Il solito Dandy – Buona felicità (Vina Records)

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Proiezioni ortogonali di realtà che abbattono sensazioni e si rivolgono al cuore più di ogni altra cosa in atteggiamenti quasi iconoclasti dal piglio pop e sbarazzino che inevitabilmente segue la moda del momento. L’album d’esordio di Il solito Dandy è un tuffo nella contemporaneità che rappresenta il nuovo indie moderno se così si può definire, dentro a Buona Felicità ci sono rimandi inevitabili a band come i The Giornalisti in un pop elettronico condito da frasi ad effetto e suoni sintetizzati e sintetici mutevoli in un corollario di storie e avventure amorose che si dipanano lungo tutte e dieci le tracce del disco. Due anni di lavoro e stesura fanno di questo album un prodotto fresco, or ora non originale, ma pieno di rimandi con il passato e ricco di quella capacità interna di far scorrere pulsazioni a beat inoltrati. Da citofoni alla title track passando per pezzi simbolo e singolo come Bisturi e Owen Wilson il nostro racconta spaccati di vita ad ottenere luce e citazioni in una compattezza omogenea che più di tutto è un diario di vita che si domanda e che esplora.

Vikowski – Beyond the skyline (Costello’s Records)

Poesia sonora dal gusto internazionale che abbraccia e si posiziona dietro la linea dell’orizzonte e protende le proprie aspirazioni a creare un suono curato, elettronico e sintetizzato quanto basta per dare vita ad un’emozione costante che si respira lungo le otto tracce che compongono questa prove davvero notevole. Un disco capace di incontrare le introspezioni dei The National, passando per James Blake e Bon Iver in sodalizi che vanno oltre le apparenze, concentrando nel testo vissuto e raccontato per immagini un amore nei confronti della solitudine, del tempo che scorre, degli amori senza fine, protendendo un concetto e accarezzandolo fino al calar della tenebre, fino a quella sera che è portatrice di luce buia nel crepuscolo, fino a quel minimale di fondo che parla di sentimenti mai raggiunti e speranze da ammirare per suoni pop che vanno oltre e intascano una gratitudine per la vita che come emblema stratifica il bisogno di maggior musica come questa per vivere in un mondo migliore: una musica pensata e sofferta, una musica che parla di noi.

Dulcamara – Indiana (INRI/Metatron)

Suoni di notti stellate e fuoco intorno, introspezioni sonore che viaggiano e creano fantasie e rituali che abbracciano con forma costante un mondo polveroso di vita da sorseggiare ed esteriorizzare in estemporanee fotografie virate seppia che sembrano uscite da un’altra epoca, loro sono i Dulcamara, guidati da Mattia Zani, una band che incrocia in modo essenziale la poesie e il folk nord americano con la canzone d’autore italiana; tanto per fare un esempio moderno prendete il For Emma di Bon Iver e impastatelo a dovere con un pizzico di Bonnie Prince Billy e di Iron & Wine, il tutto cantato però in italiano in una prova notturna che racconta di amori e di bisogno di partire, di viaggi tra foreste di illusioni, di viaggi tra i boschi dell’anima, ricoprendo un ruolo essenziale proprio nei testi che guardano oltre l’orizzonte e non si accontentano, ma trovano una dimensione onirica nell’amara realtà di tutti i giorni, perpetuando una prova che getta i propri punti di forza in canzoni che portano con sé un fascino indiscutibile da Rituale, Luce di frontiera, Sogni lucidi, Labirinti immaginari fino alla reprise dei costrutti di Terminal per un disco che ha l’odore della notte, l’odore di quello che non c’è più e  il profumo della ricerca del sostanziale nostro essere quotidiano.

Ex-Otago – Marassi (INRI/Garrincha Dischi/Metatron)

Raccontare di una città in evoluzione, partire da un presupposto e cogliere i racconti della strada, le sensazioni di un mondo in mutamento percependo colori e contrasti, meritevoli di un approccio musicale che fa dell’elettronica cantautorale un punto d’inizio per cogliere i significati che la terra riesce a dare, tra le costruzioni di cemento e il bisogno soffocante di creare spazi, proprio attorno a quello stadio, proprio attorno a quel cuore illuminato a giorno che racchiude le aspirazioni di giovani musicisti con un background considerevole, quel lontano 2002 che ha formato un gruppo tra i più rappresentativi in Italia per scelte stilistiche e capacità di narrare salti e cadute si affaccia al mondo conosciuto con un nuovo disco in grado di dipingere quadri urbani di una Genova post moderna, tra i Cinghiali incazzati, il bisogno di Mare e I giovani d’oggi, gli scooter sulle strade asfaltate e quel senso di comunione con un paesaggio impresso nella propria anima e che fa da sfondo a racconti che si evolvono, parlano di noi, parlano del controverso vivere lontano dalle luci di scena, un mondo reale che grazie agli Ex-Otago merita strati e spessore, sia a livello narrativo sia a livello musicale per un disco maturo e pieno di coraggio, per un disco che parla di una città e nel contempo del bisogno di andare via.

