Med in itali – Si scrive Med In Itali (Libellula/Audioglobe)

Med in itali è il sudore della strada rinvigorito che in questo nuovo affronta le peripezie quotidiane con uno stile ancora più marcato e incisivo, capace di affondare in divagazioni sonore che dimostrano sempre più la bravura dei musicisti, amalgamando coscienziosamente una voce che crea un tutt’uno con l’ascoltato e l’ascoltatore.

Dodici tracce ricche di partenze e durezze, ma anche di semplicità e immediatezza un giocare a rincorrere questa dicotomia che porta ad entrare di prepotenza nel loro mondo, fatto soprattutto di storie di tutti i giorni; potenza espressiva di una denuncia italiana, potenza di parole per futuri radiosi che colpiscono grazie alla presenza di Niccolò Maffei alla voce e alla chitarra, Matteo Bessone alla batteria, Dario Scopesi al basso, Nicolò Bottasso alla tromba e al violino, al flauto e tastiere Ariel Verosto, Riccardo Sala al Sax tenore, Elia Zortea al trombone e Elena Pyera Frezet alle percussioni.

Una commistione di generi quindi, si passa facilmente e con grazia sottile dal rock al folk spruzzato il tutto da jazz, funky e reggae per un’inusuale idea di cambiamento che parte dall’utilizzo delle parti musicali per rendere ancora più reale un racconto che vale l’interezza del mondo.

Cito a dovere Eroi, un pezzo sulla disillusione, avere tutto e non avere niente, pensare di possedere qualsiasi cosa tangibile che vediamo e alla fine essere eroi è solo un modo per dire io vivo, vivo in una società che fagocita denaro e io e te dove ci collochiamo? I Med in Itali questo ce lo insegnano.

Atom made earth – Morning glory (Red Sound Records)

La terra e la sua creazione fino ad arrivare alla sua apologia, un puzzle emotivo simbiotico e inverosimile che riesce a scaturire fiamma vitale per tenere accesi i cervelli, per dare una possibilità in più, per sorprendere egregiamente e per creare tassello dopo tassello un quadro onirico e quasi strampalato, mescolando ambient, con il rock psichedelico fino al prog con quelle tastiere a segnare la scena e a dare manforte ad un’impalcatura molto ben suonata e ricca di suggestioni.

Un disco cha sa di passato, ma che allo stesso tempo si tuffa nel presente, tra improvvisazioni e spontaneità mai lasciata al caso; una sottile venatura di jazz poi riesce ad intavolare un sapore internazionale al tutto, non sacrificando il composto in un genere predefinito, ma definendo il sentito a poco a poco, gusto dopo gusto, intesa dopo intesa, fino al meritato finale che abbraccia altri continenti lontani, per una musica priva di parole che non ha confini.

The black beat movement – Love Manifesto (Grande Onda)

Album ricco di sfumature e registrato egregiamente, disco che non sfigurerebbe accanto a qualsiasi e qualsivoglia produzione internazionale di rispetto, inglese eccellente e classe da regalare a migliaia di gruppi conterranei, loro sono i Black Beat Movement e dopo un anno e mezzo circa dall’uscita del loro ultimo lavoro ID-LEAKS fanno dei suoni un vestito elegante da indossare e per l’occasione il cambio d’abito dal titolo Love Manifesto è un concentrato di hip hop calato nel quotidiano , inframmezzato da soul e r’n’b con sprazzi nel jazz; si avete capito proprio bene, i nostri di larghe vedute incasellano una prova che in sé è priva di genere, ma si assiepa tranquillamente tra quelle produzioni che non devono per forza essere  etichettate, ma che vive, questo Love Manifesto, di luce propria e si alimenta attraverso la voce incisiva e suadente di Naima Faraò che per l’occasione è accompagnata dalla chitarra di Jacopo Boschi, dal basso di Luca Bologna, dalla batteria di Nico Roccamo, dal sax di Luca Specchio e dal giradischi bello scratchato di Dj Agly.

Un disco multiculturale e internazionale, con featuring di alto livello come quello di M1 voce dei Dead Prez, la voce di Raphael e quella di Tormento, tredici tracce che sono anche immagini e soprattutto pure sensazioni e vibrazioni a disegnare nel cielo, probabilmente un manifesto d’amore sperato, tra forza generatrice e qualcosa che portiamo dentro, qualcosa che nessuno al mondo ci toglierà.

Naked Truth – Avian Thug (RareNoiseRecords)

Teppisti aviari, teppisti del cielo, bande volanti che non hanno paura del vuoto, ma si lanciano come i pirati nell’aria di Miyazaki alla ricerca di uno scopo nella propria vita, di un modo diverso di vivere incanalando capacità e utilizzando le proprie risorse per dare alla luce un qualcosa di egregiamente spettacolare.

