorama underground.

Qui sta la sorpresa però, il sodalizio artistico maturato con Lorenzo Cherubini porta i nostri a dar voce ad entità alquanto astrali e fuori dagli standard conosciuti in pezzi come Persi nel telefono e il singolone ammiccante In questa grande città, passando per le chitarre preziose di Adriano Viterbini dei BSBE e i passaggi di Maria Antonietta, Vasco Brondi, Pietro Alessandro Alosi de Il pan del diavolo, Alex Ingram e la scrittrice Peris Alati senza dimenticare il charango di Monique Mizrahi e la tastiera di Federico Gava.

Un disco che si racconta, tra le malinconie di Ruggero e le psichedelie di Ad un passo dalla luna, un album di racconti quasi sempre al femminile, che non dimenticano la fragilità,  ma la utilizzano come esigenza primaria di completezza e solitudine da riscattare.

 

TARM e Abbey Town Jazz Orchestra – Quando eravamo swing (La Tempesta Dischi)

Prendici una scatola, bella, grande  e capiente, mettici dentro un po’ di fiati, qualche percussione e i tre allegri  molto meno rock, anzi per niente rock, ma con un piglio del tempo che fu, un piglio quasi sbarazzino, a sancire una rivoluzione nel loro modo di suonare e di intendere un genere.

Le canzoni sono sempre le solite, ma rivisitate in chiave swing, avvalendosi della Abbey Town Jazz Orchestra diretta dal pianista Bruno Cesselli e il tutto registrato in presa diretta nel teatro Arrigoni di San Vito al Tagliamento in provincia di Pordenone.

Il disco suona alquanto strano sin dalle prime battute, non aspettatevi nessuna e dico nessuna cifra stilistica che connotava, in passato, il gruppo di Pordenone, parliamo infatti di uno stravolgimento complessivo, una rotazione completa e un rimescolamento delle carte in tavola; chiamiamolo pure esperimento, che alle orecchie dei più però suona come elevato tentativo di portare al pubblico un qualcosa che non entra al primo ascolto e disorienta.

Le capacità musicali e gli arrangiamenti sono degni di nota, ma siamo sicuri che questo prodotto sia destinato a qualcuno? O sia un semplice e mero tentativo di dare spessore ad una band che non ha bisogno di questi ammiccamenti per essere al passo con i tempi?

Ai posteri l’ardua sentenza, il disco è ben confezionato e musicalmente è un ottimo prodotto, vede la partecipazione di Maria Antonietta in pezzi come Il mondo prima di Elvis e Occhi bassi serenade, di Jacob Garzia dei Mellow Mood in Puoi dirlo a tutti exotica, ma ripeto non è un disco per tutti e certamente suona un po’autocelebrativo.