Zein – Il viaggio, il futuro & Jolanda (ALKA record label)

Disco di matrice pop che si staglia all’orizzonte rincorrendo spruzzate di elettronica non troppo delineata a far da controcanto a cori e chitarre che ben si amalgamano con questo EP d’esordio degli Zein, band romana, già fattasi notare in diversi locali della zona e che grazie a questo piccolo album mette il sigillo sulla qualità di stesura e interpretazione musicale di brani che affrontano la quotidianità attraverso una continua domanda, un continuo bisogno di chiedersi nell’occupare un destino bramoso di rivincite e di sostegno per un’identità musicale che trova nella formula poppeggiante una propria via di fuga, una sorta di interesse rock in chiave moderna che non grida le proprie intenzioni, ma piuttosto le accompagna, le fa proprie e le sostiene, le misura e le dipinge, proprio come nella bellissima cover del disco dove, tra i fiori di ciliegio, una ragazza ascolta in cuffia la propria vita scorrergli dentro, fino a cadere in un mondo idealizzato dove scomparire forse è solo l’inizio di qualcosa di nuovo.

Pollio – Humus (Maciste Dischi)

Io?Drama lasciati alle spalle e il desiderio di rinascere proprio da una terra d’origine che non lascia scampo, ma fruttuosa si contende una nuova vita per contemplare un cantautorato che copre dichiaratamente e musicalmente i vuoti che troviamo nell’era moderna e si innesca a miccia pop proprio quando i territori battuti verso queste aspirazioni si livellano ad un’uniformità di base che nel primo disco solista di Pollio trovano motivo di apertura in stato di grazia, cesellando a dovere le introspezioni passate e consegnando un disco che richiama l’attenzione attraverso un sound brillante che si snocciola e convince sin dall’apertura di Oggi è domenica personalizzando nove brani in un concentrato di follia espressiva ben dosata e insaporita da trovate semplici, ma genuine, cariche di quel qualcosa che forse si chiama amore per la vita o più semplicemente porta con sé l’esemplificazione di nostalgia che in tutta l’ispirazione del momento trova un buon motivo per esistere, per un disco, questo, capace di confondere e spiazzare, un album in grado di far riflettere sull’incostante ricerca di uno spazio di cielo infinito dove poter vivere, ricordando il legame indissolubile con la terra, fertile sviluppo per esigenze future.

Fùrnari – Abusivi sognatori (Terre Sommerse)

Furnari

Il mondo di Furnari è un mondo da scoprire, pieno di immagini oniriche che affacciano i pensieri al cielo di Magritte, in evoluzioni cantautorali moderne mescolate all’elettronica dimessa, che non entra di prepotenza, ma aiuta, come coadiuvante, nell’intento di ricreare una maglia sognante di belle intenzioni che preannunciano testi pindarici ed espressivi, non troppo macchinosi, ma semplici e diretti, dove l’introspezione lascia spazio, il più delle volte, ad un’esternazione importante di stati d’animo e racconti di vita, pezzi che vibrano e scaldano, canzoni che sono la summa di un percorso artistico che raccoglie l’eredità del passato, raccoglie i migliori frutti di un mondo lontano, per farceli assaporare in pezzi come l’iniziale Sopravvissuti, Chimere, Siamo Meteore, Pellicole e l’essenziale I segreti di Settembre, un disco che guarda lo spazio e si ferma oltre, sogna e rende realtà una dimensione acustica amplificata, lassù dove tutto è oscuro, lassù dove il suono non esiste, ma la sostanza è materia che rimane nel tempo.

Un album che delicatamente mescola la musica d’autore con i suoni più moderni intascando le esigenze del momento e ricreandole fuori da ogni logica precostituita.

Nubohemien – La nostra piccola guerra quotidiana (Woodworm)

Disco strutturalmente indie pop che si affaccia al mondo dei sintetizzatori e dell’elettronica ben calibrata per racconti di vita e di inquietudine che si fanno sonorità ben congegnata e dove lo stare al mondo è esso stesso esigenza primaria per costruire, giorno dopo giorno, esperienze e improvvisazioni che sono alla base degli approcci presenti e futuri.

La band veneta colpisce a fondo e sfodera un nuovo album fatto di canzoni dotate di una solida impalcatura di base dove i testi si fanno racconto di vita e dove la ricerca di una propria forma canzone, di un proprio stile diventa necessità, tra sonorità  indie rock d’oltremanica e il cantautorato gentile degli ultimi tempi, tra i Thegiornalisti e gli altri romani Bosco, in un vortice emozionale che alle volte si trasforma in pugno allo stomaco, raccontando ciò che ci circonda, la nostra realtà.

Un gruppo che ha intrapreso il proprio cammino, che conosce i propri limiti e le proprie capacità di sperimentazione, una band che traccia una linea netta con il passato, sin dalle prime battute del singolo Tua sorella per arrivare alla Title track composta e quasi perfetta; un album che ascolteremo ancora e una band che è solo agli inizi del proprio processo di rinnovamento ed esplosione. Buon big bang.

