Psychopathic Romantics – Psychopathic Romantics (Autoproduzione)

Canzoni che ti entrano dentro  e non fuggono più, canzoni che non si fanno sfuggire, anzi ricompongono quegli attimi vissuti, pieni, disinvolti e senza pensieri, quegli attimi che ti ricordi per sempre e che a fatica riesci a sostituire con qualcosa di migliore con qualcosa di più tangibile.

I Psychopathic romantics si concedono il lusso di regalarci 7 tracce che compongono il loro nuovo ep caratterizzato da incroci sonori con Coldplay e Snow Patrol su tutti ammiccando a quella formula westeriana tanto cara al Morricone nazionale e facendo di questo omonimo un piccolo gioiello lasciato  fluttuare nelle onde del tempo.

Sono canzoni vere, sincere, che lasciano un senso di leggero smarrimento e perdizione riportando però facilmente il tutto ad una calma felice e meditativa, ad una pace dei sensi che sa di corallo nel fondale del mare.

It’s all for you scarnifica e rimanda all’essenza fino a Thank you, un ringraziamento per la vita passata assieme, per i momenti regalati e quelli ancora da dare, quasi fosse la colonna sonora della vita di ognuno di noi.

 

Wu Ming Contingent – Bioscop (Woodworm)

Ci sta l’abbandono e la crisi generazionale che investe il proletario succube del potere.

Ci sta una mossa che ne vale almeno cinque in quanto pretende di essere quello che effettivamente è veramente.

Ci stanno i Wu Ming Contingent che snocciolano canzoni come fossero attimi di incorposa e sinuosa crudeltà verso un mondo polverso fatto di strade tra alti palazzi dove il fumo si alza in cielo nascondendo il reale, il vero e tutto ciò che può sembrare tale.

Un gridato che abbraccia la new wave e il post rock and roll toccando Lindo Ferretti quando ancora aveva qualcosa da dire e quando ancora il sudario era un pezzo di straccio pieno zeppo di pioggia dopo una performance da urlo.

I nostri scarnificano la massa e dicono che così il mondo non va bene, non funziona e si intravedono spiragli di luce solo nel seguire una determinata via racchiusa da confini immaginari.

Vapore e nuovole stridenti che si ascoltano in pezzi come Soladato Manning o in Italia mistero kosmiko lasciando tracce di lati B in Dio Vulcano! e Socrates.

Un disco di protesta e congiunzione, di rabbia e ricongiungimento verso un orizzonte che stenta ad arrivare, verso un’alba ancora priva di colore; per fortuna ci sono gruppi come i Wu Ming Contingent ad illuminare la via e a dare un senso a tutto questo.

Ox – When things come easy (Autoproduzione)

Cantautore di matrice rock che regala pulsioni indefinibili e sensazionali, dove l’incrocio tra classic folk e indie si fa essenziale ricreando un’atmosfera old style ricca di quegli elementi noti alla canzone d’autore del nord America e che si fa viva più che mai nell’ incedere dei ben 13 brani presenti nel full length di OX: When thing come easy.

Un cantautore solitario questo che si perde nel deserto, un disco per chi è in continuo movimento, tra lande desolate e fuochi che si accendono lungo l’incedere del percorso, fuochi che non sono altro che ricordi che pian piano riaffiorano dalla nostra memoria.

Ecco allora che la musica ti avvolge, ti deforma, ti scompone per poi dominarti e ricreare quel tutt’uno di pura complessità che si espone nel marasma della vita umana quale richiamo ad un ritorno allo stato di natura da dove tutti noi veniamo.

Un disco affascinante e ricco di storie da raccontare, una clessidra del tempo che non ha mai fine, perché il viaggio è dentro ad ognuno di noi e fa parte nel quotidiano, di una musica che non ha mai fine.

Beatrice Antolini – Vivid (Qui base luna)

Ascoltare questi dischi ti fa capire che forse stiamo raggiungendo una perfezione che va ben oltre la capacità di investire denaro e tempo per creare un prodotto finito ad alti livelli.

Qui si sta parlando di una cura maniacale ad ogni singola nota, ad ogni singolo istante che Beatrice Antolini vuole raccontare, perfezionando i precedenti e dando quel qualcosa in più che forse è molto difficile da trovare in altre formazioni/cantautrici.

Come in una fotografia si lascia il territorio nazionale per percorrere strade che sono lontane da noi, dal sapore extraeuropeo, delle volte si possono sentire echi medio orientali che ti entrano e non ti lasciano più fuggire,tanto la proposta si fa variegata, quanto la ricerca del mood eccellente è presente in ogni traccia.

