La fine di settembre – La fine di settembre (Dreaming Gorilla Records)

La fine di Settembre è una band che ha tutte le carte in regola per fare della musica una passione che va ben oltre l’etimologia del termine, configurandosi tra le migliori proposte che la scena indie italiana di genere può donare in questo periodo.

I testi sono in italiano e questo è un punto che gioca a favore di questi ragazzi che imprigionano energia viscerale ad ogni singola nota, ad ogni singolo accordo.

Le influenze ci sono e si sentono, affondando le radici nel grunge dei primi ’90, anche se i nostri sono capaci di intersezioni lunari e capacità che non sono di tutti di far propria una corrente per scardinarla e cercare una via più personale da seguire.

I nostri in questo se la cavano molto bene e riescono a regalare lungo le 5 tracce un viaggio di sola andata verso sonorità distorte quanto basta per far tremare la terra dove siamo appoggiati.

Si discostano da questo insieme pezzi come Polvere e Inafferrabile, in cui il gridato diventa più più pulito, regalando matrici di sogni adolescenziali da far uscire dal cassetto per trasformare ciò che può essere melodia in qualcosa di più personale e concreto.

Auspichiamo che questo loro sogno si trasformi in un full-length, lontano da categorizzazioni di genere e con un occhio che guarda verso il futuro.

Madaus – La macchina del tempo (Autoproduzione)

Parlare di capolavoro succede poche volte qui su IndiePerCui, anche perchè altrimenti vivremo in una bellezza accecante dalla quale non potremmo uscirne.

I Madaus rientrano in uno di quei gruppi che solo attraverso poche note iniziali fanno comprendere le loro capacità e la loro poliedricità nello spaziare con facilità da un genere ad un altro senza la minima fatica o pesantezza.

“La macchina del tempo” è un disco carico di fascino vintage, nonostante questo termine sia super abusato in questi anni, è un disco che brilla di luce propria, semplice, ma allo stesso tempo bellissimo.

Un concentrato di blues, bossanova e cantautorato in primis in cui le tenebre sono spazzate via da una voce elegante e mai gridata, che entra in punta di piedi e ci copre fino a renderci partecipi di un calore nuovo e inusuale.

Un’insieme di ballate introspettive che guardano agli ultimi con la speranza che il dovere non sia solo parola al vento, ma punto di partenza per costruire un diverso futuro.

Canzone emblema sicuramente la title track, ispirata dai graffiti che Oreste Nannetti, degente del manicomio di Volterra, incise sulle mura del padiglione dove viveva.

Un disco che sicuramente li renderà protagonisti di questa annata, dopo aver vinto il Premio Ciampi e gli inviti al Tenco e al premio De Andrè, i Madaus si ritirano con eleganza nelle loro storie, storie di tutti i giorni dove i protagonisti sono persone comuni, che cercano con umiltà il loro spazio di vita.

Alberto Mancinelli – Lucine intermittenti (Autoproduzione)

Alberto Mancial03nelli è un cantautore blues con spiccato stile vintage tanto da entrare con la sua voce roca e impostata nel limbo dei tenebrosi;  il tutto è condito da situazioni semplici: un basso, una batteria, un’acustica e un’elettrica con sprazzi molto old-west.

Il siciliano trapiantato a Padova registra, dopo numerose situazioni con gruppi più o meno noti, queste 7 tracce in un ep più ricco rispetto all’originale “Lucine intermittenti” formato all’inizio soltanto da 4 canzoni.

In se l’album è una reprise, un aggiornare pezzi della memoria, dei suoi vissuti, un diario quasi intimo e bucolico dove all’interno vivono gli spettri di un passato che per Alberto sono mostri da esorcizzare contro il comune cliché.

Ecco allora che le canzoni da stuzzichini vengono disintegrate da bellissimi interventi in “Chiedi” o come nella luce colante di “Corsia d’emergenza” o nella dolce “Formalità” in cui occupare spazi differenti ti porta a proseguire su linee parallele.

Altro pezzo degno di nota “I furbi” che ricorda il Gaetano crotonese che rilascia divagazioni eteree mentre la chiusura è affidata alla kuntziana centrale elettrica “Dolce venere dell’etere”.

Un demo veramente ben fatto che apre le porte ad un cantautorato che riesce con egregia maestria a spazziare tra vari generi e con estrema facilità incanalare un pensiero non sempre chiaro e che affonda radici nel substrato culturale italiano.

Una prova matura questa,  conseguenza di un modo di intendere la vita fuori dagli schemi imposti quotidianamente.