 

Beltrami – Punti di vista (SuoniVisioniRecords)

Beltrami conosce il rumore del vento e lo staglia all’orizzonte cercando uno degli innumerevoli punti di vista che di specifico rendono il disco un abbaglio in pieno inverno, tra arrangiamenti che non sono mai superficiali, ma che colpiscono e trascinano l’ascoltatore lungo strade nuove e in discesa, merito di un buon background e merito anche di una preparazione non indie-fferente.

Il soffermarsi, il guardarsi attorno, il raccontare pezzi di vita su fotografie o ancora meglio su undici acquarelli tenui e allo stesso tempo eleganti, capaci di una forza interiore che può portare lontano, in una continua ricerca mossa dal cuore a sintetizzare i racconti, a sintetizzare i vissuti, a comprimere la bellezza in un album  che sa di abbandono, ma nel contempo anche di speranza; meta concreta per i giorni che verranno.

Beltrami quindi è tutto questo, è un box completo dove si nascondono i Perturbazione, ma anche le vellutate poesie di Antonio Firmani e le compressioni malinconiche nordiche tra Sigur Ros e Elbow a firmare un dipinto ricco di sfumature e traguardi da raggiungere.

Un album variegato e carico di quella nostalgia che fa pensare al passato, lo fa con stile e coraggio, alla ricerca di un qualcosa di diverso, sempre nuovo e stimolante, un punto di vista che non si ferma all’apparenza, ma si ricerca ed è esso stesso ricerca, in un vortice perpetuo di immagini oniriche.

 

Bosco – Era (Autoproduzione)

Raccontare e raccontarsi, nudi allo specchio in un continuo nascondersi e celarsi attraverso i sogni che ci hanno costruiti, quei sogni che ci hanno fatto sperare di essere migliori, un continuo cercare il palazzo immaginario dalle enormi vetrate azzurre che in un attimo è pronto a crollare sopra di noi e sopra le nostre speranze.

I romani Bosco al loro esordio confezionano un disco fatto di sguardi alle finestre in una giornata di pioggia, una ragazza dai capelli lunghi che fissa il vuoto, là, oltra la brughiera, oltre il castello nel cielo, oltre l’immaginazione del tempo passato, un cercare luoghi migliori in cui stare grazie alla musica.

Una musica che fa ecco al pop sintetizzato dei primi Baustelle e notevole è l’avvicendarsi della voce maschile e femminile a rendere omogeneo quel tutto carico di significato profondo, quasi fosse una melodia proveniente da lontano dove le tastiere non predominano, ma fanno da sfondo autunnale al bel tempo che verrà.

Un album quindi fatto si sogni perduti e amori lasciati, dove il raccontare la vita di periferia è un modo raffinato e sincero per chiudere il proprio spirito dentro a un cuore solitario che si sta ancora cercando, remore del vuoto che gira attorno e dove il domandarsi è costrutto necessario per costruire e costruirsi.

Dieci canzoni che parlano di amori e di viaggi Me ne andrò a Berlino, perché così mi piace chiamarla, anche se il vero titolo è Il disertore, parte sulla scia dell’abbandono per concedersi poi aperture nel meraviglioso singolo La mia armata, via via Amòr e il Tempo per la dolce timidezza di Il susseguirsi degli eventi e poi ancora il viaggio, le vacanze estive con Malaga, passando per Se e finendo con l’ineluttabile Esedra.

Parlare di raffinatezza non è sempre facile ai giorni nostri, anche perché con i potenti mezzi che abbiamo per fare un buon disco ora più che mai contano le idee e l’idea di eleganza non strillata in questo album ricopre gran parte delle tracce e lascia quel senso di appartenenza simile a un ricordo lontano, a un’immagine di un tempo passato, dove le giornate duravano una vita.

Turkish Café – Cambio Palco (Autoproduzione)

Occidente e Oriente che si incontrano tra mercati e tra gli incensi, tra il vociare delle etnie e il canto sospinto che non ha mai fine ad impreziosire pezzi eterogenei, capaci di ammaliare ed entrare dentro al primo ascolto, in una sorta di compiutezza che si fa eleganza conturbante, senza un ordine preciso, ma il tutto è raccolto da uno scrigno di sapori e tradizioni che vanno oltre il nostro sentire.

I Turkish Café confezionano una prova che sa di mondo, che sa di freschezza, ma anche di passato, di radici lontane pronte a contaminarsi in un lungo sospiro, un cantato italiano che è pronto ad abbracciare altre culture, che si fa tessuto vivo per ogni fulgida apparizione.

Nel disco suonano decine di strumentisti, nella formula ospitale di chi sa dare un apporto sempre diverso e concreto come Erriquez della Bandabardò in un folk che incrocia una delicata elettronica e un pop ben confezionato e elegante.

12 tracce che si muovono fra numerosi territori e che non si stancano mai di cercare e incanalare le idee verso una nuova via, verso un mondo da scoprire e in qualche modo restandone contagiati, una purezza che si percepisce fin da subito con Controlla per passare velocemente al finale A Milion Years, tra saliscendi emozionali che ci abbracciano regalando energia.