I Naked Truth sono un gruppo rock-jazz fondato dal bassista e produttore italiano Lorenzo Feliciati che in questa prova si interseca in roboanti virtuosismi con la tromba di Graham Haynes, trombettista di molti lavori di Bill Laswell, al pianoforte e all’organo di Roy Powell, prima figura degli InterStatic per passare alla batteria di Pat Mastelotto già con King Crimson e Stickmen.

Insieme compongono una band sperimentale che partendo dal jazz si apre ad incursioni rock di pregevole fattura, facendo della forma poesia un loro cavallo di battaglia, utilizzando quella capacità intrinseca di un gruppo affiatato di generare suoni che si propagano nell’aria dando forza e sostanza alle produzioni che verranno.

Un disco fatto di note si, un disco fatto anche per la ricerca, una band che si intromette con eleganza nel panorama mondiale, dando non solo una lezione di vita, ma anche un vero e proprio compendio per la sperimentazione che verrà.

Attribution – Why Not (Autoproduzione)

Trio immediato, sfrontato e lisergico quanto basta per riportare alla ribalta un genere che trova poco spazio, affondando le radici niente meno che nella psichedelia anni’70 e integrando il tutto da sferzate di blues, un po’ di prog rock e la ricerca inevitabile verso il rock d’oltreoceano che ribalta le consuetudini e ridona vigore e speranza ad un sapere che si tramanda per decenni.

Gli Attribution vengono da Bergamo e costruiscono attorno a loro un mondo fatto di acidità ridondante, di chitarre alla Jack White soprattutto in Woman che affrontano il blues per rigettarlo a noi ascoltatori in modo diretto e quasi evocativo, un disco che ci accompagna nella scoperta di nuovi orizzonti pronti ad esplodere.

Sono dieci pezzi in tutto, dieci pezzi accompagnati da una voce che rende l’idea dei bassi fondi da dove il tutto parte e che poi inesorabilmente si ritrova a fare i conti con la capacità da grande palcoscenico, cornice perfetta per l’ascolto e per l’apertura di gruppi che hanno fatto la storia come Billy Cobham, Kee Marcello e i più giovani Bud Spencer Blues Explosion.

Proprio di esplosioni parliamo quindi, esplosioni che si intersecano e si fanno portatrici di un suono divincolato e sopraffino, perfetto e pronto a generare alchimia leggendaria, quella che resta, con piglio provocatorio, con fare disinvolto, con quella capacità di essere unici, mantenendo una forte componente di originalità e attesa, improvvisazione jazz e mondi da scoprire, caratteristiche tipiche di chi la musica la vive dentro di sé senza chiedersi nulla.

L’Arcano & The Micro B Orchestra – Dentro il baule (Irma Records/Mandibola Records)

E’ un riscoprirsi bambini, attimi di gioia nel vedere spuntare fuori da quel baule in soffitta oggetti che lasciano il presente per atterrare nei ricordi in modo del tutto naturale, come fosse alchimia pura raggiunta, uno strappo all’età adulta per tornare piccoli e felici.

Prendere poi tutti quegli oggetti e condividerli con gli altri, un tesoro per un tesoro, un lasciarsi trasportare da ciò che più ci appartiene per creare un tutt’uno con la persona che li riceverà.

Ecco allora che L’Arcano e i Micro B Orchestra si concedono il lusso di farci fare un tuffo nel passato più lontano, quando ancora l’innocenza ci prendeva in un raffinato disincanto, tra sapori d’altri tempi e voglia di provare e sperimentare.

I nostri raccolgono tutta questa eredità per contaminare il loro suono prettamente hip hop con spruzzate di jazz e incursioni dal suono vintage per proporre un’inconsueta formula che suona innovativa e alternativa al già sentito.

Sentirsi trasportati sulla scia dei ricordi, che accomunano Luca Kato Caminiti, Francesco L’Arcano Bonanni, Andrea Ras Mancuso e Hugo Foktu Hannoun è come prendere la DeLorean rispolverata e precipitarsi tra i sassi di una ferrovia, tra le fontane non ancora arrugginite; è un scavare nelle profondità della coscienza per riscoprire un bambino abbandonato, il Disarm di Billy Corgan e compagni, quell’altalena trasportata dal vento fino al calar della sera.

Un disco anomalo, ma che ci inorgoglisce, ci inorgoglisce perché ha saputo utilizzare una forte capacità personale per dare senso maggiore ad un genere che in Italia stenta a decollare, un album che scava nella memoria, nel beat concitato, nella sostanza di cui siamo fatti, pronti a gettare le basi per un qualcosa di nuovo pronto al cambiamento.

 

Piano Che Piove – In viaggio con Alice (Autoproduzione)

Tutto calibrato pesato e soppesato, un viaggio chiamato amore direi io, parafrasando il nostro Campana, un percorso introspettivo sospeso tra la quiete del tenero inverno, accarezzando melodie autunnali, in quieto divenire, forse punto di partenza per nuove strade e nuove esperienze.

