Banana Joe – Supervintage (Pioggia Rossa Dischi)

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Suoni incontrollati superstiti di un abbandono ad incasellare attimi di vita a profusione atomica dove la potenza deflagrante di chitarre in sospensione si sposa alla grande con testi affilati quanto basta per dare senso maggiore e probabilmente valore aggiunto alla produzione. Il disco dei Banana Joe arriva come pugno allo stomaco, senza fare male, è un pugno di conflitti interiori che si sposano ad arte con la quotidianità, tra un rock anni’90 è una radice punk che non smette di urlare e gridare la propria appartenenza attraverso sensazioni non sempre delineate, ma sicuramente convincenti. I brani si sciolgono come aspirina nell’acqua e sono un toccasana di questi tempi. Da Tara a Omertse passando per Polvere, Queen dei cofani i nostri fanno dell’ironia e del menefreghismo una parte centrale e riuscita di questo Supervintage dal sapore maledettamente attuale e carico di narrazioni che non si chiedono troppo, ma che piuttosto centrano sempre un obiettivo.


Matteo Fiorino – Fosforo (Phonarchia Dischi)

Matteo Fiorino è un fuoriclasse sghembo che canta storto intessendo il non sense con un approccio goliardico e fiero pur rimanendo nel complesso dimesso e quasi esistenzialista. Il nuovo album prodotto da Nicola Baronti è un insieme di visioni naturali del nostro essere al mondo raccontate in modo del tutto originale e sicuramente personale, dove avvenimenti o esperienze vissute direttamente dal nostro, intrecciano il proprio procedere con un qualcosa di più frammentato e a tratti malinconico, strappando comunque sorrisi e bellezza che possiamo scoprire analizzando i testi. Impresa alquanto ardua in quanto il significato soggettivo del tutto concede la possibilità di dare interpretazioni personali che vanno oltre l’opinione diffusa e donano però al cantautore una nota di merito per il lavoro svolto e per l’attenzione dedicata ad una visione strampalata di tutto ciò che ci circonda. In realtà a Matteo Fiorino non frega niente di tutta questa complessità, piuttosto il nostro naviga i flutti della quotidianità partendo dal proprio essere e canzoni come l’apertura Gengis Khan, Madrigale, Canzone senza cuore o la stessa title track sono poesie emblematiche per comprendere ogni singola lucentezza estemporanea proposta.

The Hangovers – Different Plots (Unhip Records)

Hanno macinato la strada italiana, la conoscono a memoria o quasi e ora sono qui con questo disco accecante di luce, di sonorità grunge caraibiche, di rock trasformato per l’occasione in country folk e snocciolato in maniera immediata e spensierata, racchiudendo un marchio di fabbrica esemplare e non pre – costituito fatto di sogni e speranze, fatto di riflessi di sole e bagliori che spazzano via la notte, tra la disillusione e l’esigenza di formare, per divertimento, un gruppo esplosivo, oltre ogni previsione.

Questo disco racchiude i nostri anni migliori, musicalmente sembra di stare in riva al mare, in un anno solare dove non esiste l’inverno, tra inglesismi trasformati in italiano e viceversa, frutto di improvvisazioni altrettanto calibrate e ben celate da quella voglia, da quel bisogno di divertirsi, un’esigenza tutta italiana di racchiudere la bellezza in musica, con ritmi trascinanti e testi che non si chiedono mai troppo; l’essere multietnici non è mai stato così semplice.

Il disco assume le svariate forme della vita, assume il coraggio di creare, assume il desiderio di essere diversi, ancora per una volta, per scatenarsi disinibiti, abbagliati dalla diversità del mondo.

Soulspirya – Stay Human (SlipTrickRecords)

Anfratti gotici che lasciano il segno in contemporanea allo spegnersi del sole, perpetuando le ombre in mobilità apparente, in stato accecante e confusionale, dove le onde del mare si appropriano del tempo rubato, donando calore e intensità a questa prova che sa di alternative studiato e calibrato, la solitudine centrale dell’essere umano e la continua ricerca di nuove sperimentazioni sonore.

In bilico tra Lacuna Coil, Portishead e Muse dei primi dischi il duo veneziano prosegue la ricerca di nuove abilità compositive che si possono ascoltare lungo le undici tracce dell’album, dando maggior risalto ad un’internazionalità di spicco pronta ad entrare prepotentemente in territori inospitali, rendendo il tutto una via di fuga verso una casa che ancora  stiamo cercando.

I testi esistenziali si fanno appiglio al colore seppia oscuro di un’immagine in dissolvenza e già dal primo pezzo We are coming  i nostri affrontano in totale libertà il loro entrare di diritto verso terre che ci appartengono, che fanno parte di ognuno di noi, creando quel connubio musicista/ascoltatore che permette di proseguire l’ascolto con attenzione, passando per riuscitissime The tunnel, Fading away, We will be alone fino al finale di The night before.

