A Violet Pine – Girl (Seahorse Recording)

Alchimia pura ricondotta al fascino post rock e trip hop, essenziale quanto basta per ingannare l’ascoltatore e uscendo da stereotipi che ad un primo ascolto li potrebbero paragonare a Thom Yorke e co. e ad Air su tutti.

Ricchi di melodie ultraterrene invece i Violet Pine, a dispetto di una copertina provocatoria, si lasciano andare alle morbidezze dell’elettronica, un’elettronica qui che si fa preponderante su tutte le scelte stilistiche a parte qualche traccia, più intimista e condizionata da suoni più acustici.

Un disco ricco di vibrazioni e soprattutto d’atmosfera che regala un incedere sincopato che corteggia e racchiude dei piccoli diamanti quasi colpevoli di possedere una bellezza sfavillante.

Ascoltate l’iniziale Pathetic tanto per credere o la scintilla sonora in Even if it rains, passando per le sospensioni sonore di Family o di 25 mg of happiness.

Arrivano poi le suadenti ballate Sam e Fragile a sancire una fine sincera e costruita, quasi irreale, con Pop song for nice people.

Dentro al mare si rialzano corpi pronti a ripartire dopo lunghi affanni, quasi un’esperienza onirica che Nolan vorrebbe raccontare, al momento ci accontentiamo di musica per le nostre orecchie che si fa viva più che mai nel trascorrere del tempo.

gaLoni – Troppo bassi per i podi (29 Records)

untitledEmanuele Galoni è un cantautore atipico a cui piace sperimentare suoni, strumenti e arrangiamenti che in qualche modo si legano al passato guardando al futuro.

Instabilità non gridata, ma celata da quel procedere a tentoni all’interno di una città che ti inghiottisce, che prende tutto il meglio di te per trasformarlo in un qualcosa di indefinito senza occhi per vedere e cuore per sentire.

Un circolo di conseguenze che si snoda tra piano e chitarra, accenni di indie pop  toccanti quanto basta per lasciare spazio a melodie più acustiche e d’atmosfera prendendo il tempo e trasformandolo in perle da coltivare e lucidare, trasformandolo in oro colante che si rende corona per il nuovo re che verrà.

Una dolcezza disarmante quella che si snoda lungo le 11 tracce, un amore in distruzione, che si ascolta tra i testi strampalati e strappalacrime del singolo di debutto “Carta da parati”.

Una corsa a perdifiato lungo l’intimismo e la vita di molti di noi che diventano ricchi e poveri in un batter di ciglio; quella ricchezza di sentimenti che si rischia facilmente di perdere in un mondo dove le relazioni non esistono più.

Ecco allora che Emanuele lungo tutto il disco ricuce ciò che non esiste, trasformandolo in una meraviglia da indossare e portare nella rigidità dell’inverno e nella leggerezza dell’estate.

Lou Tapage – Finistere (LT Records)

Odore di brina e di foglie verdi smeraldo, distese di montagna e altipiani contagiosi dove prendere casa e lasciarsi cullare dal tepore dell’estate o dal camino di un dolce inverno.

Lou Tapage è sassi che hanno fatto il tempo, sassi che hanno fatto strade e case e che sono lì ferme a ricordare che le generazioni del futuro devono imparare molto dal passato.

Quasi un quadro vagante questo “Finisterre” del gruppo Piemontese, che incrocia folk al rock, il celtico delle tradizioni all’innovazione sonora.

Una band che consegna a Noi un disco che conserva gelosamente una lingua, l’occitano, in alcune canzoni e dall’altra una mescolanza di passione che viene dal cuore e si espirime nella leggerezza di ballate cantautorali e storie che fanno di ogni giorno una nuova storia da poter raccontare.

Debitori di un suono legato a gruppi come MCR e Casa del Vento, si contraddistinguono da questi per testi meno combat folk, ma legati maggiormente alla narrazione di vicende come in “L’uomo in nero”, “Nice” o nel racconto del cambio delle stagioni che si fa realtà in”Com la brancha de l’albespi”.

Un disco fatto per il viaggio, dove poter avere un strada lunga e infinita davanti da percorrere con la musica dentro, capace di ricreare luoghi e personaggi di un tempo lontano.

Droning Maud – Our Secret Code (Seahorse recordings)

E’ un album completo,  ricco di divagazioni post-rock di puro stampo arioso con interventi elettronici da far aizzare anche il più distratto degli ascoltatori.

Quello dei Droning Maud è un droning-maud-musica-streaming-our-secret-codedisco che lascia il segno sotto numerosi punti di vista.

Il concetto dominante, l’idea di fondo, è una cavalcata continua di sapori rock contaminati dalla musica che prende iniziativa di un suono carico di riverberi e atmosfere.

Già dal nome del produttore del disco, Amaury Cambuzat, il lavoro non può che prendere determinate vie legate alla sperimentazione e alla sorpresa sonora.

In “Our Secret Code” si ascoltano Mars Volta, Radiohead, gli italiani Giardini di Mirò tanto per citarne alcuni; trovano spazio, inoltre, interventi vocali degni del miglior Aaron Lewis creando  quel concentrarsi di suoni, difficile da concepire, tanto la trama si rende fitta ad ogni ascolto.

“Sun Jar” apre le fila con cadenzato battere delicato, poi “Ghost” fantasma svanito nel mare che raccorda la meravigliosa “Nimbus” fatta di stelle e arpeggi.

L’altro spunto degno di nota si trova nella corale “Now it fades now it’s gone” e cosa possiamo dire della retrograda “Led lights” che guarda al passato con una mano aperta al futuro?

“The great divide” apre alla finale di contrappunto stilistico “Oh Lord!” dove la scelta è definizione di resa e perdono.

Questi 4 laziali sanno che cosa vogliono dimostrandolo con questo album, che si discosta dai precedenti ep, sia nel campo estetico e di suono che in quello dei contenuti; una prova dal sapore onirico capace di creare quel giusto appeal in tutte e 10 le tracce, portando noi umani a carpire divagazioni mentali con un occhio teso al passato e una linea d’attacco diretta al futuro. Notevoli.