Beatrice suona di tutto e lo sappiamo, già musicista con A toys orchestra e presente nella compilation Il paese è reale di Manuel Agnelli e co., la cantante si insidia in modo preponderante già dalle prime battute in PineBrain, passando per l’orientaleggiante Vertical love, echi lontani si ascoltano in Taste of all arrivando alla perfezione sonora in Vibration 7, si scherza poi in My name is an invention chiudendo con sonorità Bat for Lashes in Happy Europa.

Lo scarabeo si insinua lentamente dentro il tuo corpo cambiando colore, come in una mattina di sole il tuo sentire si trasmuta dando forma ad un arcobaleno di pensieri sinceri, che si possono condividere e che fanno di te una persona migliore.

Un disco elegante, ben suonato, sicuro e destinato a diventare uno dei più bei dischi del 2014.

Davide Solfrini – Muda (New Model Label)

Davide Solfrini da il via ad un rivoluzione nel cantautorato che si esprime criticando una società piena di vincoli e catene, senza parole per comunicare e dove l’uomo, oggetto di sperimentazioni industriali, è succube del profitto quale sola arma per raggiungere uno scopo e dove il capitale umano è sempre più denaro che persona.

Una commistione di genere in “Muda” che fin dalle prime canzoni si identifica in modo approssimativo ad una identità sperimentale e seduta a riflettere verso il sole che può ancora arrivare.

Come in una rotazione di pianeti, un vortice di trame sospese, il nostro amalgama una voce radiofonica ad improvvisazioni elettroniche dove il nulla è lasciato al caso e dove le speranze si fanno meta concreta ed espressioni di possibile cambiamento.

Bellissima “Muda” come la silenziosa “Marta al telefono” o la critica “Ti piace quello che mangi?” passando per la corale opalescenza di “Cristallo” per finire con un live etereo della title track.

Un disco pieno di impressioni esistenziali, dove si sprigiona poco a poco quell’animo anarchico che è insito in ognuno di noi e che qui si fa musica veicolando, con poche risorse, molti risultati.

Un cantautore con esperienza e si sente, in grado di trasformare un triste vivere in speranza continua.

Black Beat Movement – ID-LEAKS (Bm Records)

Un gruppo che ha i numeri in tutti i sensi.

In testa guidati dalla voce di Naima Faraò, i Black Beat Movement esordiscono con un album pieno di colore da far incendiare possibili contatti lunari.

I BBM nascono come collettivo, tutti nomi noti che compongono la scena underground italiana e provenienti da esperienze diverse come Vallanzaska, Rootical Foundation e Rezophonic, un collettivo che grazie ad una voce suadente e molto blues riesce a creare un funky oscuro contaminato dal soul americano e in stato di grazia da un pop che in qualche modo è portatore di innovazione e scardinamento di regimi precedentemente sorretti per far vibrare ogni singola nota, ogni singolo passo.

8 canzoni che sono frutto di numerose esperienze live come la condivisione del palco con artisti quali Paola Turci, Africa Unite, Sud Sound System, Statuto tanto per citarne alcuni e la vittoria del contest Sziget che porta i nostri a suonare per due volte ad uno dei festival più importanti in Europa.

Un suono quindi che è un riempimento di tavolozze colorate pronte a dipingere un quadro contaminato di espressioni e sfaccettature inusuali, emblematico il passaggio da canzoni come Break it a pezzi come The Trick o Gipsy Lady, una commistione inusuale che si fa pensiero portante nella bellissima What a Gwaan.

Un disco da ascoltare più volte per capirne il vero significato: ad un ascolto veloce il tutto ti sembra omogeneo e in qualche modo legato all’intrattenimento, ad un ascolto più attento invece i 6 si contendono attimi di poesia lucente che fa ben sperare.

L’eterogeneità è il loro punto di forza e a noi piace.

Portugnol connection – Dans la rue (Autoproduzione)

Nella strada si incontrano personaggi strani, si fanno conoscenze, si amplificano le nostre forme di comunicazione per entrare in simbiosi con il mondo che ci circonda trovando un pensiero comune per procedere mano nella mano.

Gesti quotidiani che si intavolano lungo le dieci tracce che compongono il primo album completo dei Portugnol connection, un concentrato di sentire comune in cui la Patchanka si mescola in modo disilluso al folk più combattivo, che lascia intravedere luce di speranza verso un nuovo solstizio che guarda al mare.

I sette si propongono con un disco suonato e travolgente dove strumenti comuni lasciano spazio a quelli di genere come la tromba e le percussioni.

Dieci pezzi da strada che raccontano partendo da Dans la rue un sentimento di amicizia che si lega lungo il percorso , un guardare oltre la direzione che si sta prendendo, un scegliere dettato dall’istinto e non più dal dovere.

