Murubutu – L’uomo che viaggiava nel vento e altre racconti di brezze e correnti (IRMA Records/Mandibola Records)

Il vento che ci porta lontano e ci attrae alle colline in penombra del crepuscolo, diligentemente nascoste dal buio arrivato, un vento che si fa viaggiatore, incontra, ricorda e racconta, alza nel cielo le impressioni di una vita che vorrebbe essere diversa e ci conduce, tendendoci la mano, attraverso la risacca del mare, inoltrando onde verso una poesia millenaria che non conosce confini e non conosce barriere, si alza, si stende, si consuma e procede, senza guardarsi indietro, seguendo il corso delle cose.

Murubutu, al quarto lavoro, continua a sorprendere, grazie ad una poesia mescolata al rap e alla letteratura, una poesia che scava negli abissi di un mondo in evoluzione, una poesia che si concentra nella scalata grazie ad appigli sicuri che si chiamano Hesse, Rigoni Stern, Biamonti, incontri letterari per un connubio dal sapore d’altri tempi, ma contemporaneamente sovrapposto al sentire di oggi, al pensiero comune, in un modo alquanto originale di entrare a pieno titolo nel mondo del racconto d’autore, un modo diverso di respirare la stessa aria, un modo diverso di essere se stessi, andando oltre.

Il disco è una perfezione assoluta e commovente, da un po’ non respiravamo così tanta poesia, tra gli abbagli della vita moderna e chi lotta ogni giorno per dire qualcosa di diverso, Murubutu è tornato e la sua luce è un continuo rigenerarsi di forme e di colori, di sostanza vitale che raccoglie l’eredità del tempo e con fame di bellezza esplode trasportata da quel vento, di cui tanto si è parlato e di cui tanto è rimasto.

Picciotto – Storyborderline (Mandibola/Irma Records)

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Picciotto sembra quasi un De Andrè Post-Moderno, paragone azzardato, ma nella sostanza pura e semplice il nostro ha dato vita, con la sua Storyborderline, ad un concept album sugli emarginati, scrivendo canzoni legate da un filo immaginario, tra le cadute di ogni giorno e il riscatto, un’opera che contenutisticamente si avvicina a Non al denaro non all’amore né al cielo del compianto cantautore genovese e si presta ad essere emblema essenziale per un genere che sconfina e riporta alla realtà, quella dura e cruda, il nostro pensiero onirico, schiaffandoci in faccia, con parole taglienti, il bisogno di essere diversi, di lottare, di conquistare a tutti i costi, senza demordere, i nostri sogni; un’essenza che viene bene rappresentata da dodici storie di vita ai margini, dodici storie che si fanno devianze capaci di disegnare il confine sottile che ci può portare ad essere schiavi dei nostri tormenti interiori, la paura di dover affrontare la vita e soprattutto la paura di non essere in grado di guardare in faccia la realtà; ecco allora che i protagonisti si fanno reali, tra industrie farmaceutiche, il gioco d’azzardo e la cocaina, il sesso che si fa mercato e le coppie di fatto, tra le morti sul lavoro e la difesa della propria integrità, del proprio essere fino in fondo, nella totalità del proprio sentirsi vivo Picciotto riesce nuovamente, dopo decenni, a dare voce a chi voce non ha.

Mi sento Indie – Cortex/Crude Diamonds/Juredurè/May Gray (IRMA Records, RadioCoop, MEI)


Nella miriade di produzioni nazionali c’è un gruppo, un insieme di etichette che tenta quotidianamente di dare voce a band che si muovono nell’underground, ma che hanno tutte le carte in regola per emergere dall’oceano di musica quotidiano per farsi conoscere in un’espressione musicale che va ben oltre l’idea comune del disco lasciato in balia del tempo che verrà.

Mi sento Indie è prima di tutto un pensiero rivolto ai giovani con talento che sperimentano nel loro genere una nuova via di fuga dalla realtà, stratificando pezzi che senza l’aiuto di Radio Coop, IRMA records e il MEI resterebbero relegate poco più che in un cassetto o fatte sentire solo a nicchie precostituite.