Disco riuscito, grazie all’originalità che si perpetua nell’unione di più generi, una tavolozza di colori profonda, da mescolare e reinventare fino alla fine dei giorni.

Michele Maraglino – Canzoni contro la comodità (La fame dischi)

Disco maturo e musicalmente aperto alla sostanza che avanza, un disco ultra moderno che delinea meticolosamente, soprattutto per chi fa troppe fotografie, uno spaccato di realtà nostro e vissuto, un inno contro la comodità e l’apatia, il non far nulla scelto e il non far nulla per imposizione.

Un disco che sa di pioggia d’Aprile le tonalità si incupiscono e regalano sogni infranti e desideri commossi da pietà che mai e poi mai prenderebbe l’iniziativa di essere quella che non appare.

Un album sulle apparenze quindi, di denuncia, verso un’Italia che va a rotoli perché siamo noi che lo vogliamo arricchiti da strumenti inutili, la fisicità che vince sulla bellezza, il futile che si aggrappa ai pensieri e li rende reali più che mai, senza una via di scampo, senza una via di fuga.

Michele racconta tutto questo e lo fa con il piglio del cantautore, che rispetto all’album precedente si apre a suoni più indie rock  abbracciando le distorsioni del brit pop e strumenti necessari quali pianoforte e tastiere per rendere la proposta più concreta e avvolgente.

Ottima prova che denota quindi carattere e lucidità per il patron della Fame, otto tracce che si fanno bere in un istante e lasciando in qualche modo il nostro eroe solo contro tutti in attesa di smuovere animi, accendere il cervello e far correre le idee.

Musicanti di Grema – Musicanti di Grema (Irma Records)

Un gran bel pop radiofonico con sonorità tipicamente indie che si divincolano in maniera esemplare alla ricerca di uno stile particolare, unico, che abbraccia cantautorato e melodia, brit pop con tanto di cori e distorsioni in elettroniche derivate.

Un percorso che parte con Pollicino a far da linea d’ombra che si può superare indicando la direzione essenziale da seguire e da poter mantenere cercando istruzioni che non sono presenti, ma che si incorporano ad una canzone ironica, capace di rallegrare anche le giornate più oscure e fredde, quasi fosse un disco per ogni tipo di stagione.

A dispetto delle previsioni atmosferiche i nostri quattro parmensi confezionano un album che risulta essere sorpresa per le nostre orecchie, una bibita fresca in una giornata di sole.

Il loro stile a tratti risulta debitore di un approccio legato all’ammicamento, alla canzone facile, tesa alla ricerca di schiere sempre più ampie che possono apprezzare questa musica anche se la loro peculiarità però sta: nel non accontentarsi della canzone radiofonica, ma di cercare di essere se stessi lungo tutte le 12 tracce, dimostrando gran capacità compositiva e cura nei particolari.

Ecco allora che le canzoni scivolano via creando un viaggio uniforme dove la natura dei sentimenti è l’interrogativo vibrante per i quattro ragazzi.

Un album da ascoltare in loop quest’estate, un sorriso di stupore di certo, sul nostro viso, non mancherà.

Nicola Battisti – Nicola Battisti (Cabezon Records)

Nicola Battisti è un cacover-Battisti-600x600ntautore atipico.

Atipico non come cantautore, ma come cantante di un’epoca a cui i paragoni stanno stetti.

La sua opera è racchiusa in 12 canzoni che mirano al riappropriarsi minuto per minuto di quella melodica canzone italiana che da anni ormai, se non con qualche rara eccezione vedi Non voglio che Clara, sembra abbandonata verso lidi nascosti perché accusata di essere mielosa e soprattutto retorica.

E invece no! Nicola grazie a dei testi semplici e una voce calda e coinvolgente al battere del piede ci fa scoprire che il belcanto deve essere riscoperto anche per concorrere in modo efficace al padroneggiare di talent show dove tutto risulta ridicolo e manovrato.

Nato sotto la stella protettrice di un cognome importante, il veronese per l’occasione si lascia andare verso territori conosciuti reinterpretandone forma e gusto estetico.

Ecco allora che l’album risulta orecchiabile quanto basta per riuscire ad apprendere testi diretti senza che risultino banalizzati dal saliscendi di note e chitarre sovrapposte da strumenti rigorosamente vintage come Rhodes, Mellotron, Wurlitzer e Hammond.

Canzoni come “Formula d’amore” o “Dove sei?” racchiudono lo spirito dell’intero disco: scanzonato e ritmato, semplice quanto basta per gridare al miracolo, perché di questi tempi ascoltare buona musica pop d’autore, senza scadere nell’ovvia ovvietà, risulta impresa impossibile.

A Nicola il merito di aver riportato in auge uno stile e un gusto retrò dimenticato da tempo nell’attesa che qualche artista sanremese navigato lasci il posto a veri cantautori.

http://www.nicolabattisti.com/