Si bevono tranquillamente poi tracce come Il vino o Chango, passando per la poetica Konfucio roads o l’essenziale finale ne Il dislivello.

Un disco pieno di colori che riesce a donare un senso ad ogni sfumatura, dove l’idea dominante si concretizza con la salita del grattacielo grigio-fumo che è dentro ad ognuno di noi.

Horizon – L’acchiappasogni (Autoproduzione)

Album meditativo ispirato a saghe storiche con un’incedere cadenzato da batterie sincopate e cantato lirico che si perde nella notte dei tempi ricordando gruppi come Muse e Radiohead in primis.

Una raccolta di piccoli semi da far germogliare verso un nuovo futuro sicuramente migliore di quello che stiamo vivendo, assetato dalla voglia di creare fitte trame comunicative dove le chitarre si lanciano e si disperdono in riff cadenzati e strutturati per dare un senso a quella contemplazione umana che si fa quasi ultraterrena.

Meditativo quindi è la parola chiave perchè il cantato si fa presente, ma riesce ad essere onda che travolge in modo delicato, come essenza che invade un corpo che ti appartiene fin dalla nascita.

Peosia musicale, cantato in italiano per questi cinque giovani di Rimini, che regalano un piccolo ep ben strutturato e suonato in tutte le sue parti.

Grande poi il singolo Bianconiglio che ricorda sonorità legate a Negramaro e La fame di Camilla.

Contrappunti sonori che si intrecciano in arpeggi infiniti, pronti ad esplodere con caparbietà verso il mondo che ci circonda; forse questo è il loro marchio di fabbrica, restare indie, ma con sonorità da pop d’oltremanica, cercando in continuazione una via da seguire.

 

Yellow Moor – Yellow Moor (Prismopaco records)

Un vortice di passione e di contemplazione verso un mondo lontano richiamato all’ordine da chitarre impazzite che entrano ed escono in canzoni poderose con ottime basi ritmiche e fugaci sensazioni di una primavera mite e leggera.

Yellow Moor è il nuovo progetto di Andrea Viti (Afterhours, Karma, Dorian Gray) che con la cantante- performer Silvia Alfei ci regala squisite ballate elettriche che ricordano appunto sonorità afterhoursiane contaminate dall’indie rock d’oltreoceano di gruppi come Arcade Fire o i più vicini Afghan Whigs.

Tutto sembra portare ad un ordine prestabilito, riccamente decorato per l’occasione da sali e scendi emozionali che si possono ascoltare lungo le dieci tracce che compongono questo gran esordio.

Il Bowie più insidioso si contamina facilmente con la musica new wave a ristabilire un’indefinita forma-canzone che si fa apprezzare per un’originalità mai strillata, ma curata nei minimi dettagli.

Delle volte sembra di ascoltare il Corgan di Adore che si lascia ispirare da tentazioni musicali mai provate prima.

Prendono così forma canzoni che si fanno di certo ricordare come Castle Burned o la romantica Across this night passando per la provocatoria Supastar e concludendo con la post indie Yellow flowers.

Un disco al di sopra di ogni aspettativa che fa brillare di luce propria questi due componenti tanto legati alla musica indie italiana da poter donare, ancora, un’altra piccola perla da degustare; e noi qui sperduti in una landa di fiori gialli non possiamo far altro che ascoltare stupiti

Cibo – Incredibile (INRI)

1779113_10152158005012356_25528431_nCibo un gruppo per chi ha veramente molta fame di quel cantautorato italiano post 2000 che si mescola all’ hardcore più suonato e sfrontato, unendo grida heavy e gutturali a suoni che per disincanto ricordano un progressione poco comune tra l’improvvisazione di Mars Volta, la grinta di At the drive-in e le lisergiche chitarre di Area e Banco.

Un suono sporco, ma ritmato, poco usuale, con entrata in trionfo di riff elettrici e subordinati ad una sostanza in continua evoluzione.

I cibo si dedicano ad un lavoro di cesellatura maniacale, cercando di apparire, tentando di creare un moto costante e in qualche modo un disco che si prende in giro e al contempo prende in giro il mondo moderno e discontinuo.

Per certi versi  questa nuova scena hardcore lascia ben sperare in quanto il fattore novità consiste nei testi congegnati per finire nel concept di scrittura creativa che aiuta band come questa ad emergere dal mucchio ondoso per farli respirare aria nuova ed elettrica.

La band torinese si fa ricordare per pezzi come Asterione, Salutami il mare, T-rex di verdeniana memoria e per l’incantevole Guardaquantammerda.

Un disco da ascoltare tutto d’un fiato, facendo ordine nel caos mentale, nulla di più, ma soprattutto nulla di meno.