Un progetto che pian piano sta riscontrando successo, anche per l’innovazione della proposta, in quanto i dischi prodotti sono dei piccoli EP formati da cinque pezzi , estratti da album già stampati e che hanno per comune denominatore un packaging uguale in sostanza, tranne che per il contenuto sonoro.

Dopo la pubblicazione a Dicembre degli EP di Remida, Mud, Carpa Koi e Wolther goes stranger, ora in Aprile usciranno le produzioni di Cortex, Crude Diamonds, Juredurè e May Gray.

Enrico Cortellino in arte Cortex è un cantautore atipico che attraverso refrain di effetto notevole regala emozioni radiofoniche senza essere banale, in testi ricercati e possedendo una capacità di scrittura importante ricevendo tra gli altri il premio MEI 2014 come miglior artista emergente dell’anno.

I Crude Diamonds invece fanno del rock il loro marchio di fabbrica, un suono spigoloso che passa dall’iniziale cantato in inglese della carriera per approdare ad un italiano che ben si lega strutturalmente alle canzoni presenti nell’album, un miscuglio di lingue dal puro effetto concentrico e deciso.

Con gli Juredurè si approda nel mondo della commistione di generi, nella etno patchanka, dove a legare in primis sono i significati che spaziano i confini per come li conosciamo e intensificano, grazie alla musica, i rapporti tra le culture del mediterraneo; una band già conosciuta per la colonna sonora di Il volo di Win Wenders.

Ultimi, ma non meno importanti, troviamo i May Gray, già presenti con il loro Londra nelle pagine di Indiepercui, caratterizzati da un post grunge che incrocia le sonorità californiane in un cantato multi sfaccettato e ricco di sfumature, un disco sul viaggio e sui viaggiatori di domani.

Quattro dischi che sono la volontà di dare un senso mirato al futuro, costruendo giorno dopo giorno qualcosa di nuovo e di importante.


 

Les Jeux sont funk – Erasing rock (Irma Records)

Musica contaminata dai colori dell’arcobaleno e della neve, in un groviglio esistenziale pronto a sdoganare il rock vecchia maniera per far si che la ricerca sia da stimolo vitale ed essenziale nella trasposizione meticolosa dei suoni e delle ragioni che spingono a creare melodie di una bellezza non di certo rarefatta, ma ostinata, per una prova dal sapore moderno e soprattutto internazionale capace, attraverso un gioco di parole sin dal nome del gruppo, di sradicare le convinzioni del passato per creare un sodalizio tra elettronica e funk, tra strumentale e composizioni lunari che vanno oltre il già sentito, tra echi di St. Vincent passando per Daft Punk e Funkadelic in un Groove deciso e di spessore, una eco continua di rimandi al passato con orecchio proteso al futuro, capace di segnare, in modo indelebile, una strada poco battuta in Italia e in grado di trasformare un’esigenza in qualcosa di più ampio respiro.

Heathens – Alpha (IRMA Records)

Disco oscuro e ottenebrato, onirico e richiedente spazi dove poter essere analizzato tra le vertigini e le necessità di una costanza che riempie il pentagramma e lo fa con beat elettronici, lo fa con tanta classe e una voce che riesce subito nell’intento di farti partecipe di un qualcosa di più grande, vissuto e sentito, quel qualcosa che scava nelle profondità e riesce nell’intento di dare inizio alla scoperta del pensiero critico, al pensiero privo di dogmi, esorcizzando l’abuso dei mass media come internet, troppo conclamati per essere ancora piazza di scambio di opinioni ragionate.

A livello musicale c’è una riscoperta dei Radiohead e dei Massive Attack su tutti, passando per aspirazioni trip hop alla Tricky e un gusto per le rappresentazioni visive di Von Trier di The Kingdom e le allucinazioni di Lynch di Strade perdute.