Un disco che racconta la solitudine dell’essere umano, lo fa toccando le aspirazioni dell’anima e quei muri che inevitabilmente ogni giorno troviamo davanti a noi, lo fa con rispetto verso il mondo ingabbiando quella solennità tipica di un genere che via via ci si ritrova a combattere per uscirne vivi, ancora una volta, come quelle onde del mare, laggiù all’orizzonte, tra uno scoglio silenzioso e la luna che governa le maree, quasi ad essere la padrona della notte: l’essere umano e il suo lato oscuro, l’essere e l’oscurità.

Fratelli Calafuria – Prove Complesse (Woodworm/Audioglobe)

Non ci sono confini e nemmeno regole per questo disco dei Fratelli Calafuria, un’espansione sonora di colori che portati all’ennesima potenza lasciano scorrere immagini sfocate direttamente alle radici del rock, trasformati poi con il tempo in susseguirsi di vicende che si nutrono di garage punk ‘d’annata inglobato a proprio piacimento in un caleidoscopio unico.

Mix inusuale per Prove Complesse, meritato approdo dopo i numerosi successi del tempo, pur restando band di nicchia, dal sapore terreno e coltivando un substrato di energia che basterebbe a metà dei gruppi presenti nella penisola per dire qualcosa.

Sono tredici canzoni che si spostano tra testi surreali in bilico tra poesia neorealista e verismo mai conclamato, dove i testi che abbracciano le poesie di Gaetano sono catapultati ai giorni nostri, nel vivere quotidiano, tra i problemi che affrontiamo ogni santo giorno.

Pensiamo ad House in affitto, passando per Meraviglia o E’ stata estate, parole che non hanno bisogno di classificazioni, ma sono un tutt’uno con il suono, testi a volte verbosi, ma essenziali per delineare un concetto che alla fine del tutto offre numerosi punti di vista.

A livello musicale scopriamo una maturità generosa, conseguita e sbocciata in linea con la scuola americana toccando At the drive in per passare alla sfrontatezza degli inglesi The Who.

Non siamo qui per definire però queste prodezze, possiamo a malapena delinearle, tra stupore e assoluta meraviglia, esplorando il nostro cervello che assume le fattezze di un labirinto da cui non vorremmo mai uscire.

 

Perry Frank – Music to disappear (Idealmusik Label)

Tuffati nel fiume della memoria, accarezza l’acqua che ti circonda, assapora il sentore delle foglie che si dibattono nelle insenature, lasciando al risveglio un’unica via di salvezza.

Corri, corri lontano, calpesta tutti i fiori che vedi in un’unica e vibrante composizione di note che si intreccia piano piano con i pensieri che occupano la tua testa.

Ed ora vola, vola nel cielo più limpido, dove l’azzurro fa capolino con qualche nuvola sfocata che ingigantisce le ali di qalche uccello sparuto e distratto.

Regalati attimi di vita, quella vera, assaporata e vissuta, abbandonati al lento incedere dei passi sulla neve che costringono la camminata ad un vero e proprio sforzo incommensurabile, ma impercettibile.

Perchè di questo siamo fatti e Perry Frank lo sa bene, come una luce che fioca ci illumina, queste 12 tracce raccontano la vita, un’evocativo e suggestivo scorcio di ognuno di noi dove lo strumentale si inerpica pian piano con Sigur ros e The Album Leaf.

Un disco di puro ascolto, sognante, dove lasciarsi andare e non chiedere più nulla a quello che deve arrivare.

Abbiamo bisogno del momento da assaporare, dell’attimo da cogliere per distinguerci dagli altri e finalmente poter vedere con gli occhi di chi non hai mai visto.

Simone Pittarello – Esco un attimo (AUtoproduzione)

Schivo, silenzioso, quasi magico.

Un lo-fi che suona da dio, Simone Pittarello è un cantautore atipico, esce dagli schemi della pubblicità canonica, prende un mixerino a tre tracce e ci registra sopra 12 canzoni di immacolata bellezza.

E’ raro, molto aggiungo, ascoltare un disco di questa fattura, registrato con mezzi di fortuna e che entra soprattutto in modo malinconico-decadente nella tua testa, facendo vibrare farfalle in aria su prati di foglie sempre verdi.

Ascoltare Simone è come sedersi lungo un lago e vedere nel mezzo di quest’ultimo una piattaforma sonora dove in acustico si esibiscono Nick Drake e Matthew Bellamy in escursioni sonore ricche di sentimento e calore, percependolo anche a decine di metri di distanza.

Ci sentiamo avvolti da questo suono che si esprime con Bianca Calma nella partenza finendo con Il ritorno; parafrasando un altro cantautore direi che in mezzo c’è tutto il resto…e questo resto è maturità compiuta all’esplosione di pienezza e raccolta dei frutti sperati.

Un invito quindi a farsi largo e trovare una propria via per far conoscere a più persone questo bellissimo mondo che Simone vuole raccontare, non avrà che guadagnarne.

E con le ali spezzate mi siedo e ricucio i sogni che mi faranno volare ancora.