The Castillos – Pilot (Autoproduzione)

Suono fresco, prettamente estivo che sa di ananas tagliata e che abbraccia le sonorità dell’indie pop rock d’oltremanica non inventando niente di nuovo, ma confezionando un piccolo ep di quattro pezzi che rispecchiano un divertimento esistenziale in fase acuta, capace di sprigionare un’energia vitale e sopraffine, in bilico tra i suoni legati agli anni’90 e la passione di reiventarsi sempre e comunque in nome di un’energia vitale che fa parte di ognuno di noi, per questa presentazione che inforca numerosi colori, dal nero al grigio passando per la lucentezza del giallo, in un eterno divenire che poi racchiude grande sostanza, un po’ come tutti i frutti del conoscibile: dietro alla buccia ci sta la polpa migliore e in questi veloci pezzi di vita, da Business Calls fino a Wet shoes , passando per Jungle 162 e Blossoms, si parla di un amore incontaminato verso ciò che ci circonda, apprendendo la lezione del tempo e trasformandola per l’occasione in un vortice post adolescenziale di sicuro impatto.

I misteri del sonno – Il nome dell’album è i misteri del sonno (LaRivoltaRecords)

Rock d’avanguardia clashato tutto in italiano che fa l’occhiolino alle produzioni straniere e a qualche altra cosetta del nord Italia, pur mantenendo una costante ricerca e attenzione per il suono ruvido e divincolato dando forma e sostanza a nuove poesie 2.1 che prendono spunto e appiglio dalla quotidianità, quella quotidianità e quell’essere che inonda i nostri giovani leccesi di un’aurea di intoccabilità e mestiere, produzione egregia e attenzione al particolare che non li fa dimenticare nel brodo del nuovo millennio, ma li proietta direttamente all’attenzione di chi la musica la fa ogni giorno.

Sono dieci pezzi in un susseguirsi di testi diretti intercalati da sognanti pensieri che decollano dal potenziale singolone Resto in casa per passare a canzoni memorabili come L’uomo dell’anno, dimostrando interessante l’approccio anche nella coralità e nell’utilizzo delle voci, fino all’avvolgente blues nel finale di Sugar Man di Rodriguez senza dimenticare la spaventosamente bella, più dell’originale, I am happy dei Soerba.

Un disco tutto d’un pezzo, da cantare mentre magari fuori piove, per dare un po’ di luce alle giornate piovose post primaverili in attesa dell’estate che deva ancora arrivare.

Habitat – MaiPersonalMood (Faro Records)

Essere lontani da casa e raccontare di un mondo diverso, poco conosciuto, in attesa di nuovi sviluppi e soprattutto un mondo capace di darti capacità espressive che si dipanano lungo brani di pop elettronico cantati in italiano tra geometrie essenziali e sbilenche, un mondo che non di certo appare invitante, ma che sicuramente regala possibilità mai fini a se stesse.

Un lavoro molto elettro indie quindi che non sfigurerebbe di certo nel panorama nazionale anzi un disco che convince sin dalla prima Ego per capacità di divincolarsi dal già sentito per formulare una tesi del tutto soggettiva, del tutto originale, quella forte capacità di raccontare un mondo attraverso il viaggio, attraverso il volo di un aereo, attraverso le nuvole che scompaiono oltre l’orizzonte.

Ecco allora che la band di Francesco Allegro sa ricomporre i colori grazie ad un’essenzialità di fondo che ambisce ad essere voce portante nel panorama indie pop italiano, un disco fatto di sogni e speranze celate, un disco di sussurri e voli pindarici, di gesti metropolitani e di città nascoste allo scorrere dei giorni.

Yast – Yast (AdrianRecordings)

YAST-YAST-1500x1500-300x300Ennesimo album per la band emergente svedese, gli Yast, che già dal primo ascolto ammaliano e stupiscono, sia per la qualità sonora che per l’offerta di stile.

Di elettro – pop si tratta, come per i “cugini” This is head, anche se qui le canzoni suonano molto più semplici e dirette, contornate da melodie solari e tocchi di magnifica presenza elegante e orecchiabile che prendono spunto da passaggi Bluriani e dagli ultimi seguaci di Corgan e seguenti, come Zwan.

All’ascolto ti sembra di percepire una band navigata che riempie immensi prati e invece stiamo parlando di un gruppo emergente; possiamo quindi sottolineare  l’ampia prospettiva ariosa di sonorità internazionali e la capacità di mirare ad un unico punto di convergenza che vede l’incontro di voci in falsetto e chitarre leggermente distorte senza eccedere troppo in un’effettistica pesante e pacchiana.

Un’offerta molto gradevole, dunque, che scorre lungo le 11 tracce in una spiaggia ricca di vegetazione dove poter ogni tanto fare un tuffo in mare, un tuffo che gli Yast compiono, ripercorrendo e traendo spunto dalla scena rock internazionale targata anni 90, come nella Title Track o nella verdeggiante “I wanna be young” , per lasciare spazio a derive più folk in “Believes”.

