Il gigante – La rivolta del perdente (Jap Records)

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E’ un fiume in piena costante che attanaglia, abbraccia, respinge con forza le simultanee presenze di un’era che esplode e percepisce gli attimi come fossero scintille da far scoppiare per rimarcare ancora una volta il proprio nome o perlomeno il proprio stato di appartenenza. Il gigante è un progetto musicale, una band fatta di chitarre in deflagrazione continua formulate per alternare momenti di tranquillità con un qualcosa di movimentato e concentrico capace di entrare a piè pari attraverso mondi dissolventi creando immagini di fondo accompagnate da suoni che ricordano FASK e Majakovich per una potenza mostruosa, a tratti assordante, da recepire appieno in chiave live. La rivolta del perdente è un disco che ti entra nell’immediato all’interno delle vene, un album caldo con delle grosse potenzialità da verificare su di un palco, un album che compie un viaggio concentrico di sola andata verso le guerre che ci portiamo dentro e le sconfigge lasciando in disparte l’ego di un mondo che ha smesso di lottare. 


Le cause perse – Amplesso (Autoproduzione)

Le cause perse ci portano a riflettere sul mondo che ci circonda grazie a testi penetranti e allo stesso tempo coinvolgenti che non ci rendono dei semplici spettatori immobili, ma attenti critici di una società che ci vuole e ci rende diversi; un romanticismo disincantato espresso in un vortice di sensazioni intrise di significato che ricordano l’infanzia, il bambino che è in noi, l’esigenza di fare pace con noi stessi tra territori acustici sovrastati da un piglio cantautorale che rende bene quell’idea di necessità e volontà di dare spazio alle emozioni; un turbinio concentrico che si muove tra la voce del cantante e chitarrista Yuri Duso e l’elettrica di Enrico Marangonzin fino alla collaborazione con la precisa e velata batteria di Daniele Carollo.

Un disco che parla con la voce dei tempi moderni, un disco sulla fame di sapere nel raggiungimento di uno stato di grazia che culmina nella rabbia, intesa come parte negativa di noi e capace di disfare quel bene creato e voluto che prima o poi tornerà a colmare quei colori dentro al nostro cuore.

Calavera – Funerali alle Hawaii (Libellula/Audioglobe)

C’è qualcosa di raffinato in questa oscurità malata e al contempo ironica, c’è qualcosa di nascosto e celato, di vissuto e un po’ sofferto e nello stesso tempo affascinante e completo di una compiutezza elegante, mai preponderante o subalterna, ma un circolo di rinascita e vita, in uno stato d’animo di perenne racconto formativo e di poesia, partendo da un fatto certamente non lieto, lo scorrere delle stagioni e la ripartenza verso qualcosa di diverso.

Calavera ci racconta i suoi funerali alle Hawaii, funerali di resurrezione, funerali di gioia e festa verso un mondo migliore; le ceneri in mare, la gioia e l’allegria, la luce che abbatte l’oscurità e gli ossimori che prendono piede a sfidare la cultura occidentale in un momento di riappacificazione con se stessi.

Penso a Kamakawiwo e alla polvere trasportata dal vento in una danza colorata e cantata dove gli ibisco riempiono di colore ciò che da noi sarebbe dipinto da ben altre sfaccettature; otto brani  per Calavera e una cover di Luca Carboni  a raccontare le tenerezze e le amarezze della pre adolescenza, un disco che parla di se partendo da un punto di vista del tutto personale fino a comprendere immagini di più ampio respiro, un racconto di sensazioni tra i flutti di un oceano baciato dal sole dove la vita non ha mai smesso di parlare.

3CheVedonoIlRe – Un uomo perbene (La Zona/La Grande Onda)

Secondo disco in studio per il quartetto romano che per l’occasione si concentra sull’analisi sistematica e migliorativa della società dal punto di vista del comportamento e dell’appartenenza ad un gruppo che nel bene o nel male stabilisce l’impegno e le forze da dedicare al nuovo che avanza.

Un disco di pop rock ben suonato direi dove a far parlare di se sono i testi diretti in italiano che ci raccontano e si lasciano raccontare non verso fini sconclusionati, ma alla ricerca costante di un approccio chiaro e netto che si fa distinzione assoluta nei confronti del pop  italico in circolazione.

Responsabilità individuale quindi che si fa forza dominante e allo stesso tempo racchiude la volontà di cambiare sottolineando in modo inequivocabile che ad ogni nostra azione corrisponde una contropartita che il più delle volte passa in secondo piano, in sordina; un muto declino verso l’inesorabile abisso.

Il gruppo romano racconta di un’Italia che non conosce più la parola collettività, racconta della caduta, racconta degli sguardi pronti a virare dall’altra parte, racconta di quel precario equilibrio su cui si basano i rapporti umani, una finalità sentita e vissuta, con l’intento di far rinascere l’uomo responsabile di una terra che appartiene a tutti.

Potenza rock quindi, condita dal pop e attitudine punk che nei live trova una dimensione ancor più dirompente; dieci tracce partendo con la storia di Dario, per finire con Lascia andare, tra incursioni sonore che si fanno ricordare e testi taglienti che lasciano il segno.

Etruschi From Lakota – Non ci resta che ridere (Phonarchia Dischi)

Benigni e Troisi, nell’85: Non ci resta che piangere, Gennaio 2015 Etruschi From Lakota: Non ci resta che ridere, entrambi a scopo contenutistico ci raccontano fatti, pensieri e misfatti che riguardano la nostra penisola.

Un cantautorato semplice e coinvolgente che incanala energia positiva per il cambiamento; i nostri amano le loro radici e vogliono continuare a vedere il buono che c’è in ogni cosa e in ogni situazione.

Denuncia quindi si in parte, ma anche tanto e tanto colore che rischiara il cielo e lo copre di purezza e sincerità, movimenti leggeri e veloci, quasi disarmanti che ti trasportano in un vortice di poesia musicale che si affaccia direttamente al folk cantautorale italiano degli anni ’70, su tutti Rino Gaetano e quella presenza costante di ossimori guida che lasciano la mente a pensieri vaganti e convincenti.

Testi diretti, privi di mezze misure, in cui le liriche si impastano in modo esemplare con l’eccellente dialettica ironica e scanzonata a ricreare atmosfere da balera alternativa, in cui il sonno è l’ultima possibilità da poter considerare.

Disco fresco quindi e genuino, che racconta fatti di vita, pensieri e prese di posizione: pensiamo al singolone irriverente Cornflakes o la quasi floydiana Il contadino magro, passando per l’Appino song Erismo o la meditativa finale San Pietro.

Album carico di genuinità rurale quindi, che ti accompagna a raccontarti un amore per una terra che sta scomparendo e che in qualche modo si fa seme per una nuova vita, un germoglio fertile e sicuro per il tempo che verrà.