Ecco allora che la perdita si fa complemento per la riuscita di questo disco, la perdita come punto di partenza e tutti quegli uomini in cerchio a rincorrersi senza alzare la testa, senza essere se stessi sono parti di questa società malata.

Prodotto e registrato da Tommaso Mantelli il disco vede la partecipazione di Nicola Manzan, Anna Carazzai e George Koulermos; un album che ha come unico scopo quello di farci vedere la luce in un mondo così grigio.

Cosimo Morleo – Ultreya (Irma Records/Contro Records)

Cosimo Morleo ha classe da vendere, è un delicato cantastorie marino che sa di tempo perduto, quel colore che si può investigare solo con le tenebre che avanzano ed è un continuo rispecchiarsi dei giorni sui giorni, del tempo, sul tempo, un’energia soppesata che spiazza e commuove tanto grandi possono essere le sue canzoni con arrangiamenti alla Antony Hegarty e un gusto per il romanticismo non mieloso che travalica qualsivoglia forma di poesia.

Questa è arte con la A maiuscola, è un continuo rinfrangersi di onde che raccontano paradisi e tempi perduti, una voce in primo piano che fa risaltare strumenti poderosi e perfetti nella loro intensità, un’intensità che non si spegne, non si affievolisce, ma divampa, tra la sorprendente e nordica Kavafis fino a quella Leave the boy alone cantata con Maddalena Bianchi che per l’occasione è anche al piano, struggente, intensa e sentita.

Un disco sulle destinazioni da raggiungere, un disco per anime inquiete e soprattutto un disco di poesie, quelle abbandonate in questi anni, quelle nascoste nel cassetto della scrivania a chiave, quelle sudate e cantate, con un occhio al presente e l’altro a contemplare la bellezza del passato, laggiù in fondo, sopra il mare.

May Gray – Londra (IRMA Records)

Rock sognante che si staglia oltre la  barriera del suolo e si concede spazi di comprensione e abbandono cercando una propria via da capire, comprendere e imparare, ricevendo l’eredità degli anni ’90 del post grunge e dell’alternative di gruppi come Foo Fighters su tutti per creare un mood originale, abbandonando l’inglese come lingua, miraggio sonoro per numerosi gruppi e approdando all’italiano con uno stile ammiccante, ma personale, proprio di quei gruppi che si ritrovano a trent’anni alla ricerca di una propria via da seguire.

Le valigie sono pronte e con loro anche la voglia di andare, di partire,  di assicurarsi un posto migliore, venerando un modo diverso di comprendere e di comprendersi, la valigia carica di aspirazioni, per un domani migliore, il cammino, il tempo che ci separa da una meta, cantano in 1000 miglia, una rivincita ci vuole sempre, contro il mondo, contro la nostra oppressione e poi via via la vita di strada Mendicante, l’essere straniero in terra straniera e capire che a Londra forse non tutto è oro, non tutto è ciò che appare, ma la ricerca costante di un posto migliore deve partire da dentro di Noi.

Un disco per il viaggio, che tutti prima di partire dovremmo fare nostro, una dirompente salita verso una terra lontana, che vorrebbe essere nostra anche senza sudare, senza sapere che in fondo il desiderio di appartenere a qualcosa è insito in noi, sotto lo stesso cielo, calpestando la stessa terra.

 

 

L’Arcano & The Micro B Orchestra – Dentro il baule (Irma Records/Mandibola Records)

E’ un riscoprirsi bambini, attimi di gioia nel vedere spuntare fuori da quel baule in soffitta oggetti che lasciano il presente per atterrare nei ricordi in modo del tutto naturale, come fosse alchimia pura raggiunta, uno strappo all’età adulta per tornare piccoli e felici.

Prendere poi tutti quegli oggetti e condividerli con gli altri, un tesoro per un tesoro, un lasciarsi trasportare da ciò che più ci appartiene per creare un tutt’uno con la persona che li riceverà.