Un plauso dunque anche a questi giovani svedesi che di numero da band emergente possiedono soltanto gli apprezzamenti in facebook, nella speranza che qualche band italiana legga questa recensione ascoltandosi il cd e approfittando dell’occasione per imparare qualcosa.

Allarghiamo i confini, affiniamo la tecnica, lasciamo da parte l’orgoglio.

Corrado Meraviglia – L’occasione (La fame dischi)

Quando si dice avere “L’occasione” e utilizzarla al meglio.

Quando si vuole racchiudercorrado-meraviglia-loccasionee un mondo in un piccolo disco dal grande contenuto morale e addobbato da un packaging che fa gridare alla Meraviglia, frutto della collaborazione con lo studio Cikaslab di Riccardo Zulato dei  Menrovescio.

Quando si parla di rapporti d’amore, di rapporti sociali, di vita al limite e riprese considerevoli, idee che sembrano di tutti, quasi banali, ma che nelle corde di Corrado vengono sprigionate in maniera quasi perfetta.

Lontano dal disco precedente, il cantautore ci fa scoprire una forma canzone più compatta creando un appeal di gusto  sopra la media utilizzando una sensibilità tale da rimanere stupiti anche solo al primo ascolto.

In genere sono rari i momenti di catarsi in cui i musicisti riescono a mettersi a nudo  con poco più di 10 canzoni, riuscendo a creare con l’ascoltatore un tutt’uno di potenza e poesia; eh si perché di questo stiamo parlando, in poco più di mezz’ora ci sono chitarre malate, distorte che chiedono aiuto, quasi perdonando un male comune che porta al tracollo una società in bilico su di un dirupo, ci sono pianoforti elettrificati che suonano su mari quieti e carichi di nostalgia, ci sono chitarre acustiche a creare tappeti sonori mai scontati e ci sono voci che si fanno ricordare senza bisogno di chiedere altro.

Non servono paragoni perché “L’occasione” è un disco inclassificabile nel classificabile.

Se ai più sembra di sentire qualcosa di già sentito, io personalmente invito a un attento riascolto sottolineando le partenze agghiaccianti di “L’occasione” sussurrate parole ricche di immagini o le ironiche ballate “Vacanza” o la potente “La bella stagione” che con amarezza canta “Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia stesso male” e come possiamo dimenticarci di “Sam” dal sapore Trickyiniano come del resto delle sussurate “Luccica” e “Trasparente”.

Corrado regala all’Italia un album che deve essere ascoltato.

Un disco non per tutti o meglio un disco per chi vuole cambiare qualcosa.

 

https://it-it.facebook.com/corradomeraviglia

Limone – Spazio, tempo e circostanze (Dischi Soviet Studio)

Limone non è solo giallo, ma racchiude al proprio interno i colori più variegati dell’arcobaleno.

Il cantautore vicentino al suo disspazio-tempo-e-circostanze-limoneco d’esordio, dopo svariate esperienze con gruppi rock locali, vede la sua maturazione nel 2011 quando da verde passa a un giallo maturo del sole d’estate.

10 pezzi che racchiudono un mondo intimista e adatto a pochi, dico io per fortuna, in cui a prevalere sono gli arrangiamenti sintetizzati dalle tastiere di Leslie Lello e la voce asciutta e disincantata-naif di Filippo Fantinato.

Eco della poetica è racchiuso in quel cantautorato di stampo elettronico che ricorda Samuele Bersani, Tricarico e una strizzatina d’occhio alle band radiofoniche dell’ultima ora.

Qui però non parliamo di semplice musica pop, ma di un mondo silenzioso, un mondo blu notte in cui la miglior offerta indie si incrocia con l’io di un ragazzo che vuole raccontare storie partendo dalle storie, raccontare una vita, partendo dalla sua.

Ecco allora che in Aperitivo? crolla un mondo che già di per se era costruito su castelli di carta, mentre Assomigli a Marte ci porta su terre lontanissime ricordando Il piccolo principe.

Lettera ad un produttore è sarcastico bagliore contro la multinazionale della musica e dello spettacolo, Proiettile di lana cavalca melodie Brittiane lasciando il posto alla delicata Chi sono io?, il pezzo più marcatamente radiofonico di tutto il disco.

In Luce d’Agosto Limone canta: ti ho incontrata sopra una luna dorata, La Festa di San Menaio ricorda Branduardi alla Fiera dell’Est con Battiato che, seduti ad un tavolino, parlano di un’Italia vuota.

Per tre è poesia introspettiva che raccoglie l’entrata di Beatrice.

Suo figlio è pazzo è la partenza in astronave di un ragazzo che non è di qui, lontano musicalmente di certo ma ricordando SpaceBoy , rock siamese di Corghiana memoria.

Un disco, che come album d’esordio, regala emozioni a non finire, con la capacità di suonare pop più di qualsiasi altra produzione, conservando una vena indie spiccata e presente, quasi a riempire vuoti incolmabili da entrambe le parti.