In viaggio con Alice racconta la storia, una storia, quella di Alice, che potremmo essere proprio noi, una poesia in musica fatta di fotografie in lontananza sbiadite dal tempo e consumate dagli attimi di amore verso ciò che si fa, l’eterna incostanza della vita che, racchiusa da un petalo di un fiore, dona quell’attimo da cogliere giorno dopo giorno.

Melodie ritmate da sprazzi di bossa nova e jazz palpando il blues con mano e toccando vertici di altissima concretezza tra Patrizia Laquidara e Sylvia Telles in momenti di soffice meraviglia vissuta.

Questi sono i Piano Che Piove e contagiati dal cantautorato italiano dei ’70 si concedono in una prova ricca di sfumature dove a farla da padrone sono spazzole di batteria, chitarre in arpeggio e un contrabbasso pieno ma mai invadente.

Un disco da ascoltare in auto, rilassati, tra i sedili di un’eterna Primavera che stenta ad arrivare.

Priscilla Bei – Una Storia vera (Autoproduzione)

Entrare in punta di piedi in un mondo delicato, fatto di piccole cose che si trasformano in sostanza, in energia da poter vincolare, ma allo stesso tempo in passi da incidere in un incedere della vita che non sempre risulta dolce e sincero, ma si porta appresso le vicissitudini, le ansie e gli abbandoni, gli stretti contatti persi in un giorno quieto d’autunno.

Priscilla Bei regala un album di cartapesta, un album aperto alla vita dal colore cartone, pastelli da appendere sul filo dei ricordi a ricomporre un viaggio dentro al passato, alla memoria che appartiene a tutti Noi, un cammino fatto di sogni, conquiste e paure.

Il passare delle stagioni in queste cinque canzoni è scandito da acquarelli leggeri che riempiono, lasciando qua e la sprazzi di luce bianca.

La voce delicata si sposa perfettamente al pop jazz sopraffino fino a condurci alla creazione di una musica che non è semplice intrattenimento, ma che richiude in se una variegata miscela di colori che si sposa bene con il suono creato da Giacomo Ronconi alla chitarra, Nicola Ronconi al contrabbasso, Antonio Vitali alla tromba e Daniele Leucci alle percussioni.

Un disco che denota classe, un pizzico di follia e tante buone intenzioni, una storia che potrebbe essere tranquillamente la nostra, una storia da raccontare, Una Storia Vera.

Amana Melomé – Lock and Key (Tiwax Music)

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Indossate un abito elegante, da sera, possibilmente scuro e suadente, per immergervi in una stanza poco più alta di due metri e mezzo dove poter intravedere le luci soffuse di un candelabro colante lacrime di pioggia che amorevolmente scaldano, abbracciano, ti accolgono.

Questa è la musica di Amana  Melomé cantautrice caraibica/americana nata in Germania che ha perfezionato la sua tecnica in tutto il mondo, dando vita ad un soul con venature jazz impreziosito da una voce che regala emozioni e rende il viaggio, lungo i 5 brani che compongono l’ep, un percorso, obbligato, fatto di sogni onirici e orchestrazioni spettacolari.

Brani che partono nell’introspezione aprendosi ariosi e dove i fiati si integrano in modo eccellente creando giochi di rimando  e materializzazioni sonore osando su territori in continua esplorazione.

Una voce che riscalda quindi e che ti accompagna a conoscere il suo mondo, ti accompagna a spiccare il volo, come nell’immobilità sonora di Icarus, traccia di chiusura per palati sopraffini in virate di free jazz discostante, ma incanalato da una precisa guida, a chiudere un disco fatto di suoni che scaldano l’anima.

Melt Yourself Down – Melt Yourself Down (Leaf)

meltyourselfFusione ritmata e incalzante di generi spaziali, per gli inglesi Melt yourself down, che si scontrano su di una direttiva di pura improvvisazione lasciando a casa orpelli troppo eleganti e facce tristi da colazioni andate a male.

I melt yourself down nell’album omonimo fondono un qualcosa di mai sentito prima, sax ruvidi, batterie senza tempo e voci che si sovrappongono meditando uno scoppio profondo di viscere intestinali.

Claustrofobici e dirompenti passano con facilità da suoni rock al free jazz sottolineando la matrice sperimentale che li contraddistingue in mezzo a tanti altri gruppi.

L’elettronica è campionata e rende l’idea di un’onda pronta a spazzare via qualsiasi cosa che le si propone davanti.

8 tracce con il respiro alla gola, 8 tracce che sembrano tutte uguali, anche se dopo l’ascolto quelli diversi siamo noi.

Per saperne di più

http://meltyourselfdown.com/

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