Ecco allora che L’Arcano e i Micro B Orchestra si concedono il lusso di farci fare un tuffo nel passato più lontano, quando ancora l’innocenza ci prendeva in un raffinato disincanto, tra sapori d’altri tempi e voglia di provare e sperimentare.

I nostri raccolgono tutta questa eredità per contaminare il loro suono prettamente hip hop con spruzzate di jazz e incursioni dal suono vintage per proporre un’inconsueta formula che suona innovativa e alternativa al già sentito.

Sentirsi trasportati sulla scia dei ricordi, che accomunano Luca Kato Caminiti, Francesco L’Arcano Bonanni, Andrea Ras Mancuso e Hugo Foktu Hannoun è come prendere la DeLorean rispolverata e precipitarsi tra i sassi di una ferrovia, tra le fontane non ancora arrugginite; è un scavare nelle profondità della coscienza per riscoprire un bambino abbandonato, il Disarm di Billy Corgan e compagni, quell’altalena trasportata dal vento fino al calar della sera.

Un disco anomalo, ma che ci inorgoglisce, ci inorgoglisce perché ha saputo utilizzare una forte capacità personale per dare senso maggiore ad un genere che in Italia stenta a decollare, un album che scava nella memoria, nel beat concitato, nella sostanza di cui siamo fatti, pronti a gettare le basi per un qualcosa di nuovo pronto al cambiamento.

 

Sophie Lilienne – The Fragile Idea (Irma Records)

Sophie Lilienne è Il VeZzo e il VeZzo è Sophie Lilienne.

Marco Vezzonato viene da Venezia ed è uno sperimentatore di trip hop sonoro, mescolato all’elettronica d’avanguardia e a sonorità ultraterrene da terra di mare smerigliata e lucidata a dovere per sembrare ancora più bella.

The Fragile Idea racconta una storia, fatta di pensieri fragili, dentro la nostra testa, chiusi dal sacchetto della speranza che non ci da la possibilità di creare, di intraprendere quel viaggio necessario per la nostra totale compiutezza.

The Fragile Idea è anche la colonna sonora di un film che parla di Noi, di come ci muoviamo e di come tentiamo di comprendere il destino, ma che in realtà, proprio il destino stesso ci obbliga ad essere formiche rispettose e stabilizzate in tempi da rispettare, ma che non sono i nostri, relegati a regole già scritte da altri, ma che non sono nostre.

Questo disco è un ‘esperienza uditiva e dal vivo si trasforma anche in esperienza visiva, concentrando sonorità su immagini e immagini su sonorità; artefatti della vita e della morte dove in mezzo ci siamo noi con il nostro vivere quotidiano, innescato da qualche attimo di gioia o da qualche buon disco come questo.

Fragile Idea è colonna sonora essenziale ed esistenziale, dove i protagonisti sono gli umani, alle prese con la loro quotidiana innocenza.

Modern Foca – Mi conosco dalla nascita (Irma Records)

Per ascoltare i Modern Foca devi immergerti completamente in un’atmosfera elettro pop colma e ricolma di sintetizzatori e basi sonore campionate a dismisura per ricreare sciogli lingua d’avanguardia, conditi da una dimestichezza con l’uso del vocabolario ad intessere strade di vita e vita nella strada.

Ai Modern Foca piace prendersi in giro e soprattutto inventarsi in ogni momento, quasi fosse una sfida da vincere e da cui trarre pensieri positivi e colorati per il domani.

Mi conosco dalla nascita suona come un disco dei Tiromancino velocizzato dieci volte, con incursioni del primo Tiziano Ferro, meno commerciale e più indipendente nei confronti di tutto e tutti a partire dai testi.

I nostri paladini combattono il futuro e lo fanno a suono di rime e ritornelli che restano impressi e con difficoltà scivolano via, Caparezza che incontra l’ironia di Elio condita da sprazzi di veridicità e sostanza.

Un disco che si ama al primo ascolto e che ti fa gettare i pensieri fuori dal finestrino senza inquinare.